Cultura

La triste allegria di Pirandello chiude la rassegna dei film a lui dedicati

Una rassegna voluta dal Parco Archeologico e affidata aBeniamino Biondi

Pubblicato 2 anni fa

 “Tu ridi” per la regia dei fratelli Paolo e Vittorio Taviani ha chiuso quest’anno la breve rassegna dei film tratti dalle opere di Pirandello.

L’avevano preceduto “Questa è la vita” per la regia di vari  registi come Zampa, Soldati e Fabrizi e poi “Come prima meglio di prima”, un film “rapinato e brutalizzato” dal sistema hollywoodiano tanto che le enciclopedie lo sottovalutano (e talora neanche nominandolo) per la regia di Hopper per alcuni critici e di Douglas Sirk per altri.  

Una rassegna (voluta dal Parco Archeologico e affidata al critico e saggista Beniamino Biondi) che ha fatto registrare il tutto esaurito nel salone di Villa Aurea che l’ha ospitato.

“Tu ridi” è un film scostante – ha detto Biondi – ma vivo, informe ma sentito, sbilanciato ma goduto e sofferto al tempo stesso”.

Tratto da due  racconti di Luigi Pirandello Tu ridi (1912) e La cattura (1918), “Felice” è un  ex baritono che lavora tristemente come impiegato al Teatro dell’Opera nella Roma degli anni ’30, di notte, sognando, inspiegabilmente ride.

“Due sequestri”: Sicilia, oggi. Un bambino, figlio di un mafioso collaboratore di giustizia, vive segregato in un albergo disabitato di montagna in compagnia di un carceriere. Sullo stesso monte, cent’anni prima, è accaduto un altro sequestro, ma la distanza tra i due crimini è immensa.

Dopo Kaos i Taviani tornano a Pirandello. Qui sono in evidenza le due belle prove di attore di Turi Ferro e Lello Arena come nell’altro episodio quella di un Albanese di cupa e stralunata intensità”.   Un film che continua a dirci, attraverso i Taviani, come Pirandello  rimanga in eterno “un talento indipendente” che svetta in questa estate agrigentina così fumosa di mitologia, di svenevolezze amorose per una eredità greca che non riusciamo ancora a ben interpretare ma a sfruttarla come fosse una escort.  

Ha ragione da vendere l’attore Antonio Catania quando dichiara  nel corso del Sicily movie che occorre dare voce ai “talenti indipendenti”. E se lo dice lui che dal 1986 ha attraversato come interprete o in piccole particine il “cinema dipendente dei padroni” con circa un centinaio tra film, cortometraggi e teatro, bisogna dargli  credito e far riflettere gli organizzatori del Parco che Pirandello per il futuro rimane il  “talento indipendente”  a cui ricorrere, rafforzando gli eventi che in passato hanno reso simbolica la nostra città come “La settimana pirandelliana” e il convegno annuale del nostro Centro Studi pirandelliani.

La prima è stata ignominiosamente esautorata, il Convegno annuale invece costretto ad emigrare a Palermo. Questi dovrebbero essere, a nostro parere, i capisaldi attorno ai quali far ruotare Agrigento che è già “città della cultura” (e non ce ne siamo accorti).

Bisogna operare una cernita drastica su tutta la miriade di spettacolini che vengono proposti su telefonate dei questuanti politici, dei clientes delle lobby che ambiscono la consacrazione del Teatro di Giunone e che invece potrebbero benissimo ruotare negli inverni agrigentini e nei vari teatri della città. 

L’estate agrigentina, a nostro parere è ancora alla ricerca di una sua identità  molto più simbolica e di respiro internazionale, come già se la sono data Siracusa e Taormina.

La Valle dei Templi non può essere considerata una escort e neanche da affittare ai magnati di turno che vogliono accamparsi per una cena.

Il precedente affitto  parla di centomila euro. Una bazzecola per i magnati che  riservano la cifra ai tassisti magari dicendo “tenga pure il resto”.

Per quanto riguarda  il prossimo anno siamo in attesa di una più corposa rassegna dei film tratti non solo  da opere pirandelliane e certamente Beniamino Biondi saprà trovare soprattutto quei film che si sono ispirati a Pirandello.

Le enciclopedie dei Morandini, dei Mereghetti e dei Bettetini ne sono piene.

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