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Aiuto! Ad Agrigento arriva la cultura

Altro che omelie papali, cardinalizie, parrocchiali, zingarettiane, demaioline o salviniane. Qualche giorno prima che arrivasse la “cultura” ad Agrigento (5 e 6 Aprile al collegio ex-Filippini) la città  fa suonare le sue trombe e senza troppo adontarsi  ha messo in scena due eventi  che dimostrano il come e il quanto il teatro possa incidere nell’anima […]

Pubblicato 6 anni fa

Altro che omelie papali, cardinalizie, parrocchiali,
zingarettiane, demaioline o salviniane.
Qualche giorno prima che arrivasse la “cultura” ad Agrigento
(5 e 6 Aprile al collegio ex-Filippini) la città  fa suonare le sue trombe e senza troppo
adontarsi  ha messo in scena due
eventi  che dimostrano il come e il quanto
il teatro possa incidere nell’anima e nelle menti scarnificando  gli ultimi residui di certezze e illusioni.

Due semplicissimi eventi ben dominati dal polso registico di Francesco Principato, a Porto Empedocle, con una Via Crucis di strabordante passione civile e religiosa e “Sebben che siamo umani” per la regia di Giovanni Volpe al Posta vecchia.

Fa il pleonastico Giovanni
Volpe
quando nelle note di regia  si
riferisce a un suo teatro politico. Tutto è politico quando ci si rivolge al
pubblico, quando si crea o si scrive e per cautela (inutile) perfino  il giornalista  deve tener conto dei fatti separati dalle
opinioni per dribblare il teorema dell’obiettività.

Allora cosa è Francesco
Principato
con la “teatralità” della Via Crucis con le sue
rappresentanze tribolate e tragiche, 
attuali e palpabili che sono sfilate nella povera chiesetta di Porto
Empedocle?
Il politico di Dio? E 
di Volpe cosa dovremmo dire con la sua gallery di umiliati e offesi, di
mignotte e Giovanne D’Arco? Che sono uscite da un “Nazareno
renziano, da un loft zingarettiano, da un sottoscala di Rifondazione fucsia?.

Con la scelta di tutto ciò che si allestisce, si crea o si scrive, per il
semplice fatto di far ricorso a uno spazio pubblico e di essere un uomo
“attuale” in una società “attuale”, si fa già una scelta politica. Quali che
siano le scelte, non si può evitare di essere politici, di fare un’affermazione
politica  e questo per il semplice fatto
di aver compiuto una scelta. E non solo questi due ultimi eventi dimostrano di
come la nostra città sia già attrezzata a guardarsi dentro senza attendere il
sindaco di Catania, Pogliese o di Palermo, Leoluca Orlando che tra
l’altro dovrebbe  fare una cosa
semplicissima ed educativa, ricordando al nostro sindaco Firetto che non si può lasciare ad altre città l’annuale Convegno pirandelliano e il Premio Cinema narrativa.

Per non parlare della “Settimana
pirandelliana
” ignominiosamente dimenticata.

Se di
cultura bisogna parlare, ma di quella concreta senza la “fuffa” di città della
cultura, occorre recuperare il meglio di 
un passato che non siamo riusciti a gestire e che ha proposto (quando
non imposto) alla propria clientela, al proprio pubblico, una precisa ideologia
politica.

Oggi occorre
pensare ad una cultura che agisca con la coscienza del luogo in cui si vive,
della società in cui si vive, delle risposte che si devono dare a quella
società. L’ex sindaco di Catania Enzo Bianco che è vicepresidente del Comitato delle Regioni e presidente del
Consiglio nazionale Anci, ha annunciato in una sua nota che ”L’evento di
Agrigento sarà il primo passo verso una nuova proposta di agenda europea per la
cultura che metta al centro i Comuni e autonomie locali, per la loro natura di
terminale istituzionale di base, quali elementi fondamentale delle politiche
culturali”
.

Agenda
europea? Vedremo di quale Europa

All’evento
del 5 e 6 aprile  collabora anche l’Agenzia per la coesione e  vi saranno impegnati Federculture, CulturMedia, direttori di Fondazioni, Policy Analist, responsabili di ricerca, innovazione e
progetti europei, direttori  delle
valutazioni delle performance.

A leggere la
lista dei nomi  si ha l’impressione della
solita enorme burocrazia che pontifica bene affollando l’elenco
degli “ingegneri di anime” come ai tempi dei dissidenti russi Daniel e Siniavskj.  

Cosa
dobbiamo aspettarci dal dibattito che verrà fuori? 

Quello
solito neoliberista (ma è un eufemismo) associato a una serie di aspettative su
come e in che modo la città debba vendersi, vendere i suoi abitanti e vendere
la sua cultura, in modo da attrarre il più possibile investimenti?

Ci
troveremo ad affrontare ancora la corsa delle città a mettere in atto queste
strategie, e diventare quindi “la più creativa tra le città creative”? 

Troveremo
qualcuno che, invece, guarderà alla città come al luogo della produzione
culturale (senza caporalati cooperativistici) che  implica un set differente di presupposti e
desiderata su quello che significa “la città creativa”?

Certamente
si assisterà alla prova del nove di chi 
inquadra la città creativa come capace di risolvere i problemi che pone
la società contemporanea e per Agrigento,
non vorremmo sbagliarci, sarà l’ultima chance per ripensare ad  una governance innovativa e creativa.

Le
tornate elettorali sono vicine.

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