Agrigento: ”La stanza azzurra” di Alfonso Gueli al “Posta vecchia” (ft)
Per il settimo anno lo scrittore Alfonso Gueli (en passant farmacista) ha portato sulla scena del Teatro della Posta vecchia il suo manipolo di “Attori per caso” e in maggioranza “attrici per caso”. Abbiamo notizia che Gueli se la cavi pazientemente con le attrici e per adesso pare che non voglia ascoltare il consiglio dei […]
Per il settimo anno lo scrittore Alfonso Gueli (en
passant farmacista) ha portato sulla scena del Teatro della Posta vecchia il
suo manipolo di “Attori per caso” e in maggioranza “attrici per caso”.
Abbiamo notizia che Gueli se la cavi pazientemente con le attrici e per adesso pare che non voglia ascoltare il consiglio dei Santi padri della Chiesa: ”Vai dalle donne? Portati la frusta”.
Intanto per caso
o per necessità si è allevato un ensemble attoriale scelto fra i suoi amici del
Lions e che resiste a coniugare
impegno e “palazzeschiano” divertimento nell’interpretare i testi che Gueli scrive appositamente per loro. I
riscontri della cronaca parlano di tre annuali serate che coprono i cento posti
del glorioso teatro di Giovanni Moscato
e il cui ricavato viene dato in beneficenza.
Quest’anno però
ci inquietano alcune “significanze”
che riguardano la posizione creativa di Gueli
che qualche mese fa ha sentito il bisogno di dare alle stampe una riedizione,
curata da Medinova, del suo primo
romanzo “Maledetta città” dove, con
piccole metafore e accenni non proprio casuali, veniva fuori una Agrigento “maledetta città” e non
“città maledetta” come sornionamente ha voluto precisare durante la
presentazione al “Circolo Empedocleo”.
Ecco,
sornionamente. Un avverbio sotto il quale Gueli
ama far tracimare la sua “teatralità” e che con questa commedia “La stanza azzurra” tocca piacevolmente
il punto di non ritorno. Un “rien ne va
plus” che liquida con brusca soavità i temi esistenziali da lui affrontati
non solo in “Maledetta città” ma in
una non dimenticata rubrica, “Palla al
centro” che il mensile agrigentino “Proposta”
gli metteva a disposizione.
Erano gli anni 80-90 e quella “palla al centro” è rimasta in attesa del fischio di inizio che oggi, a nostro parere, sembra arrivare con “La stanza azzurra” che non ammette tergiversazioni ulteriori e insinua interrogativi e proposte che il personaggio di Barbara (Barbara Capucci) annuncia rivolta al pubblico. Una sorta di “ritrovarsi” nella propria interiorità sulla quale lo stesso autore, durante il saluto al pubblico, pone l’accento con accorata necessità.
E allora cosa è
questa “stanza azzurra”? Una camera di compensazione? Una stanza dello
scirocco? Una stanza delle farfalle? Un rifugio antiatomico? Un posto delle
fragole?
Forse un po’ di
tutto questo ma soprattutto stanza dalle pareti colorate di azzurro che il
condominio di un palazzo utilizza come luogo di incontro per conoscersi e
socializzare. Tutta una fauna di borghesia medio alta che si auto-consola, si
auto-satireggia sfiorando talora la comicità involontaria di un patetico
teatrino. Gueli, come abbiamo scritto altre volte, ama i suoi personaggi e
anche questa volta li avvolge di lievi sferzate che però, “coup de theatre”, un solitario e scontroso frequentatore della
“stanza”, si incarica di accrescerne la
portata con due sole battute: “Sono cazzi
tuoi” e “Pagliacciate” (copyright
Pirandello) che demoliscono
inesorabilmente il cicaleccio casalingo dei condomini sempre sul crinale di un
assurdo rituale quotidiano farcito anche di banalità e luoghi comuni.
Una ripetitività frequente nei testi di Gueli ma che adesso, come si diceva, ha toccato il punto di non ritorno. L’annotazione voluta dall’autore è proprio questa: la ripetitività si è più umanizzata e reclama il bisogno di più compiute libertà e sincere emozioni.
Una prospettiva
che offre la possibilità-necessità di scardinare vecchie regole consolidate che
hanno mortificato e impoverito la coscienza e il riconoscimento dell’altro. Non
è un discorso sibillino quello di Gueli
e non vorremmo sbagliarci (ricordando il suo appello al pubblico) che la
prossima commedia ci farà assistere a uno spaccato di vita fatto non più di
sclerotizzati atteggiamenti di immobilismo e di attriti interpersonali in
contrasto con le forze del cambiamento e della vera emancipazione.
“Lo scrittore non può lasciare che qualcosa venga taciuto” – ha scritto Carol Oates e per Gueli sarà tempo di rincarare l’opposizione interna al suo testo che qui è delegata a “cazzi tuoi” e “pagliacciate”.
Gli attori per caso sono avvertiti e di certo non ci potranno essere compensazioni nella “camera iperbarica” della storia. Soprattutto per attori capaci di costruire nuove sintesi insieme al loro autore e che rispondono, oggi, a questi nomi: Barbara Capucci, Antonio Calamita, Alfonso Sollano, Adriana Parisi, Teresa Parisi, Anna Careca, Egla Tornabè, Lillo Savatteri, Loredana Minacapilli, Maria Cerasola, Alfonso Pellitteri, Emanuele Gianfriddo, Rosalia Borsellino, Maria Grazia Scibetta (scenografa e aiuto regia).
Testo e foto di Diego Romeo