Aragona

Mafia, Angela Porcello irrompe nel processo Xidy: “Falsone voleva la pax mafiosa con la Stidda”

Svelato l'elenco dei beni, uno per uno, di proprietà reale del boss di Campobello di Licata ma formalmente intestati ad altri, dei prestanome

Pubblicato 4 mesi fa

Angela Porcello irrompe nel processo Xidy. L’ex avvocato, arrestata e condannata a 15 anni e 4 mesi proprio nello stralcio abbreviato di questa operazione sul mandamento mafioso di Canicattì, è comparsa questa mattina in videocollegamento dal carcere davanti i giudici della Seconda sezione penale del Tribunale di Agrigento presieduta da Wilma Angela Mazzara.

L’ex penalista, ritenuta al vertice del mandamento al fianco del compagno Giancarlo Buggea, è stata chiamata a testimoniare nel filone processuale che segue il rito ordinario e che vede 9 persone sul banco degli imputati: si tratta di Giuseppe Falsone, boss ergastolano di Campobello di Licata e capo provinciale di Cosa Nostra; Antonino Chiazza, 52 anni, di Canicattì; Pietro Fazio, 49 anni, di Canicattì; Santo Gioacchino Rinallo, 62 anni di Canicattì; Antonio Gallea, 65 anni di  Canicattì; Filippo Pitruzzella, 61 anni, ispettore della polizia in pensione; Stefano Saccomando, 45 anni di Palma di Montechiaro; Calogero Lo Giudice, 48 anni di Canicattì; Calogero Valenti,  58 anni, residente a Canicattì.

La Porcello, rispondendo alle domande delle parti per oltre un’ora, ha riferito su diverse tematiche: dagli incontri dell’ex compagno Giancarlo Buggea con la famiglia dei Capizzi di Ribera ai beni e ai presunti prestanome del boss Giuseppe Falsone. L’ex avvocato, in aula, ha anche spiegato il significato di alcune intercettazioni disposte durante le indagini. Tra tutte quella registrata in carcere proprio con Falsone quando quest’ultimo usò la metafora del “cacocciolo” (il carciofo) per evidenziare il vuoto di potere in atto.

E’ in forma Angela Porcello, diversamente dalle ultime volte vista in videoconferenza. Ben curata, capelli in ordine, camicetta giallo-oro che salta subito all’occhio e, soprattutto, pensieri e circostanze da riferire ai giudici in maniera organica, netta e senza titubanze. Continua a professarsi collaborativa con la giustizia, anche se da questo orecchio la Direzione distrettuale antimafia, presente in udienza oggi con il pubblico ministero Claudio Camilleri, non ci sente. E oggi, tra le tante cose dette, dopo aver parlato delle missive che il boss Falsone le ha consegnato per farle arrivare ad un giornalista agrigentino (precisando: “non era un messaggio mafioso da far veicolare”) cala una serie di assi che giocoforza influiranno sulle investigazioni in corso e quelle da compiere. A cominciare dai beni di proprietà reale del boss di Campobello di Licata ma formalmente intestati ad altri, dei prestanome, elencati uno per uno e mai finiti all’esame dei magistrati inquirenti. Elencati uno per uno, dunque, e sono tanti, con accanto i nomi dei formali intestatari. La Dda avrà di che lavorare adesso, per trovare i dovuti riscontri e, procedere secondo legge. Di sicuro emerge un dato: moltissimi beni del capomafia Falsone non sono stati sequestrati e producono locupletazioni illecite.

Un altro passaggio cruciale della deposizione dell’ex avvocato finito in manette nel gennaio 2021 perchè ritenuta partecipe e “consigliori” della cosca mafiosa canicattinese guidata dall’ex compagno di vita, Giancarlo Buggea, riguarda i messaggi, quelli si mafiosi, che Falsone mandava ai suoi associati. Angela Porcello conferma: si ho trasmesso messaggi per gli associati, in primis Buggea. E’ avvenuto in occasione della mia ultima visita, da difensore, al detenuto Falsone avvenuta nel carcere di Novara e nel corso di alcuni colloqui telefonici con il medesimo boss. In particolare, ha chiarito il significato della frase, immediatamente comunicata a Buggea (che per il boss campobellese dovevva essere il suo successore), pronunciata da Falsone che aveva il seguente tenore: “Se dovessi tornare in libertà, andrei immediatamente in Svizzera”. Perché proprio in Svizzera, chiede Angela Porcello. E il boss di rimando chiarisce: “Perché la Svizzera è un paese neutrale”. Tutti, investigatori, giudici, esperti di vicende di mafia si sono messi a decifrare il messaggio per darne l’esatto significato. Nessuno però era riuscito a dare risposte certe. Lo ha fatto oggi Angela Porcello: ho comunicato tutto a Giancarlo Buggea e lui ha capito. Falsone voleva in quel momento una pax mafiosa sul territorio. Voleva un avvicinamento tra Cosa nostra e Stidda, soprattutto, nel territorio canicattinese. Insomma, anche dal carcere impartiva ordini ai suoi associati e manifestava chiaramente la sua preferenza con riguardo al suo successore, ossia Giancarlo Buggea. Ed in effetti, le indagini che hanno portato all’odierno processo hanno documentato numerosi incontri tra Buggea ed esponenti di rilievo della Stidda canicattinese. Incontri tutti avvenuti all’interno dello studio legale della professionista, ritenuto al riparo da ogni attività di intercettazione e controllo. Ma, come raccontano le carte di questo processo, non è stato così. Le carte raccontano anche che nonostante i desiderata di Falsone che voleva al suo posto Buggea, l’avvicendamento non è stato scontato anzi. Bisognava vincere le inevitabili resistenze del mammasantissima di Canicattì, Lillo Di Caro. E queste fibrrillazioni sono venute compiutamente fuori e giustificare l’atteggiamento guardingo e talvolta doppiogiochista di Buggea il quale, tuttavia, incassava il gradimento degli stiddari di primo piano di Canicattì come hanno dimostrato le intercettazioni.

L’interrogatorio di Angela Porcello non è ancora terminato. Riprenderà il prossimo 5 settembre. E dato che oggi non si è parlato di Matteo Messina Denaro, sarà quella l’occasione per far specificare meglio alla imputata il tenore dei rapporti mantenuti da Giancarlo Buggea con il defunto boss e soprattutto, i rapporti intercorsi tra la stessa Porcello e numerosi parenti del defunto boss di Castelvetrano. L’avvocato Giuseppe Scozzari che difende Angela Porcello ha già anticipato, alla luce delle dichiarazioni odierne, che chiederà una misura meno afflittiva per la sua assistita, ossia gli arresti domiciliari.

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