L’omicidio dell’impiegato di Raffadali, annullata condanna a D’Antona: “Valutare premeditazione”
L’imputato, dopo una condanna a 30 di reclusione in primo grado, si era visto dimezzare la pena in Appello grazie all’esclusione dell’aggravante premeditazione
Bisognerà tornare nuovamente davanti la Corte di Assise Appello di Palermo per verificare la sussistenza dell’aggravante della premeditazione, circostanza che invece era stata esclusa nel precedente grado di giudizio comportando così il dimezzamento della condanna in favore dell’imputato. Lo ha stabilito la Cassazione che, accogliendo il ricorso della Procura generale di Palermo, ha annullato la condanna a 16 anni di reclusione nei confronti di Angelo D’Antona, 38 anni, di Raffadali, per l’omicidio dell’ex impiegato comunale Pasquale Mangione.
I giudici ermellini, rigettando il ricorso della difesa dell’imputato, hanno così disposto un nuovo processo davanti altra sezione della Corte di Assise di Appello di Palermo limitatamente al riconoscimento (o meno) dell’aggravante della premeditazione. Al centro del processo l’omicidio di Pasquale Mangione, ex impiegato comunale di Raffadali, ucciso il 2 dicembre 2011 nelle campagne di contrada Modaccamo. Angelo D’Antona è ritenuto uno degli esecutori materiali del delitto. L’imputato, dopo una condanna a trent’anni di reclusione in primo grado, si era visto dimezzare la pena in Appello grazie all’esclusione dell’aggravante premeditazione. Adesso, in seguito alla decisione della Cassazione, questa circostanza dovrà nuovamente essere valutata.
Un vero e proprio cold case portato alla luce a distanza di nove anni dall’omicidio grazie (anche) alla collaborazione di uno degli organizzatori dell’agguato. Sono state infatti le dichiarazioni di Antonino Mangione, che avrebbe partecipato alla fase organizzativa dell’agguato, a dare una svolta alle indagini della Squadra mobile di Agrigento. Ad uccidere l’ex impiegato comunale sarebbero stati Angelo D’Antona e Roberto Lampasona. Antonino Mangione, condannato a 10 anni di reclusione con i benefici della collaborazione, curò invece la fase preliminare indicando inizialmente quale mandante il figlio della vittima. Quest’ultimo, iscritto nel registro degli indagati in un primo momento, è stato successivamente scagionato dalle accuse. Il movente non è mai stato del tutto chiarito anche se, come emerso dalle indagini, sarebbe da ricondurre in particolari “attenzioni” rivolte dalla vittima ad altre donne al di fuori del matrimonio. I familiari della vittima si sono costituiti parte civile rappresentati dall’avvocato Samantha Borsellino. Angelo D’Antona è difeso dall’avvocato Teresa Alba Raguccia mentre Roberto Lampasona dagli avvocati Antonino Gaziano e Salvatore Manganello.