Giudiziaria

L’omicidio di Lorena Quaranta, ecco perché è stato confermato l’ergastolo all’ex fidanzato 

Depositata la sentenza con la quale è stata confermata la condanna all’ergastolo di Antonio De Pace

Pubblicato 5 mesi fa

“Correttamente, dunque, il primo giudice ha ritenuto che il contributo tecnico offerto dal perito meritasse integrale condivisione e che sulla scorta di esso si dovesse escludere, oltre ogni ragionevole dubbio, che l’imputato si fosse trovato, al momento della commissione del delitto, per infermità, in uno stato di mente tale da escludere, o scemare grandemente, la sua capacità di intendere e volere”. La Corte di Assise di Appello di Messina lo scorso 18 gennaio ha deposito la sentenza con la quale ha confermato la condanna all’ergastolo di Antonio De Pace, l’infermiere calabrese che il 31 marzo 2020 ha ucciso a Furci Siculo Lorena Quaranta, aspirante medico di Favara, all’epoca dei fatti sua fidanzata. I giudici hanno confermato interamente il verdetto di primo grado rigettando interamente il ricorso della difesa dell’imputato, rappresentata dagli avvocati Salvatore Silvestro e Bruno Ganino. 

Appello che si fondava, sostanzialmente, su tre principi: la nullità della sentenza  di primo grado per il non possesso dell’età anagrafica di un giudice popolare; carenza o erroneità della motivazione per travisamento dei fatti e la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche nel trattamento sanzionatorio. Ma indubbiamente il passaggio “chiave” dell’intero processo, anche alla luce della condanna all’ergastolo, è quello legato alle condizioni di salute mentale dell’infermiere. Il consulente nominato dalla difesa dell’imputato ha sostenuto fin dall’inizio che De Pace al momento dell’omicidio fosse affetto da Disturbo Psicotico Breve, vale a dire uno scompenso grave che insorge in un breve periodo di tempo (più di un giorno e meno di un mese) in persone con una predisposizione psicopatologica in risposta ad un evento stressante in cui il soggetto “perde il normale rapporto con la realtà e sviluppa allucinazioni, deliri ed un comportamento strano, bizzarro, disorganizzato, violento o aggressivo”. Per la consulente della difesa, l’evento stressante che avrebbe causato il disturbo sarebbe riconducibile alla paura di De Pace di contrarre il Coronavirus. Tale condizioni – secondo il perito di parte – aveva determinato un distacco dalla realtà e la creazione di una realtà fantastica, legata al delirio ipocondriaco. Una ricostruzione che si è scontrata con quella fornita dal prof. Stefano Ferracuti, il perito nominato dalla Corte che ha invece sostenuto che già in occasione della prima visita, pur apparendo estremamente ansioso, “aveva manifestato un livello di non collaborativi che trovava scarse spiegazioni cliniche” e che “tali atteggiamenti non sono associati ad altri elementi psicopatologici in atto” Quanto al passato, ha rilevato come De Pace “fosse soggetto dalla storia personale del tutto neutra a fini psichiatrici”. Il perito, pur ammettendo che il De Pace all’epoca dei fatti presentasse un’importante condizione ansiosa e una percezione ambientale di ostilità e minacciosità, ha “escluso che il rialzo della quota ansiosa avesse delineato una condizione clinica tale da avere valore di malattia in senso medico legale e cioè che fosse presente un disturbo del contenuto del pensiero di chiaro significato psicopatologico.” E infine: Il De Pace, inoltre, “non ha palesato nelle ore immediatamente precedenti alla consumazione del delitto una condizione psicotica quanto piuttosto una situazione emotiva di profonda angoscia, irrilevante sul piano psichiatrico forense, precisando come lo stato d’ansia quando raggiungeva livelli esasperati e diventi angoscia possa incidere sulla capacità rappresentativa nel solo senso di creare una idea pervasiva di anticipazione, senza però incidente sulla capacità di intendere e volere.”

Una ricostruzione sposata interamente anche dai giudici della Corte di Assise di Appello di Messina che hanno messo nero su bianco che: “così come per il primo giudice, le argomentazioni della consulente della difesa dell’imputato appaiono, già intrinsecamente, contraddittorie e poco convincenti.” Tra quelle riscontrate dalla Corte vi è il cosiddetto “oggetto fobico” del cosiddetto “delirio ipocondriaco” che avrebbe travolto il De Pace nelle ore precedenti al delitto. L’ipotesi avanzata era quella che l’ansia di De Pace, ossessionato di contrarre il Covid, si fosse trasformata in un vero e proprio delirio ipocondriaco e che l’oggetto fobico, cioè la causa del suo male, sarebbe stata individuata proprio nella povera Lorena ritenuta responsabile del disagio. Ma questo, per la Corte, non spiega come l’uccisione di Lorena abbia potuto, al contempo, “sedare” il cosiddetto delirio persecutorio che, a dire della consulente, era anche insorto il giorno precedente al delitto tanto che l’imputato aveva manifestato ai propri familiari la paura di essere seguito e aveva addirittura manifestato la paura di essere derubato dei propri risparmi. 

IL FEMMINICIDIO E IL PROCESSO 

Il femminicidio di Lorena Quaranta si consuma nella notte del 31 marzo 2020 all’interno di un appartamento di Furci Siculo, nel messinese, che i due giovani condividevano. E’ stato lo stesso De Pace, dopo aver strangolato Lorena, a chiamare i carabinieri al telefono: “Venite, ho ucciso la mia fidanzata”. Il movente non è mai stato del tutto chiaro. L’infermiere calabrese ha infatti sostenuto, almeno nelle prime fasi delle indagini, di avere ucciso la giovane fidanzata perché convinto di aver contratto il Covid-19 a causa sua. Una circostanza poco credibile e smentita immediatamente grazie ai successivi esami effettuati. La Procura di Messina, inoltre, ha contestato l’aggravante della premeditazione a De Pace sostenendo l’ipotesi che il delitto fosse stato ideato e pianificato in base al fatto di aver inviato alcuni messaggi ai parenti più stretti manifestando la volontà di trasferire i propri risparmi ai nipoti. Questa circostanza, però, è stata esclusa dai giudici di primo grado. Sette mesi fa I giudici della Corte di Assise di Appello di Messina, confermando il verdetto di primo grado, hanno condannato al carcere a vita Antonio De Pace, l’infermiere calabrese che la notte del 31 marzo ha ucciso Lorena Quaranta, aspirante medico di Favara. La Corte ha accolto pienamente le richieste delle parti civili, in primis quelle dei familiari della giovane ragazza rappresentati dall’avvocato Giuseppe Barba. La procura generale, a margine della requisitoria, aveva chiesto l’applicazione delle attenuanti generiche nei confronti di De Pace, reo confesso, aprendo uno spiraglio alla possibile revoca dell’ergastolo. La Corte di Appello ha rigettato la richiesta e ha inflitto all’imputato il massimo della pena. La Corte di Appello ha disposto altresì il risarcimento in favore delle parti civili: il centro antiviolenza “Una di Noi”, Cedav, “Al tuo fianco” e i centri antiviolenza Telefono Rosa Bronte, work in progress, Pink Project Evaluna Onlus. A rappresentarli gli avvocati Cettina Miasi, Cettina La Torre, Maria Gianquinto.

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