Agrigento: il Maiorana scomparso e ritrovato sulla scena del “Pirandello” (ft)
Appena dopo una settimana dal mistery “Shakespeare vs Cervantes” che insinuava forti dubbi sull’autore Shakespeare, sulla scena teatrale del “Pirandello” si ripete un altro mistery, quello della scomparsa di Maiorana (marzo 1938) al quale Leonardo Sciascia dedicò uno dei suoi romanzi saggio. A farcelo ritrovare sotto le vesti di un saio certosino, Fabrizio Catalano regista […]
Appena dopo una
settimana dal mistery “Shakespeare vs Cervantes” che insinuava forti dubbi
sull’autore Shakespeare, sulla scena teatrale del “Pirandello” si ripete un
altro mistery, quello della scomparsa di Maiorana (marzo 1938) al quale
Leonardo Sciascia dedicò uno dei suoi
romanzi saggio.
A farcelo ritrovare sotto le vesti di un saio certosino, Fabrizio Catalano regista e nipote di Sciascia che si cimenta in questo
adattamento dopo “Il giorno della civetta”
e “Amore intorno al vuoto” visti anni
fa a Racalmuto.
Catalano, sulla scia del libro di Sciascia che affidava al lieve e imbarazzato sorriso di un monaco della Certosa di Serra san Bruno, il consolante pensiero della “fine” di Maiorana, qui ce lo fa ritrovare rannicchiato in quello che sembra un sacco di iuta dietro una sedia retrò in una imprecisata stanza (tra l’infermeria e il commissariato) dove una donna medico (Giovanna Rossi) ex partigiana apprende dal gracchiare di una vecchia radio la notizia dell’esplosione della bomba atomica su Hiroshima. E’ il 4 agosto del 1945 e da questi tre elementi scenici formati dalla medico, dal sacco di iuta e dalla radio prende l’avvio il thriller onirico di Fabrizio Catalano dove poco alla volta – precisa il regista – emergeranno i tormenti di un genio che avrebbe potuto cambiare il destino dell’umanità e fuggì di fronte all’orrore della bomba atomica e non spinse mai le sue ricerche fino alle estreme conseguenze. Ed è facile immaginare che dentro quel sacco -saio si raggomitolava Ettore Maiorana (Alessio Caruso) che non cede né retrocede dalla sua identità neanche di fronte all’incalzante interrogatorio di un commissario (Roberto Negri) che per anni gli ha dato la caccia e lo sospetta di essere Ettore Maiorana. Non retrocede nemmeno di fronte alle persuasive argomentazioni di Laura Fermi (Loredana Cannata) moglie del fisico Enrico Fermi chiamata a riconoscere la sua identità. L’inserimento della Fermi nella narrazione di Catalano ci sembra necessaria e molto fondata fra tutte le altre agevolazioni di sceneggiatura perché lei conosceva bene i “ragazzi di Via Panisperna” tanto da scrivere un libro, “Atomi in famiglia”, dove Maiorana veniva descritto ombroso e intelligente fino al punto da risolvere calcoli a memoria mentre il marito Enrico era costretto a ricorrere a carta e penna.
“Sciascia – ha scritto Matteo Collura in una sua nota sul “Messaggero” – mostra di credere in un mito che è lui stesso a suggerire: il mito dello scienziato che rifiuta la scienza quando essa diventa nemica dell’umanità. Su questa linea si muove il nipote, regista. Naturalmente la sua versione teatrale attinge alla fantasia e non potrebbe essere diversamente dal momento che sulla scomparsa di Maiorana si possono fare soltanto ipotesi”. Nel finale della commedia Fabrizio Catalano dispiega, attraverso le parole dell’anonimo certosino diventato accusatore, una summa etico-antropologica che ribadisce a chiare lettere nelle sue note di regia: ”In una stagione come quella che stiamo vivendo , caratterizzata dallo sfaldamento dei valori morali, dall’esaltazione dell’ego, dall’ansia del profitto e dalla deriva della scienza, è necessario rievocare figure come quella di Ettore Majorana. E il senso della vicenda di Majorana è che non c’è futuro per l’umanità senza l’etica, senza la sincerità, senza la poesia. Il teatro deve diversificare la propria offerta e accendere il dibattito, stimolare domande e riflessioni, suggerire idee e punti di vista inediti. Deve calarsi nella realtà: Una storia vera come quella di Majorana – il tormento struggente di un individuo che vorrebbe salvare il pianeta dalla catastrofe – è al contempo un susseguirsi di emozioni e un monito per l’avvenire. Ognuno di noi può compiere un piccolo gesto, per proteggere l’umanità dall’autodistruzione. Ognuno di noi ha il diritto e l’obbligo di farlo”.
Abbiamo incontrato il regista tra una pausa e l’altra della
rappresentazione e gli abbiamo chiesto quanto questa sua opera sia attuale proprio oggi che la scienza oltre agli applausi merita severi rimbrotti e
verifiche.
“Si, il dramma di
Maiorana denuncia la falsità .
l’inesattezza di una regola non scritta , quella del “tanto se non lo faccio io
lo farà qualcun altro”. Le regole del gioco non sono queste, “io intanto la bomba atomica non la faccio” L’esempio di Maiorana ci dice questo e ci
dice Maiorana raccontato da Sciascia dobbiamo sempre cercare la risposta nella
ragione. Nei giorni scorsi si è molto
parlato di quella ragazza ambientalista, Greta che dice delle cose giustissime,
il problema siamo noi e sfortunate le epoche che hanno bisogno di Giovanna
D’Arco, che hanno bisogno dinanzi al problema serio della risposta che
trasmette l’idea di impurità. E invece sono fortunate le epoche che hanno
bisogno di Voltaire, Victor Hugo, Pasolini ecc. dove c’è il ragionamento che mi
fa capire che quella cosa va fatta. A me non serve una bambina che mi dica
inquinare è sbagliato, mi serve uno scienziato, un intellettuale che mi spieghi
perché è sbagliato e come posso fare . Maiorana è un po’ tutto questo, o meglio
il Maiorana un po’ fantasioso che ci siamo immaginati”.
Senza contare che il
rischio strumentalizzazione per Greta è
notevole. Difficile ripetere oggi il “miracolo Gandhi”.
“Certo, Greta da sola non sarebbe finita su tutti i giornali, chiaramente ha dei poteri finanziari che hanno tutto l’interesse ad arrivare per primi sulle fonti di energia rinnovabili, però anche questo ci andrebbe bene, però è chiaro che uno dei grandi drammi delle società in cui viviamo è aspettare “la fine dello spettacolo”. Nel 1945 se mettevi al muro Mussolini, cambiava tutto. Oggi, se per caso i gilets gialli mettono al muro Macron non succede niente e il potere finanziarizzato troverà facilmente una alternativa a Macron”.
Qualche anno fa, se
ben ricordo, aveva intenzione di adattare per la scena “Il cavaliere e la
morte”. Fa parte ancora dei suoi progetti?
“Fra tutti i libri di
mio nonno “Il cavaliere e la morte” è il mio preferito. Ancora devo provarmi a
scrivere una sceneggiatura, è molto difficile perché ha una sua spiccata dimensione interiore. Non è semplice da gestire a teatro. Certo mi
piacerebbe come pure mi piacerebbe
“L’inquisitore”. Io ho una predilezione per il fantastico, il simbolismo
e i produttori privati in Italia non se la sentono di rischiare. Il pubblico
teatrale non è giovane, il pubblico a teatro va così invecchiando che ti lascia
il sospetto che tra qualche decennio non ci andrà più nessuno. Non c’è l’ombra
del ricambio generazionale. A Roma abbiamo fatto delle matinèe per studenti che
sono andate sorprendentemente bene. I ragazzi hanno fatto domande che erano tratte dalle stesse parole che avevano
sentito in scena. Questo ci lascia ben sperare”.
Sul mistery Maiorana ci consoliamo un po’ ma il mistery Shakespeare resta
aperto. Possibile che non ci si trovi istituzione letteraria che faccia aprire
gli archivi dei duchi di Premboke per
verificare i testi di John Florio?
“Nessuno vuole
sconfitte culturali e di solito i
nordici si sono sempre collocati in
prima fila nello sviluppo delle civiltà.
All’inizio del mio spettacolo c’è questo riferimento.. Per esempio c’è tanta
insistenza cinematografica e televisiva
sui vichinghi che stanno qualche
spanna in su del cannibalismo. Figuriamoci se gli convenga chiarire il mistero Shakespeare. Con il
nostro Dante li batteremmo 2 a zero. Non dimentichiamo che gli inglesi
truccarono i fossili dei nostri antenati, poi vennero le scoperte africane e fu
la sconfitta per tutti. Il questa storia del mondo anglosassone-germanica possiamo
trovare una forma edulcorata di razzismo”.
Progetti teatrali?
“Per adesso solo
letterari. Sta uscendo un mio libro dal titolo “Spero eloquente”, un piccolo
saggio dove si parla di cinema soprattutto americano e di come si impadronisca di sezioni della
cultura europea per veicolare messaggi
completamente diversi. Tutto il cinema fantasy, è simbolismo liberty , parte
dalla nostra cultura che abbiamo dimenticato e che loro veicolano con messaggi
diversi. Con la mia aiuto-regista che è una ragazza molto sensibile stiamo
pensando ad uno spettacolo di prosa e
danza dove la donna sia al centro della società ma senza essere vista né come
dea né come mignotta”.
Fra qualche mese, per
i trenta anni dalla scomparsa, uscirà l’edizione rinnovata del “Maestro di
Regalpetra”, la biografia di Sciascia scritta da Matteo Collura. Il libro
insieme allo spettacolo su Maiorana riproporranno la “scomodità” dello
scrittore racalmutese. Riusciremo a
capire o rinunceremo a ricordare?
“La società soprattutto italiana avrebbe bisogno di un ritorno a Sciascia. Collura ha tenuto viva la fiamma ed è anche vero che c’è una operazione di rimozione anche per Pasolini, Moravia, Calvino e altri col risultato che oggi la società culturale – letteraria è molto povera. E priva di testimonianze eclatanti”.
Testo e foto di Diego Romeo