Giudiziaria

“Nessuno la visita, lei muore a 26 anni”: familiari chiedono 391mila euro alla coop che gestiva hotspot

Marito e figli di Fatoumata, deceduta a soli 26 anni per un’embolia, chiedono maxi risarcimento alla coop che gestiva l’hotspot

Pubblicato 2 mesi fa

Un risarcimento del danno di 391 mila euro o, in subordine, una provvisionale immediatamente esecutiva non inferiore a 100 mila euro. Sono le richieste avanzate, tramite gli avvocati Leonardo Marino e Angelo Farruggia, dai familiari di Fatoumata Bamba, l’ivoriana morta nel febbraio scorso a soli 26 anni nell’ambulatorio dell’hotspot di Lampedusa a causa di un’embolia polmonare. Per ben cinque ore nessuno, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, effettuò alcuna visita o eseguì anche il più basilare accertamento nonostante gli evidenti segnali di una allarmante sintomatologia respiratoria. La donna, madre di due figli, morì poco dopo. Un decesso che, secondo i consulenti del pubblico ministero, poteva e doveva essere evitato. 

La procura di Agrigento ha così chiesto negli scorsi mesi il rinvio a giudizio di un medico in servizio al poliambulatorio dell’isola per il reato di omicidio colposo. L’udienza preliminare si sta celebrando davanti il gup Micaela Raimondo. I legali della parte civile hanno chiesto la citazione, ai fini del risarcimento del danno, dei responsabili civili: il Ministero dell’Interno, la Prefettura di Agrigento e la società Badia Grande, la cooperativa che per anni ha gestito l’hotspot di Lampedusa prima dell’arrivo della Croce Rossa Italiana. Il giudice ha dato l’ok soltanto per la coop escludendo invece le prime due.  

Per gli avvocati dei familiari la cooperativa avrebbe chiare responsabilità “per non avere adempiuto adeguatamente all’obbligazione contrattuale avente ad oggetto il “servizio di assistenza sanitaria” e “non aver assicurato un servizio di assistenza sanitaria – complementare alle prestazioni garantite dal Servizio Sanitario Nazionale”. La responsabilità della Coop, sempre secondo quanto sostenuto dalla parte civile, sussiste anche se l’inadempimento è causato dal comportamento di un medico operante nella struttura in quanto “l’attività professionale svolta dall’imputato risultava inserita nell’organizzazione che la stessa Società aveva predisposto per l’erogazione del servizio di assistenza sanitaria”. 

LA STORIA

Il calvario di Fatoumata Bamba, madre di due bimbi, comincia proprio nell’infermeria dell’hotspot dopo essere stata dimessa dall’ambulatorio di Lampedusa. La donna, stremata dal viaggio in mare, viene descritta dal medico di turno come “affaticata e con un lieve affanno”. Sono le 14 del pomeriggio del 18 febbraio 2023. Per cinque ore, si legge nella consulenza redatta dallo specialista in medicina legale Alberto Alongi, dallo specialista in anatomia patologica, Emiliano Maresti, e dallo specialista in cardiologia Pietro Di Pasquale, il medico “nonostante fosse in presenza di un’allarmante e perdurante sintomatologia respiratoria, dovuta all’embolia polmonare in corso, si limitò ad osservare la paziente senza eseguire alcun tipo di accertamento, neppure la più essenziale rilevazione dei parametri vitali o un esame obiettivo.” La donna morì alle 20. Per i consulenti del pm “la paziente, dopo un’iniziale valutazione, andava tempestivamente inviata presso al poliambulatorio al fine di garantire l’esecuzione delle consulenze specialistiche disponibili e degli accertamenti strumentali necessari per evidenziare il problema embolico” – ma soprattutto – “si può ritenere che una condotta alternativa da parte del medico avrebbe, con elevata probabilità, scongiurato il decesso.” 

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