Le paure del clan Bellavia dopo la mancata uccisione di Carmelo Nicotra: temeva la vendetta di “Furia”
Le intercettazioni, le dichiarazioni dei pentiti
La faida Favara – Liegi annovera tra le pagine del processo importanti avvenimenti che meritano di essere raccontati dopo la sentenza, attraverso il racconto dei pubblici ministeri della Dda: “si sottolinea che, sin dal giorno dopo il tentato omicidio di Carmelo Nicotra, Emanuele Ferraro, Calogero Ferraro e Carmelo Vardaro evitavano di uscire da casa nonostante gli impegni lavorativi già assunti, come emerge dalle conversazioni intercettate nei loro confronti.
Tale stato di perdurante preoccupazione per le possibili ritorsioni da parte di Distefano e dei soggetti a lui vicini aumentava progressivamente, tant’è che nelle conversazioni telefoniche e tra presenti intercettate si apprendeva che il gruppo Ferraro/Bellavia era alla ricerca di armi da fuoco poiché, nel timore di agguati mortali da parte dei componenti del gruppo Furia, manifestava espressamente propositi omicidiari nei confronti di Maurizio Distefano e degli altri membri del suo nucleo familiare al fine di agire preventivamente.
In particolare in data 08.06.2017 Carmelo Vardaro comunicava a Emanuele Ferraro che non avrebbe pernottato presso la sua abitazione in Belgio (“non mi ci posso coricare a casa ora, poi te lo spiego perchè…”) preoccupato per alcuni soggetti che aveva visto stazionarvi nei dintorni.
In altra telefonata in data 8.6.2017 Emanuele Ferraro e Carmelo Vardaro decidevano di recarsi a Palermo per acquistare dei giubbotti al prezzo di 650.00 Euro ciascuno, verosimilmente antiproiettile: “il giubbotto l’ho comprato a Palermo … martedì nel caso ci andiamo assieme … ce n’è uno che è buono, buono, buono… 600… 650 euro”. Ancora, nel periodo tra il 18 ed il 20.08.2017, a bordo della Renault Modus in uso Emanuele Ferraro, venivano registrate alcune conversazioni tra presenti, tra lo stesso Ferraro, la moglie Elisa Vullo e Carmelo Vardaro, aventi ad oggetto il possesso di un’arma da fuoco detenuta illecitamente dai due uomini.
La stessa Elisa Vullo era consapevole della presenza a bordo di tale arma, tanto che consigliava al marito di conservarla all’interno della sua borsa nel caso in cui fossero stati fermati dalle Forze di Polizia. Seppur informalmente e rifiutandosi di dichiararlo a verbale per timore di ritorsioni, in data 26.06.2018 Elisa Vullo confermava alla Squadra mobile di Agrigento che in quel periodo, effettivamente, suo marito e Carmelo Vardaro possedevano una pistola bicolore e di piccolo calibro.
Il periodo di estrema attenzione di Emanuele Ferraro e Carmelo Vardaro verso gli appartenenti alla fazione avversa continuava anche nei giorni successivi come si riscontra dalla conversazione tra presenti intercettata a bordo della Modus alle ore 17.00 del 23.08.2017 in cui i due temevano di essere stati seguiti ed effettuavano una serie di manovre al fine di identificare il guidatore della autovettura che li tallonava.
Ancora, in tal senso rilevano le conversazioni dei familiari di Emanuele Ferraro, come ad esempio nella conversazione tra presenti nr. 2361, registrata a bordo della Modus alle ore 11.00 del 22.09.2017 in cui la moglie Elisa Vullo lo rimproverava di essere poco attento, facilitando così l’opera di eventuali killer: “vedi come sei… vedi come ti possono ammazzare? Così!”.
Nel settembre del 2017, infine, a bordo della Renault Modus, venivano registrate alcune captazioni ambientali aventi ad oggetto l’acquisto di munizioni da parte di Emanuele Ferraro e Carmelo Vardaro, cartucce che i due congiunti richiedono prima a Michelangelo Bellavia e poi ad Andrea Stagno.
Ancora, merita di essere segnalato che nella serata del 10.10.2017, a bordo del Fiat Fiorino monitorato si registrava una delle conversazioni tra presenti di elevato interesse investigativo, durante la quale Carmelo Vardaro esternava palesemente i suoi propositi omicidiari nei confronti dei componenti della famiglia di Maurizio Distefano, in particolare del figlio Giuseppe che in quei giorni era rientrato a Favara.
Invero, alle ore 21.00 Carmelo Vardaro informava Emanuele Ferraro che poco prima tale Fantomat gli aveva segnalato la presenza a Favara di Giuseppe Distefano, figlio di Maurizio (“Guarda che Fantomat mi ha detto che ha visto… che ha visto a loro in giro … che ha visto a suo figlio! Gli ho detto, <<ma …inc… lo sappiamo?>>. Me lo ha detto ora, poco fa!”), sul quale lo stesso Vardaro manifestava evidenti intenzioni omicidiarie se lo avesse incontrato (“ma vedi che io, Biù, vedi che neanche lo saluto! Va… così! Ta, ta, ta, ta, ta… non mi interessa una minchia a me, va! Io te lo dico tutto quello che ho fatto, Biù! …inc… buttare a terra, bastardo! “Ci penso io”, ti ho detto”).
La collera di Vardaro era accentuata anche dal fatto che il figlio di Distefano alla presenza di Gerlando Russotto, aveva offeso Emanuele Ferraro (“No, perchè lui vedi che ha detto cose su di te… Gerlando non te lo ha detto?!? Hai capito o no? Io lo so che ha detto … “chi minchia è questo Emanuele!””).
Appresa tale circostanza, Emanuele Ferraro stabiliva di chiarire al più presto la vicenda con Gerlando Russotto, al quale avrebbe ricordato l’unicità del loro gruppo (“non siamo chiari! … domani lo chiamiamo! … dormo con la testa quieta! … Gerlando domani lo rimprovero! … non ha che inimicarsi lui con te! Non ha che inimicarsi! Gli dico, “non hai capito una minchia, che siamo tutti la stessa cosa!” … domani, poi, la sistemiamo giusta! Prima ne parliamo noi e poi ci andiamo insieme!”).
In seguito alle ore 19.00 dell’11.10.2017, a bordo della Modus si intercettava la conversazione tra presenti nr. 2825 tra Emanuele Ferraro e Carmelo Vardaro, durante la quale i due facevano delle ipotesi circa i luoghi idonei ad un probabile appostamento per attentare alla vita del Ferraro stesso, siti nelle adiacenze della sua abitazione. Vardaro diceva di prestare la massima attenzione in un determinato luogo (“qua sempre devi guardare…”); consiglio condiviso appieno da Ferraro, il quale indicava all’interlocutore gli altri posti che abitualmente controllava prima di rientrare presso la propria abitazione (“e certo! Minchia… e lì io… e lo sai cosa guardo pure Ca’? Quando vengo da là … casomai sono appostati nella discesa, sai? … non è che dicono, quando sta per entrare, loro partono…”).
Infine, in data 18.10.2017, presso la sala colloqui del carcere di Agrigento si intercettava il dialogo tra Antonio Bellavia e la moglie Maria Belluzzo, durante il quale il primo sosteneva che alcuni soggetti si erano trasferiti in Spagna, riferendosi probabilmente a qualche componente la famiglia Distefano (“perciò quelli se ne sono andati in Spagna! … e gli conviene”), assunto confermato dalla coniuge la quale aggiungeva di aver appresso che in quei giorni Maurizio Distefano si trovava a Favara (“dice che qua c’è cosa…. il marito di Lillina ! almeno per come mi hanno detto”).
Alla richiesta di maggiori dettagli da parte del marito (“propriamente lui, ah? … che hanno visto, forse a lui che sale e scende?!”), la donna sosteneva che era stato dedotto da qualcuno che aveva notato un cambiamento nell’abitazione dei Distefano (“dice che ci sono le finestre aperte, mi hanno detto”), poi confermava la sicura presenza di Giuseppe Distefano a Favara (“che c’è suo figlio, non so chi l’ha visto”).
All’affermazione di Antonio Bellavia che il quel periodo il giovane Giuseppe Distefano poteva circolare liberamente per Favara (“adesso può farlo venire! Lo possono lasciare qua per ora”), la moglie lo riprendeva sostenendo che dovevano porre fine alla faida in corso (“deve finire Antò questo inferno!”), ma il marito ribatteva che era solamente all’inizio, manifestando evidenti intenzioni di vendetta (“ancora deve cominciare! Questo è il discorso”).
Discorso a parte merita il risultato investigativo che riguarda Gerlando Russotto e come un arresto si rivela ancor più vantaggioso di una vincita al Superenalotto. Può sembrare un’esagerazione ma, invece, è così.
La vicenda riguarda Gerlando Russotto, favarese di 29 anni coinvolto pesantemente nell’inchiesta “Mosaico”. Russotto, finito già in carcere per le accuse mossegli contro dall’ex cognato, l’aspirante pentito Mario Rizzo, è tornato in galera nel contesto dell’indagine sull’asse Favara-Belgio e la sua scia di omicidi e tentati omicidi.
Proprio quelle primarie accuse dell’ex cognato, con moltissima probabilità, gli hanno salvato la vita atteso che era stata decisa la sua morte perché ritenuto un traditore.
Scrive il Gip nel provvedimento cautelare “Mosaico”: “ ..Venivano attivate ulteriori attività di intercettazione, in particolare sull’utenza ed a bordo della Fiat Punto, in uso a Calogero Ferraro, padre di Emanuele, ucciso in un agguato) , su cui si registravano alcune conversazioni di interesse investigativo.
In particolare merita di essere richiamata una conversazione da cui appariva evidente la paura che Emanuele Ferraro aveva avuto di essere nel “mirino” della fazione opposta.
Si tratta di un ragionamento “a posteriori” tra Calogero Ferraro ed il nipote Emanuele Ferraro, avente ad oggetto il comportamento ambiguo tenuto da Gerlando Russotto nell’immediatezza e dopo l’omicidio di Emanuele, e sull’appartenenza di Francesco Di Benedetto al gruppo Ferraro – Bellavia.
La discussione prendeva spunto dalle notizia riportate dai mass-media a seguito del rinvenimento delle armi in data 29.05.2018 nel sottotetto del condominio di via Pietro Germi nr. 2 a Favara, risultate effettivamente nella disponibilità di Gerlando Russotto. In particolare, i due commentavano le perplessità di Elisa Vullo, vedova di Emanuele Ferraro, poichè gli organi di stampa riportavano solamente i nomi del gruppo Ferraro – Bellavia omettendo di indicare quelli della fazione opposta.
Si legge ancora nel provvedimento cautelare che “Secondo Emanuele Ferraro tale circostanza era causata dal doppio gioco di Gerlando Russotto (“degli appartenenti di questa parte c’è uno che fa l’amico e il boia, capito?”) che per confermare la vicinanza al loro gruppo aveva fatto rinvenire le armi che teneva celate nel sottotetto della sua abitazione, sicuro che le Forze di Polizia non lo avrebbero individuato a causa della mancanza delle sue impronte digitali sulle armi (“gli abbiamo detto, ma le armi ci sono impronte digitali?, mi ha detto, no, non ci sono impronte digitali.. Allora sei stato tu che gliel’hai portati di proposito per farci capire…, vedete che mi hanno preso? Che io sono amico vostro? capito? e se l’ha fatto di proposito? Si è fatto prendere di proposito di farsi beccare?”).
Emanuele Ferraro precisava, altresì, che Gerlando Russotto era l’unico a conoscere i movimenti del cugino sin dalla sera precedente e che sapeva che la mattina dell’omicidio non sarebbe andato a lavorare.
In effetti – scrive il Gip – si ricorda che l’autovettura Y10 utilizzata dal killer di Emanuele Ferraro, sin dalle ore 03,50 veniva ripresa dal sistema di videosorveglianza istallato dalla stessa vittima, a conferma che l’omicida era a conoscenza che il suo obiettivo non era ancora rientrato a casa.
Continuando a discutere della lealtà di Gerlando Russotto, Emanuele Ferraro (cugino della vittima) informava lo zio Calogero che pure Di Benedetto Francesco, altro soggetto facente parte del loro gruppo, dubitava della reale sincerità del Russotto (“anche Di Benedetto mi ha detto, <<non mi fido più di Gerlando…>>, gli ho detto, <<Francesco più ti fidavi tu di Emanuele che lui…>> <<minchia>>, dice, <<non mi fido più!>>, anche questo non lo crede più…”) anche in considerazione del fatto che lo stesso aveva tranquillamente continuato nelle sue abitudini, mentre la vittima e Francesco Di Benedetto avevano evitato di uscire da casa per un lungo periodo e volevano andare via da Favara (“Emanuele secondo me si spaventava… perchè sapeva che …inc… che erano in guerra e se ne voleva andare… Francesco si spaventava e se ne voleva andare, e non uscivano tanto… Gerlando no… tu sai che sei controllato…”).
Nella parte finale della conversazione, Emanuele Ferraro raccontava all’interlocutore che Gerlando Russotto lo aveva invitato al suo matrimonio, unitamente al Di Benedetto, precisando loro di recarsi al ricevimento armati. Calogero Ferraro e il nipote Emanuele Ferraro (cl. 74) riprendevano l’argomento dell’omicidio anche alle ore 07.00 del 02.08.2018, mentre erano nuovamente a bordo della Fiat Punto. Da tale conversazione si percepiva che Emanuele Ferraro, su indicazione dello zio Calogero, era alla ricerca di informazioni sull’omicidio del cugino.
Anche in data 07.08.2018 i due venivano intercettati a bordo della Fiat Punto mentre discutevano dell’omicidio. Nel corso della conversazione, Emanuele Ferraro ribadiva allo zio Calogero i suoi sospetti in merito alla effettiva lealtà di Gerlando Russotto verso la vittima (“ora più dubbi mi fa mettere… Gerlando! Più dubbi ancora mi ha messo! Dico, allora non era con Emanuele, era contro! Ah?”) ipotizzando che il Russotto si fosse schierato con la fazione contrapposta.
Del comportamento ambiguo tenuto da Gerlando Russotto, Emanuele Ferraro aveva informato tale Francesco (“gliel’ho detto io a Francesco… gli ho detto, <<Francesco, vedi che Gerlando si è comportato così, così e così!>>) il quale aveva proposto di eliminare Russotto Gerlando anche perché tale uccisione sarebbe stata ricondotta ai Distefano e non al loro gruppo: <<Ora>>, dice, <<vediamo che c’è da fare>>, dice, <<che… c’è lo puliamo pure! Tanto… non è che può immaginare che siamo stati… che siamo stati noi! Si può immaginare che è stato Furia, può immaginare che è stato quello…>>.
Tale omicidio non era stato portato a termine perché nel frattempo Russotto era stato arrestato (“Minchia, invece, lo hanno arrestato! ”).
Il Francesco a cui si era rivolto Ferraro Emanuele (cl. 74) si ritiene identificabile in Di Benedetto Francesco, dipendente di Bellavia Calogero e vicino all’ucciso Ferraro Emanuele. Tra l’altro, la disponibilità di armi da fuoco da parte del Di Benedetto, viene confermata dallo stesso FERRARO Emanuele nella conversazione prima riportata.
Invero, nel corso della conversazione Ferraro Calogero chiedeva al nipote l’esito di qualcosa attinente al figlio Emanuele (“eh, com’è quel discorso Emanuele?”) realizzando, subito dopo, l’opportunità di discuterne in forma strettamente privata e lontano da eventuali ascoltatori (“aspetta che ora lascio il telefono e ci allontaniamo!”); precauzione condivisa dal congiunto (“eh… ehm…”) che poi lo informava dei numerosi e vani tentativi di contattarlo telefonicamente effettuati nella stessa mattinata.
Alle ore 07.25 i due si fermavano all’interno del Cimitero di Favara e scendevano per un minuto circa. Tornati a bordo, Ferraro Calogero ribadiva al nipote l’interesse ad apprendere le informazioni, invitandolo a parlare anche a bordo dell’autovettura (“eh, com’è il discorso? … puoi parlare, com’è il discorso?”), invito non accolto da Ferraro Emanuele perchè preoccupato dalla presenza del telefono (“con il telefono?”), nonostante le rassicurazioni dello zio: “e niente ci fa! Non ti preoccupare del telefono!”.
Percepita la indisponibilità del nipote a conversare in macchina, Ferraro Calogero posticipava il racconto (“ehm! …inc… di qua e me lo racconti!”).
Infatti, alle ore 07.27, Ferraro Calogero sostava la Fiat Punto all’interno del cimitero ed i due scendevano dal mezzo lasciando i telefoni cellulari a bordo della stessa, come dimostrato dagli squilli delle chiamate ricevute percepite dagli operatori in ascolto.
Al momento in cui si avvicinavano all’autovettura monitorata, si percepiva Ferraro Emanuele che riferiva allo zio una frase proferita, probabilmente da un terzo soggetto: “<<non possono sospettare di me! Perché dice …inc… e …inc… con lui!>>, hai capito?”.
Risaliti a bordo della vettura, Ferraro Emanuele chiariva allo zio che quanto appena riferito erano delle ipotesi sue e della terza persona, che non indicava (“e queste sono supposizioni che ci siamo fatti!”); congetture che potevano essere confermate non appena Ferraro Emanuele avesse avuto la possibilità di confrontarsi con tale Carmelo ed un altro soggetto, entrambi al momento non disponibili (“appena esce Carmelo e cosa, poi vediamo la verità quale è!”).
Appare condivisibile che Ferraro Emanuele si riferisse all’eventuale scarcerazione di Vardaro Camelo (“appena esce Carmelo”), mentre il soggetto che indicava genericamente (“e cosa”) si dovrebbe individuare in uno dei Bellavia.
Anche in data 07.08.2018 i due venivano intercettati a bordo della Fiat Punto mentre discutevano dell’omicidio.
Nel corso della conversazione, Ferraro Emanuele ribadiva allo zio Calogero i suoi sospetti in merito alla effettiva lealtà di Russotto Gerlando verso la vittima (“ora più dubbi mi fa mettere… Gerlando! Più dubbi ancora mi ha messo! Dico, allora non era con Emanuele, era contro! Ah?”) ipotizzando che il Russotto si fosse schierato con la fazione contrapposta.
Peraltro, Ferraro Emanuele informava lo zio Calogero dell’esistenza della richiesta di un prestito da parte del cugino e che tale pratica era conosciuta anche da Russotto, il quale voleva incamerarsi la somma concessa invece di consegnarla a Vullo Elisa, moglie dell’ucciso.
Del comportamento ambiguo tenuto da Russotto Gerlando, Ferraro Emanuele aveva informato tale Francesco (“gliel’ho detto io a Francesco… gli ho detto, <<Francesco, vedi che Gerlando si è comportato così, così e così!>>) il quale aveva proposto di eliminare Russotto Gerlando anche perché tale uccisione sarebbe stata ricondotta ai Distefano e non al loro gruppo: <<Ora>>, dice, <<vediamo che c’è da fare>>, dice, <<che… c’è lo puliamo pure! Tanto… non è che può immaginare che siamo stati… che siamo stati noi! Si può immaginare che è stato Furia, può immaginare che è stato quello…>>.
Tale omicidio non era stato portato a termine perché nel frattempo il Russotto era stato arrestato (“Minchia, invece, lo hanno arrestato! ”).
Il Francesco a cui si era rivolto Ferraro Emanuele (cl. 74) si ritiene identificabile in Di Benedetto Francesco, dipendente di Bellavia Calogero e vicino all’ucciso Ferraro Emanuele. Tra l’altro, la disponibilità di armi da fuoco da parte del Di Benedetto, viene confermata dallo stesso Ferraro Emanuele nella conversazione del 21.06.2018.
Due sono i collaboratori di giustizia che hanno dato una mano agli inquirenti per venire a capo della lotta fra due clan, quello dei Bellavia-Ferraro e quello dei Distefano, un tempo unito e granitico.
Uno è Giuseppe Quaranta, un tempo rappresentante provinciale di Cosa nostra e poi divenuto collaboratore di giustizia. L’altro è Mario Rizzo, pregiudicato agrigentino che dopo un primitivo intento collaborativo ha ritrattato tutto finendo nuovamente nella casella dei cattivi.
Quaranta ha parole di fuoco soprattutto per Maurizio Distefano fornendo importanti spunti investigativi in diversi interrogatori resi all’autorità giudiziaria.
Uno in particolare molto efficace: “…omissis… in merito al tentato omicidio di Nicotra so che sono stati Michelangelo Bellavia, Antonio Bellavia, Vardaro Carmelo, Ferraro Emanuele e Bellavia Calogero. Anche questo doveva essere un omicidio di ritorsione contro i Distefano, anzi loro credevano che Maurizio fosse insieme a Nicotra …omissis… tutti questi omicidi erano una vendetta per l’uccisione di “Carnazza” ed anzi avevano intenzione di continuare …omissis… mi dissero in merito al tentato omicidio Nicotra che Emanuele Ferraro aveva rubato il Fiorino, e quattro erano dentro il cassone mentre a guidare era Michelangelo Bellavia. A sparare erano stati Ferraro Emanuele, Vardaro Carmelo, Bellavia Antonio e Bellavia Calogero. Tutto quello che dico me lo ha raccontato durante l’incontro Emanuele Ferraro e i Russotto sentivano tutto. Loro erano sicuri che Nicotra era morto ma poi hanno appreso che era ancora vivo …omissis…loro il giorno del tentato omicidio di Nicotra pensavano che ci fosse presente il Distefano in quanto avevano visto un soggetto con il casco e la motocicletta…omissis…”.