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Canicattì, la difficile pax mafiosa tra Stidda e Cosa nostra

La requisitoria nel processo "Xydi" del Pm Claudio Camilleri

Pubblicato 3 anni fa

Un capitolo della requisitoria del pubblico ministero Camilleri nel contesto del processo “Xidy” ha come titolo “La riorganizzazione definitiva degli stiddari. Il ritorno di Antonio Gallea e Santo Rinallo”.

Merita di essere letto perché spiega in maniera molto netta le dinamiche che hanno portato ai vertici della criminalità canicattese la famigerata Stidda.

“Il 14 settembre 2020 veniva monitorata all’interno dei locali dello studio di Porcello Angela l’ennesima riunione tra gli esponenti mafiosi Buggea Giancarlo, Boncori Luigi e Lombardo Gregorio (accompagnato nella

occasione dal figlio Giuseppe).

Nel corso di detto summit i tre mafiosi di rango affrontavano ancora una volta aspetti concernenti le c.d. sensalìe. Giova precisare che, prima dell’incontro nello studio, Buggea si trovava all’esterno del bar Piccadilly di Canicattì in compagnia di Castello Simone e Nigro Luciano. Alle 18:39 transitava di fronte al bar l’auto di Fazio Pietro con a bordo Rinallo Santo che scambiava qualche rapida battuta con Buggea e poi si allontanava. L’episodio è ricostruito dalla Polizia giudiziaria che identificava con certezza il Rinallo come passeggero dell’auto di Fazio, grazie ad alcune coeve intercettazioni telefoniche in cui il passeggero di quest’ultimo veniva chiaramente indicato come “lo zio Santo”.

La conversazione iniziava con il ripetuto riferimento alle fibrillazioni esistenti all’interno del mandamento; fibrillazioni queste causate da alcuni soggetti che agivano senza autorizzazione di Cosa nostra. Dal prosieguo del dialogo si acquisiva, in termini netti e inequivocabili, la conferma dell’operatività sul territorio agrigentino di entrambe le storiche associazioni di stampo mafioso: la Stidda e Cosa nostra.

Acquisizione probatoria di eccezionale portata investigativa era quella relativa al fatto che le due associazioni mafiose, storiche rivali e protagoniste di una notoria e sanguinosa faida tra la metà degli anni ’80 e quella degli anni ’90, si trovano tuttora sul piede di guerra.

Buggea, riportando il contenuto di un incontro che aveva effettuato, aggiungeva che numerosi componenti della Stidda, dopo avere scontato lunghissimi periodi di detenzione, avevano reclamato una fetta del lucroso affare delle sensalìe minacciando una vera e propria guerra qualora ciò gli fosse stato negato. Il canicattese affermava anche che, durante l’incontro avuto, pure lui si era professato a favore della pace, precisando che questa posizione era condivisa anche da Boncori Luigi, da “Favara” e “Palma”, passaggio quest’ultimo chiaramente riferito agli esponenti di Cosa nostra delle due omonime cittadine agrigentine. Buggea indicava la schiera degli stiddari a cominciare dai suoi noti esponenti: Gallea Antonio, Migliore Angelo, Migliore Massimiliano, Avarello Giovanni e Rinallo Santo Gioacchino i quali, provenienti dal contesto mafioso stiddaro e di fatto liberi (ad eccezione di Avarello), si erano nuovamente coalizzati e reclamavano il loro spazio sul territorio, mostrandosi pronti a lottare per ottenere ciò che ritenevano spettasse loro. Tra i componenti del gruppo veniva indicato anche Chiazza Antonino, anche se non tra i più pericolosi ad avviso di Buggea. Boncori evidenziava inoltre che uno di questi soggetti (probabilmente riferito a Chiazza Antonino) aveva agito in maniera sconsiderata in quanto, in relazione ad una compravendita di una ingente partita di uva del valore di 400.000 euro, aveva schiaffeggiato un sensale alla presenza di altre persone.

Buggea asseriva di essersi lamentato con altri referenti mafiosi di tale comportamento e il capomafia ravanusano replicava evidenziando che siffatti atti di violenza incontrollati avrebbero attirato le attenzioni delle Forze dell’ordine. Buggea affermava al riguardo che gli stiddari avevano commesso dei danneggiamenti in conseguenza dei quali egli si era rivolto a Santo Rinallo chiedendogli di sospendere ulteriori iniziative violente poiché “già è scattata la Dda e c’è da stare attenti”.

Ancora dal racconto del Buggea si apprendeva che il Rinallo, su invito del canicattese, aveva redarguito “questo palmese” (che la polizia giudiziaria identifica in Chiazza Antonino). Il successivo tratto di conversazione rendeva oltremodo evidente l’identità dei componenti del gruppo stiddaro. Seguivano quindi dei commenti positivi su Rinallo Santo Gioacchino fatti da Buggea (“Santo Rinallo”, Santo giudizioso è!) e Boncori, con quest’ultimo che però evidenziava che Rinallo si sarebbe potuto muovere meglio in questa situazione mandando un suo emissario a conferire con un soggetto (e cioè con Di Caro Calogero, atteso il ruolo apicale occupato da detto esponente mafioso nel mandamento di Canicattì) per ottenere l’autorizzazione a operare in quel territorio. Boncori faceva inoltre notare a Buggea che la pace mafiosa, per continuare a vigere, doveva essere voluta da tutte le parti e Buggea replicava che gli stiddari cercavano nient’altro che di potere fruire anch’essi della gestione del florido affare delle sensalie. Boncori faceva quindi notare al canicattinese che lui conosceva benissimo tutti questi soggetti alla cui formazione mafiosa aveva dato un contributo determinante; circostanza questa nota a Buggea il quale gli sottolineava a sua volta che detti personaggi nutrivano un profondo rispetto nei confronti dello stesso Boncori.

 Boncori, sempre riferendosi alle dinamiche che vedevano coinvolti gli esponenti del gruppo mafioso di Rinallo e Chiazza, affermava testualmente che occorreva mantenere tutti un basso profilo (a differenza da quanto fatto in passato da “Peppe Puleri”) onde non attirare eventuali investigazioni. A seguire Boncori, riferendosi ai danneggiamenti dei vigneti che erano stati perpetrati, faceva notare a Buggea che Rinallo Santo Gioacchino e gli esponenti del suo gruppo mafioso dovevano assumersi la responsabilità delle azioni che commettevano, nella consapevolezza che, ad un loro errore, sarebbe seguita una adeguata reazione e che cioè, qualora avessero colpito mediatori o soggetti a disposizione di Cosa nostra, la reazione di quest’ultima sarebbe stata tale da fare succedere “un bordello”.

Lombardo confermava l’incontro avvenuto poco prima tra Buggea e Rinallo e affermava che comunque gli stiddari avrebbero fatto bene ad agire con cautela sul territorio: Dalle parole del Buggea si comprendeva quindi che egli aveva in programma di effettuare un nuovo incontro con Rinallo ed al riguardo il navigato uomo d’onore Boncori dava al canicattinese precise indicazioni su come comportarsi, suggerendo di mantenere una condotta prudente e apparentemente improntata al mantenimento della vigente pax mafiosa tra Cosa nostra e Stidda, ma di fatto non escludendo del tutto la possibilità che potesse esserci un nuovo scontro armato. Buggea faceva allora presente a Boncori di avere rassicurato Rinallo circa le intenzioni pacifiche di Cosa nostra e di avere a sua volta ricevuto dal Rinallo analoghe rassicurazioni sulla sua intenzione di mantenere anche nel territorio di Canicattì una pax mafiosa già vigente nel territorio di Palma di Montechiaro. Boncori chiedeva allora conferma del fatto che gli esponenti del gruppo mafioso di Rinallo avessero parlato con un soggetto (chiaramente riferito a Di Caro Calogero) ed otteneva rassicurazioni in tal senso dal Buggea. Facendo evidente riferimento all’agguato che (come giudizialmente accertato) per mano della Stidda l’11 marzo 1991 subì Di Caro Calogero restando nell’occasione ferito ad un occhio, Boncori manifestava dei dubbi circa la possibilità che lo stesso Di Caro potesse raggiungere un accordo con Rinallo. Buggea replicava dicendo che la questione era comunque irrilevante poiché del medesimo schieramento mafioso del Rinallo faceva parte anche un altro soggetto (non menzionato) in buoni rapporti con il capo mandamento canicattinese. Dopo circa un mese e precisamente il 13 ottobre 2020, sempre all’interno dello studio legale, Buggea dialogava con la compagna e sodale Porcello, con la quale condivideva riservate informazioni circa il ruolo che egli, quale autorevole uomo d’onore del mandamento di Canicattì, stava svolgendo al fine di favorire il mantenimento della pax mafiosa tra Cosa nostra e la Stidda.

Ed invero, nel corso del dialogo, ad un tratto Buggea raccontava alla Porcello di avere effettuato quella stessa mattinata un incontro con “Gallea” che la polizia giudiziaria ha identificato nello stiddaro Gallea Antonio (come visto già espressamente citato nel corso della riunione del 14 settembre 2020), come detto condannato irrevocabilmente per mafia, e per l’omicidio del giudice Rosario Livatino.

Buggea affermava poi che l’esponente mafioso stiddaro gli aveva detto che si trovava “qua” (ossia a Canicattì) da quattro giorni e che aveva provato a contattarlo tramite suo fratello; l’indagato aggiungeva inoltre che aveva a sua volta detto a Gallea che la madre, da cui non si recava da alcuni giorni, lo aveva solo avvisato (telefonicamente) del fatto che tale “Gianni” gli voleva parlare, indicazione questa certamente riferita ad un soggetto legato a Gallea che faceva da tramite per le comunicazioni tra lo stiddaro e lo stesso Buggea. Buggea raccontava dunque alla Porcello il contenuto della riunione svolta con l’esponente stiddaro, il quale gli aveva riferito: che sarebbe dovuto partire in quella stessa giornata alle ore 11:30; che, in relazione a quanto stava accadendo sul territorio, qualcosa non stava andando nel verso giusto, o comunque per come era stato concordato;  che Gallea aveva dato al Buggea la sua “parola d’onore”, rassicurandolo del fatto che nel 2021 non ci sarebbero stati più danneggiamenti di vigneti; che il gruppo mafioso di Gallea si era reso sicuramente responsabile di almeno un danneggiamento di vigneto, ma non era responsabile di altri quattro analoghi eventi. Buggea commentava quindi ciò che gli aveva detto Gallea e cioè che vi fosse “qualcuno” che, non inquadrato nei due schieramenti mafiosi che operavano di fatto in una situazione di equilibrio molto precario nel settore delle mediazioni, stava cercando di creare frizioni (“fudda”), mettendo anche in giro la voce che gli stiddari giravano per negozi a chiedere il pizzo.

Buggea evidenziava inoltre che Gallea aveva assicurato che loro non erano coinvolti nel danneggiamento del vigneto di “furficicchia” (identificato dalla polizia giudiziaria nel proprietario terriero Lo Brutto Diego, effettivamente vittima di un danneggiamento) e che anzi erano intenzionati a scoprire chi ne fosse stato il responsabile. A seguire, sempre riportando ciò che gli aveva detto Gallea, Buggea diceva qualcosa (non interamente decifrabile a causa di alcune parole incomprensibili) che riguardava proprio Porcello Angela e aggiungeva di avere a sua volta raccontato allo stiddaro che la sua compagna/sodale era stata in un posto a fare qualcosa, facendo in questo ambito riferimento a dei soggetti da cui lo stesso Gallea aveva preso le distanze. Senza alcuna soluzione di continuità, Buggea raccontava che Gallea (quella mattina) aveva convocato anche “Santo” (ossia evidentemente lo stiddaro Rinallo Santo Gioacchino) il quale gli aveva di fatto rappresentato la necessità di partecipare alla spartizione degli affari delle sensalie poiché, appena scarcerati, avevano impellenti bisogni economici. Buggea sottolineava allora alla Porcello di avere manifestato la sua disponibilità nei confronti degli stiddari e delle esigenze che Rinallo gli aveva rappresentato, affermando di essersi già attivato con alcuni mediatori ai quali aveva detto che, per le loro attività (comprese quelle che vedevano

coinvolto lo stesso Buggea quale venditore di partite di frutta), adesso avevano dei “soci”, ossia altri referenti mafiosi (gli stiddari) a cui dovevano obbligatoriamente destinare parte dei loro guadagni così come avrebbe fatto lui stesso. A seguire Buggea raccontava alla Porcello di avere ribadito in termini chiari al Gallea di essere pronto a farsi portatore, all’interno di Cosa nostra, delle esigenze degli stiddari.

Emergeva dunque la strategia del canicattese, il quale intendeva così porsi quale ponte tra le due associazioni mafiose ciò che gli avrebbe certamente consentito di acquisire ulteriore prestigio in seno al contesto mafioso agrigentino, assicurandosi l’appoggio degli stiddari nei cui confronti invece, come visto nel corso della riunione del 14 settembre 2020, il Boncori aveva raccomandato particolare cautela addirittura dichiarandosi pronto alla

guerra.

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