Mafia

Beppe Montana, il poliziotto agrigentino che sfidò la mafia: 38 anni fa l’omicidio

A Beppe Montana, eroe agrigentino, siciliano, il 21 marzo 2018 è stato intitolato il palazzo sede della Questura di Agrigento

Pubblicato 11 mesi fa

28 luglio 1985. Sono trascorsi trentotto anni dalla vigliacca uccisione di Beppe Montana, poliziotto agrigentino a capo della mitica sezione catturandi della Squadra mobile di Palermo. Il commissario Montana, nato ad Agrigento nell’ottobre 1951, figlio di un funzionario del Banco di Sicilia, era un cacciatore di latitanti. Uno “sbirro” di quelli veri, mente raffinatissima che riuscì ad ottenere risultati di spessore in quegli anni di mattanza: il ritrovamento dell’arsenale di Michele Greco, il “papa” di Cosa Nostra; il maxi blitz San Michele, l’arresto del boss Tommaso Spadaro.

Tre giorni prima del suo omicidio era riuscito   ad interrompere un importante summit mafioso in una villetta di Buonfornello. Montana era diventato pericoloso per Cosa Nostra. Il 28 luglio 1985 vengono mandati killer di primo piano per fermarlo: Agostino Marino Mannoia, Pino “Scarpuzzedda” Greco e Giuseppe Lucchese. Una ventina di colpi sparati da una 357 Magnum ed una calibro 38. Montana venne ucciso nel porto di Porticello, a Santa Flavia, a pochi passi da dove era ormeggiato il suo motoscafo. A Beppe Montana, eroe agrigentino, siciliano, il 21 marzo 2018 è stato intitolato il palazzo sede della Questura di Agrigento.

“Oggi ricorre l’anniversario dell’assassinio di Beppe Montana ucciso dai killer di Cosa Nostra. Dopo la sua morte si scopre che la sua decisione di affittare una casa a Ponticello non è stato un caso. Voleva tenere sott’occhio una zona ad alta densità mafiosa, quella della costa est di Palermo. Coltivare la memoria del suo omicidio è uno stimolo a diffondere la cultura della legalità, infatti siamo convinti che essa sia la migliore arma per troncare il fenomeno mafioso”. Così il segretario dell’Associazione nazionale funzionari di polizia, Enzo Letizia, ricordando il poliziotto ucciso nel 1985. “Montana – aggiunge Letizia – continuava a fare il suo lavoro anche quando era libero del servizio, essere testimoni della cultura della legalità lo si è sempre in ogni azione quotidiana”.

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