Uccise il cardiologo Alaimo, la condanna di Vetro: “Disturbi personalità ma non vizio totale di mente”
Il cuore del processo era rappresentato non tanto nello stabilire se effettivamente Vetro fosse l’esecutore materiale del delitto quanto alla sua capacità di intendere e volere
“La genesi della condotta del Vetro, da collocare nell’ambito degli stati emotivi e passionali e non del vizio totale di mente che comunque hanno inciso i suddetto tratti paranoidi, assume rilievo nell’ambito del giudizio di concessione delle attenuanti generiche”. La Corte di Assise di Agrigento, presieduta dal giudice Giuseppe Miceli, ha depositato le motivazioni della sentenza con la quale sono stati inflitti 22 anni di reclusione ad Adriano Vetro, 40 anni, di Favara, collaboratore scolastico che il 29 novembre 2022 uccise con un colpo di pistola il cardiologo Gaetano Alaimo all’interno della sua clinica.
Il cuore del processo era rappresentato non tanto nello stabilire se effettivamente Vetro fosse l’esecutore materiale del delitto, circostanza supportata da innumerevoli e incontrovertibili prove a cominciare dalla confessione dello stesso bidello, quanto alla sua capacità di intendere e volere al momento dei fatti. Quest’ultima tesi è stata sostenuta fin dal principio dalla difesa dell’imputato, rappresentata dagli avvocati Santo Lucia e Sergio Baldacchino. Del parere opposto – ovviamente – i legali della parte civile Giuseppe Barba, Vincenzo Caponnetto e Nicola Grillo. Nel corso del dibattimento sono stati acquisiti ben quattro pareri psichiatrici, ritenuti contraddittori tra loro. Motivo per il quale la Corte ha deciso di nominare un pool di esperti in grado di giungere ad una conclusione sul quesito madre dell’intero processo. La relazione finale è stata decisiva ai fini della decisione: “Il Vetro presentava tratti paranoidi di personalità, i quali non configurano una vera e propria patologia psichiatrica strutturata e quindi non incidevano gravemente sulla sua capacità di intendere e volere né sul suo funzionamento sociale e lavorativo”. A giudizio dei periti, dunque, “La dinamica dei fatti giustifica l’ipotesi che Vetro, al momento del fatto omicidiario, non presentasse infermità tali da incidere sulla capacità di intendere e di volere”.
OMICIDIO DOLOSO, PREMEDITATO E PER FUTILI MOTIVI
Vetro, a cui è stata riconosciuta una forma di disturbo della personalità costituito dai “tratti paranoidi di personalità”, è stato comunque condannato per omicidio doloso con le aggravanti della premeditazione e dei futili motivi. La Corte di Assise spiega il perchè: “Non può dubitarsi che nel caso di specie ricorrano tutti gli elementi costitutivi del delitto di omicidio doloso ascritto all’imputato [..] risulta che la condotta del Vetro sia stata sorretta dalla forma più intensa di dolo, cioè quello intenzionale, avendo egli perseguito l’evento morte del dott. Alaimo come scopo finale del proprio agire”. “È possibile ritenere ampiamente integrata la contestata circostanza aggravante della premeditazione e ciò avuto riguardo: al perdurare e al radicamento nella psiche del Vetro del proposito criminoso; al sentimento di delusione, rabbia e frustrazione insorto in occasione della visita presso il dott. Alaimo del 28.11.2022 (il giorno prima dell’omicidio); all’attesa del momento propizio per colpire; alla causale dell’omicidio, non riconducibile ad un momento d’impeto ma al sedimentato sentimento di frustrazione e rabbia per il nuovo ostacolo frapposto al rinnovo della patente, che dimostra come, rispetto alla sua attuazione, l’insorgenza del proposito criminoso non sia stata dovuta ad una preponderante occasionalità ma ad una premeditata elaborazione e ponderazione, come ammesso dallo stesso Vetro Adriano, che ha richiesto per la sua attuazione un congruo lasso temporale rispetto all’esecuzione dell’omicidio; alla scelta del tempo, del luogo e dei mezzi di esecuzione. Si allude, quindi: alla pistola abusivamente detenuta ed illegalmente trasportata dall’imputato il giorno del fatto, che l’imputato non avrebbe avuto alcuna plausibile ragione per portare con sé se non quella di utilizzarla per eliminare il dott. Alaimo; al luogo e al giorno dell’omicidio, realizzato con le modalità di un vero e proprio agguato, commesso presso lo studio del dott. Alaimo, ove il Vetro faceva ingresso in mancanza di appuntamento e ove attendeva l’arrivo del professionista per poi esplodere un colpo di pistola alle spalle del dott. Alaimo, dopo che quest’ultimo, entrando, lo aveva visto e si stava dirigendo nella sua stanza; alle modalità esecutive del delitto, commesso con azione fulminea e con 1’esplosione di un colpo in zona vitale, circostanze chiaramente indicative non di un delitto di impeto o sorretto esclusivamente dal dolo intenzionale bensì frutto del perdurare nell’animo del Vetro di una risoluzione ferma e irrevocabile. Ed infatti, la condotta dell’odierno imputato è stata posta in essere certamente non per una reazione estemporanea quanto per un sentimento di rabbia e frustrazione protratto o quantomeno ponderato per il tempo utile alla programmazione di una linca di azione; come confessato dallo stesso imputato, quest’ultimo ha portato l’arma in luogo pubblico, evidentemente perché già pronto per l’aggressione o, comunque, perché pronto a cogliere l’occasione utile per dare attuazione al sedimentato proposito criminoso, circostanza, questa, supportata dall’aggressione agita a freddo; peraltro, la lucida preparazione e la ferma predeterminazione risulta corroborata dalle modalità dell’azione antecedente alla condotta e dal comportamento successivo (lucida attesa presso lo studio del professionista per diversi minuti in attesa dell’arrivo dello stesso e allontanamento immediato). E’, stata posta in essere, dunque, una risoluzione criminosa con quelle caratteristiche e con modalità tali che concorrono a connotare in termini di premeditazione la condotta delittuosa dell’imputato, sussistendo l’elemento cronologico e quello ideologico della circostanza aggravante, avendo avuto il Vetro tempo a sufficienza per maturare il proposito omicidiario, la cui ideazione si colloca in un momento antecedente a quello dell’azione, dalla quale non ha in alcun modo inteso recedere mantenendo saldo, senza soluzione di continuità, il proposito di uccidere il dott. Alaimo. Avuto riguardo al complessivo compendio probatorio e alle lucide dichiarazioni confessorie del Vetro, risulta pure provata la contestata circostanza aggravante dei futili motivi essendo stata la determinazione criminosa indotta da uno stimolo esterno di tale levità, banalità e sproporzione rispetto alla gravità del reato da apparire secondo il comune sentire assolutamente insufficiente a provocare l’azione criminosa. Peraltro, è stato 1o stesso imputato a spiegare di avere riposto fiducia nel dott. Alaimo e di essersi affidato alle sue cure, circostanza che esclude pregressi contasti idonei in qualche modo a suscitare una condotta del tipo di quella oggetto di giudizio”.
LE PROVE A CARICO DELL’IMPUTATO
Scrive la Corte di Assise:“La prova che a commettere l’omicidio sia stato l’imputato deriva, infatti, innanzitutto proprio dalle dichiarazioni confessorie rese dal Vetro, sin dal primo contatto con le Forze dell’Ordine e poi con l’Autorità Giudiziaria, confessione ribadita sia dinnanzi al P.M. (in sede di interrogatorio ex art. 388 c.p.p.), che in sede di convalida dell’arresto davanti al Gip. Nel caso in esame, le dichiarazioni confessorie hanno, però, trovato piena conferma in tutte le prove acquisite nel contraddittorio delle parti. Tra queste, si vogliono ricordare in particolare le prove dichiarative derivanti dalle numerose testimonianze, anche di testi oculari, che hanno visto materialmente l’imputato sparare al dott. Alaimo, o le dipendenti dello studio medico che hanno sentito colpi di arma da fuoco e, poi, hanno visto il corpo esanime del dottore steso per terra. L’acquisizione delle immagini delle videocamere di sorveglianza installate all’esterno dello studio medico costituiscono un’ulteriore piena conferma di quanto fin qui ricostruito, avendo ritratto nitidamente la fase antecedente e successiva all’omicidio – durante la quale il Vetro dapprima faceva ingresso al predetto studio e poi, dopo l’esplosione del colpo di arma da fuoco, se ne allontanava, indossando sempre gli stessi capi di abbigliamento, poi rinvenuti presso la sua abitazione. Il ritrovamento della pistola presso l’abitazione del Vetro, all’interno della sua camera da letto, e le comparazioni balistiche hanno consentito di affermare con certezza che i bossoli e l’ogiva rinvenuti accanto al cadavere e in sede di autopsia sono stati esplosi dall’arma in uso all’imputato.”