Santa Margherita Belice

Santa Margherita Belice, un modello di accoglienza e integrazione per i migranti

Storie di speranza tra ospiti della coop sociale Il Quadrifoglio

Pubblicato 1 anno fa

 Il dolore che diventa speranza o lieto fine: accade nella cooperativa sociale ‘Il Quadrifoglio’ di Santa Margherita di Belice, grazie alla quale molti migranti si sono integrati. “Se mi sono integrato? Direi proprio di sì. Tanto è vero che adesso manca poco al mio matrimonio con una ragazza siciliana”. Sorride felice Abdoulaye, 35 anni, senegalese.

Nei suoi occhi c’è la gioia di chi ne ha viste tante: povertà, soprusi, violenze. Dopo essere giunto in Sicilia nel 2015 a bordo di uno dei tanti barconi che, in condizioni sempre più drammatiche, continuano ad attraversare il Mediterraneo, oggi lavora come autista nella coop sociale ‘Il Quadrifoglio’ di Santa Margherita di Belice (Agrigento), nata 35 anni fa e che oggi assiste 170 persone tra immigrati, bambini stranieri non accompagnati, donne vittime di abusi e disabili psichici. Cooperativa fa parte della rete di adozione dei minori Sono un centinaio i dipendenti: tra loro anche educatori, assistenti sociali, psicologhe e mediatori culturali. Dopo l’approdo sulla terraferma, Abdoulaye e altri compagni arrivati insieme a lui in Italia furono inseriti all’interno del Sai (Servizio accoglienza immigrati), che allora si chiamava ancora Sprar. Al termine di quel percorso ha avuto la possibilità di rimanere in cooperativa a lavorare.

“Qui ho trovato una famiglia, non potevo chiedere di meglio”, dice. È una delle tante storie impregnate di speranza che ruotano attorno a questa realtà, che oggi sul territorio è un modello di integrazione e garantisce assistenza, con tre comunità alloggio, a minori stranieri non accompagnati ma anche a donne vittime di abusi. Tra di loro c’è la mamma di due bambini piccoli. Protetta dall’anonimato e da un vissuto terribile, nei mesi è fuggita da un paese dell’Est, ponendo così fine alle vessazioni di un marito violento e riuscendo anche a portare via i figli.

“Arrivata in Italia non avevo un soldo”, racconta. “Inizialmente sono stata aiutata dai volontari della Caritas. Sono stati loro a mettermi in contatto con la cooperativa. Da quando sono qui ho iniziato a lasciarmi il passato alle spalle. Le persone che lavorano in questa cooperativa mi hanno permesso di ricominciare, e solo oggi penso che potrò dare un futuro migliore ai miei bambini”. E proprio i bambini sono i soggetti più fragili tra quelli assistiti dalla cooperativa. “Facciamo anche parte della rete delle adozioni di minori”, dice Dina Barone, fondatrice e ancora oggi presidente della cooperativa. “Seguendo le indicazioni del tribunale dei Minorenni, affidiamo periodicamente i bambini a diverse famiglie, e nell’80% dei casi questi affidi si trasformano in adozioni”, aggiunge. Racconti di sofferenze dall’Est Europa e dall’Africa Tra gli ospiti della struttura anche alcune persone di nazionalità ucraina, costrette a fuggire dalla loro terra dopo l’aggressione russa. Tra di loro c’è Alona, che lavora come maestra nell’asilo nido istituito all’interno della cooperativa stessa. “È quello che facevo anche nel mio Paese, qui posso continuare a fare un lavoro che amo, perché a me piace stare con i bambini”. La donna guarda al futuro: “Sto bene, ma la mia speranza è di tornare in Ucraina. Mio marito è sotto le armi, sono sempre angosciata perché temo di ricevere cattive notizie. Prima o poi spero di ricongiungermi con lui, anche se non so quando questa guerra assurda avrà fine”.

“Questa cooperativa è un vero modello d’integrazione, come testimonia anche la partecipazione dell’intera comunità margheritese alle recenti manifestazioni per la Giornata mondiale del rifugiato”, sottolinea Margi Giambalvo, responsabile amministrativo del settore Servizi sociali del comune di Santa Margherita di Belice. “Oggi nel Servizio Assistenza Immigrati ci sono 55 ospiti, il ministero dell’Interno ci coinvolge in progetti di accoglienza di persone in fuga da guerre e persecuzioni”, spiega. Tra le tante storie anche quella di Malike, 27 anni, gambiano, a Santa Margherita dal 2015 e che racconta la sua esperienza: “Ho attraversato il deserto. In Libia sono stato rinchiuso in prigione e sottoposto a ogni violenza. I carcerieri volevano che i miei familiari mi mandassero del denaro per tornare in libertà. Poi sono riuscito a salire a bordo di un barcone. È stata dura, ma oggi anche io lavoro qui, faccio il mediatore culturale, parlo sette lingue”. Intanto Abdoulaye si sta preparando al matrimonio: “Io sono musulmano, ma le nozze saranno celebrate con il rito cattolico. Non è un problema per me, penso che la cosa che più conta sia l’amore”. (ANSA)

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