Giudiziaria

L’omicidio di Pasquale Mangione, le motivazioni: “Il racconto del dichiarante è credibile”

Scrivono i giudici: “Il dichiarante è attendibile ma il riscontro decisivo è dato dalle intercettazioni”

Pubblicato 2 mesi fa

Sono state depositate le motivazioni della sentenza con la quale la Corte di Assise di Agrigento, presieduta dal giudice Wilma Angela Mazzara, ha condannato tre mesi fa all’ergastolo Roberto Lampasona, 46 anni, di Santa Elisabetta, per l’omicidio di Pasquale Mangione, ex impiegato comunale di Raffadali ucciso il 2 dicembre 2011 nelle campagne di contrada Modaccamo. L’imputato, vecchia conoscenza del panorama criminale agrigentino, è ritenuto uno degli esecutori materiali del delitto. Un vero e proprio “cold case” portato alla luce a distanza di nove anni dall’omicidio grazie (anche) alla collaborazione di uno degli organizzatori dell’agguato. Ed è proprio centrale, in quasi cento pagine di motivazioni della sentenza, la figura del dichiarante Antonino Mangione, che avrebbe partecipato alla fase organizzativa dell’omicidio. Le dichiarazioni di Mangione, infatti, sono risultate “illuminanti” per le indagini condotte dalla Squadra mobile di Agrigento che ha poi trovato riscontro anche dalle successive attività di intercettazione nei confronti dei protagonisti. Nello stralcio abbreviato della vicenda, Antonino Mangione è stato condannato a 10 anni di reclusione mentre la Cassazione ha annullato la sentenza di condanna a 16 anni per Angelo D’Antona disponendo un nuovo processo per verificare la sussistenza dell’aggravante della premeditazione, circostanza che invece era stata esclusa nel precedente grado di giudizio comportando così il dimezzamento della condanna in favore dell’imputato. https://www.grandangoloagrigento.it/giudiziaria/lomicidio-dellimpiegato-di-raffadali-annullata-condanna-a-dantona-valutare-premeditazione

Scrivono i giudici:Quando Antonino Mangione ha reso le prime dichiarazioni, pur con un significativo trascorso criminale alle spalle, si trovava in stato di libertà e, dal momento che l’autorità giudiziaria non era in possesso di alcun elemento indiziario a carico di alcuno dei possibili autori dell’omicidio era, agli occhi degli inquirenti, del tutto estraneo al delitto. Egli in buona sostanza ha spontaneamente confessato, da libero, un omicidio ed i reati ad esso connessi, risalenti a ben sette anni prima per i quali non era neppure lontanamente sospettato”. E ancora, spiegando il perchè la credibilità soggettiva del dichiarante è genuina, i giudici proseguono: “La spontaneità e la genuinità delle propalazioni risultano avvalorate dalla circostanza che Mangione non si è limitato ad accusare principalmente altro soggetti, circoscrivendosi in un ruolo limitato e secondario, ma si è attribuito il ruolo di promotore, pianificatore e organizzatore dell’omicidio e dei reati a questo connessi. Mangione, in sostanza, si è dipinto come il principale artefice del delitto.” 

Sull’attendibilità intrinseca, invece, la Corte di Assise scrive:L’esame delle dichiarazioni di Mangione, atomisticamente e unitariamente valutate, consente di formulare un giudizio positivo di attendibilità delle stesse [..] Le dichiarazioni, seppur sintetiche, sono state costantemente ribadite nel tempo, con ricchezza di dettagli originali, oggettivi e per lo più riscontrabili, che nella sostanza consentono di escludere qualunque ipotesi di recepimento manipolatorio di propalazioni precedentemente acquisite ed articolate in un quadro coerente e plausibile. Sotto questo aspetto si ritiene che le discrasie e le contraddizioni nel narrato offerto, da un lato, appaiono pienamente spiegabili nel contesto di un’esecuzione sofferta e complicata dalle precarie condizioni fisiche di Mangione, e dall’altro appaiono comunque riferibili a particolari marginali della vicenda, senza incidente sulle circostanza dettagliate di rappresentazione, nonché di tempo e di luogo del fatto, quali il movente, il giorno della settimana in cui era stato commesso l’omicidio, le modalità preparatorie ed esecutive dell’uccisione (calibro dell’arma e inceppamento della stessa nonché la circostanza che la vittima sarebbe stata ferita, prima in modo non letale, con colpi di arma da fuoco e poi finita con dei colpi in testa), le condizioni atmosferiche, il fatto che uno degli esecutori materiali sia rimasto ferito. Tali circostanze estremamente dettagliate e particolareggiate, oltre ad essere state sempre linearmente riferite, appaiono conoscibili solo da parte di chi fosse stato coinvolto direttamente nell’omicidio ed appaiono, almeno alcune delle quali, riscontrate puntualmente dai rilievi di polizia giudiziaria e accertamenti medico-legali”. 

Infine la Corte di Assise scrive: “Per ciò che attiene alla attendibilità estrinseca questa Corte ritiene che il racconto di Mangione sia sostenuto da plurimi, significativi ed univoci elementi di riscontro, che consentono quindi di recepire in pieno il contributo di conoscenza da lui fornito [..] Se i riscontri esterni costituiscono importantissime conferme alla versione dei fatti narrata, il riscontro decisivo per la forte conducenza individualizzante, nei confronti dell’imputato Lampasona – ed anche dell’originario coimputato Angelo D’Antona – è costituito dall’attività di intercettazione eseguita successivamente all’inizio del percorso di collaborazione con la giustizia del dichiarante: il racconto di Mangione, nella parte relativa alla reale compartecipazione di Lampasona e D’Antona, ha trovato infatti eccezionale conferma nel contenuto inequivoco di alcune conversazioni intercettate tra i due, dalle quali traspare, da un lato, la loro piena conoscenza dei dettagli della vicenda e del ruolo in essa rivestito da Mangione – elementi che potevano essere noti, con tale grado di precisione, solo agli autori materiali del fatto, anche perchè hanno assunto la consistenza di veri e propri ricordi vividamente rievocati – e dall’altro, tutto il loro sconforto ed il timore derivante dalla possibilità che gli accertamenti tecnici e l’attività di indagine intrapresa potessero portare all’enucleazione di indizi relativi alla loro compartecipazione al grave delitto, in uno alla speranza che gli anni trascorsi ed il cattivo tempo all’epoca del rinvenimento del cadavere avessero disperso le tracce biologiche del D’Antona.”

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