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Ad Agrigento “i morti non seppelliscono i loro morti”

Diego Romeo e Paolo Cilona conversano nella “Sicilia agrigentina”

Pubblicato 2 anni fa

 “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti”.  

La frase evangelica col suo  significato si riferisce al fatto di non dare più credito a qualcuno che aveva potere ma che nei fatti non ne ha più, anche se si comporta come se avesse ancora autorità. Così Agrigento si comporta attribuendo onoranze elettorali alla morta gora della politica che si riflette in parte nella gestione cimiteriale. Pensa un po’, quattro cimiteri per Agrigento.  Bonamorone, il monumentale dove le tombe si sovrappongono una sull’altra in un dedalo di viuzze e strettoie, quello di Piano Gatta dove le salme non trovano sepoltura, quello di Montaperto con la sua storia di piccola borgata, infine quello della Valle dei templi riservato ai “Giusti” scelti rigorosamente dall’Accademia del Mediterraneo.

Una mappa  che denota la cifra del conservatorismo nostrano e con un cimitero ridotto a “istituzione totale”.

I quattro cimiteri hanno una loro storia. Quello monumentale di Bonamorone aveva una prospettazione di tutto rispetto sul piano urbanistico. Dopo la frana di Agrigento del 19 luglio 1966, molti spazi liberi del cimitero furono presi di mira, (in attesa della costruzione del nuovo cimitero), con tutte le aree libere da destinare a loculi. Detta situazione  creò un forte imbarbarimento delle aree libere sulle quali sono state innalzate nuove sezioni creando stretti corridoi tra le tombe. Attorno alle concessioni cimiteriali sono nate anche carriere politiche. La concessione di un posto libero al Bonamorone costituiva per la famiglia del caro defunto un obbligo soprattutto sul piano  politico. Da qui il grave disordine edilizio ed urbanistico del cimitero. Per quanto riguardo la mancata tumulazione nel cimitero di Piano Gatta, ci lascia fortemente turbati ed increduli. Dobbiamo avere maggiore rispetto per i nostri cari defunti. Hanno ragione i familiari di protestare e di criticare una situazione non più sostenibile. Quello della Borgata di Montaperto e lì sulla collina, mentre quello creato appositamente dall’Accademia del Maditerraneo nel cuore della Valle dei Templi è del tutto estraneo alla storia millenaria del luogo. Lo abbiamo detto e ridetto  il giardino dei giusti merita altra zona,  quella del piano di San Gregorio”.

Una città che si indigna per una cena riservata ai poveri e poi però tace sui più gravi problemi della città. I social continuano ad essere anche una trappola per le nostre  contraddizioni.

“Gli agrigentini amano la visibilità. Pur di entrare nel circuito mediatico vestono i panni a seconda la convenienza. Tutti trincerati dietro convinzioni immutabili, tutti depositari esclusivi della verità, tutti garantisti come gli ortodossi e forcaioli con i nemici, che sono sempre incapaci di gestire il bene comune. Attaccano la Chiesa pur non essendo credenti. Facciamocene una ragione, richiamando in tale circostanza l’attualità del pensiero sempre vivido del poeta  Giuseppe Serroy. Un pensiero storico che va oltre la satira agrigentina”.

Chiude la libreria Mondadori in via Atenea. Non sembra un buon segno per le ambizioni di “capitale della cultura”.

“La chiusura di una biblioteca costituisce una profonda ferita alla cultura, all’arte, alla bellezza della lettura sotto qualsiasi forma sociale. È la morte del pensiero, della sapienza, della poesia, dei temi di grande attualità. Ad Agrigento si legge poco e non si acquistano libri. C’è una cattiva abitudine, quella di avere il libro gratis e magari pretendere la firma con l’autografo da parte dell’autore. Si racconta che una signora aveva chiesto ad un autore dove poteva trovare il suo libro. Lo scrittore le indicò la libreria, e la richiesta finì poi nel dimenticatoio. Si rincontrarono e per l’ennesima volta la signora chiese dove potesse trovare il libro. Insomma era solo un modo per sentire dallo scrittore la frase: signora non si preoccupi vada a nome mio per ritirarlo in modo omaggiato. La chiusura della Mondadori ad Agrigento è la riprova   di una realtà fuori misura per una città che aspira al titolo della cultura”.

Difficilmente si bandiscono i concorsi nel settore sanitario mentre i Pronto soccorso sono diventati luoghi di paura e disagio. Forse per questo i governi ritardano a formarsi per dividersi le torte e le “dritte” amministrative?

“Si, proprio come tu affermi. Tenere a bagnomaria tanti giovani medici è un delitto verso la comunità. Solo al Sud si mantengono rapporti precari per mantenere una sudditanza psicologica ed elettorale. I contratti a breve termine rende vulnerabile il giovane medico costretto a chiedere aiuto politico per mantenere il posto seppure da precario. Una macchina oleata dalla politica per mantenere il consenso elettorale. Da qui un servizio sanitario non sempre ottimale a causa di un malcostume. Chi è di ruolo in pianta stabile non ricorre al politico di turno, mentre il precario sarà sempre obbligato a bussare la porta. Nessuno fa giusta critica sull’andazzo da terzo mondo dei pronto soccorso, delle lunghissime attese, dei risultati delle analisi, le lunghe file dei ricoveri. Questa grave situazione non viene probabilmente affrontata per mantenere il precariato. E’ guerra politica all’interno della stessa maggioranza per avere l’assessorato alla sanità, per gestirlo in modo clientelare. Ma qui nessuno si ribella, nessuno critica, nessuno si chiede del perché la Sanità pubblica è così mal ridotta. Una sola parola: indifferenza”.

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