Interrogato l’hacker siciliano che ha violato i siti del ministero: “Si, sono stato io ma….”
L’avvocato Gioacchino Genchi: “Procura Napoli incompetente, trasferire gli atti dell'inchiesta alla Procura della Repubblica di Perugia”
Carmelo Miano, l’hacker siciliano arrestato dalla Polizia postale al termine di indagini durate diversi anni e coordinate dalla Procura di Napoli è stato interrogato oggi dal Gip del Tribunale di Napoli, presenti i pubblici ministeri e il suo difensore, l’avv. Gioacchino Genchi.
Nel corso dell’interrogatorio di garanzia ha ammesso gli addebiti contestati e si è reso disponibile a fornire ai pubblici ministeri ulteriori elementi sulle incursioni informatiche ai sistemi informativi del Ministero della Giustizia, del Ministero dell’Interno, della Guardia di Finanza e della Tim, commessi dal 2021 alla data dell’arresto, già qualche mese dopo la prima perquisizione della Procura della Repubblica di Brescia.
Il giovane ha però categoricamente escluso, fornendo dettagliati elementi, di avere arrecato qualsiasi tipo di danneggiamento dei sistemi informativi istituzionali violati, la cui permeabilità si è resa possibile – afferma il suo difensore – “per la mancata adozione delle policy minimali di sicurezza di qualsivoglia sistema informatico, da quello del McDonald’s a quello della Banca d’Italia. All’esito dell’interrogatorio, avendo l’indagato ammesso di avere anche acceduto alla corrispondenza elettronica delle webmail istituzionali di pubblici ministeri di Brescia, Gela, Roma e Napoli, ho chiesto la dichiarazione di incompetenza dell’autorità giudiziaria di Napoli e la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica di Perugia, funzionalmente competente, ai sensi degli articoli 11 e seguenti del codice di procedura penale”.
L’avvocato Genchi, tuttavia, chiarisce alcuni aspetti della vicenda: “Con 40 e passa anni di esperienza nelle indagini giudiziarie non ho mai visto un’indagine informatica fatta così bene. Nemmeno quando le facevo io. Oltre alla bravura ho apprezzato l’assoluta serietà dei Pm di Napoli e degli inquirenti che vi hanno collaborato. L’unico errore – a mio avviso – riguarda la contestazione del danneggiamento del sistema informatico, che non sussiste. Il sistema era già disastrato da sé ed era privo dei minimali dispositivi di protezione che avrebbero dovuto prevenire e impedire le intrusioni. Per accostarlo ad un noto arnese da cucina era più assimilabile ad un colabrodo che a un sistema informatico”.
Ma come è stato possibile arrivare a tanto senza un minimo di difficoltà?
“Questo deve fare riflettere, assai più delle condotte che in concreto ha posto in essere indisturbato per oltre tre anni, un ragazzo di appena 20 anni. Quanti ne aveva Carmelo Miano all’epoca delle prime incursioni nei sistemi informatici del Ministero della Giustizia e della Guardia di Finanza. Ad oggi, uno dei sistemi informatici più evoluti e più sicuri è quello in uso all’Arma dei Carabinieri, anche se è prevalentemente dedicato alla gestione amministrativa e all’organizzazione dei servizi. Comunque le policy di sicurezza di quel sistema sono sicuramente le più evolute. Io ho anche diretto per diversi anni il centro elettronico interregionale del Ministero dell’Interno di Palermo. Oltre che la zona Telecomunicazioni per la Sicilia occidentale quando avevo 27 anni e quando conobbi e iniziai a collaborare con Giovanni Falcone. Quando ancora negli uffici giudiziari si usava la macchina da scrivere e la carta carbone, per potere realizzare le copie dei verbali. La macchina da scrivere elettrica e la stilografica Mont Blanc facevano la differenza. E poi nulla. Questo dal 1987 all’ordinanza del Gip di Napoli nel procedimento a carico di Carmelo Miano, che per me rappresenta il top delle investigazioni informatiche fino ad oggi compiute in Italia. Di questo è corretto che io riconosca i meriti agli inquirenti partenopei, ancora prima di evincere alcuni errori, che come in ogni attività umana, sono presenti anche in questa indagine. Comunque, Carmelo Miano ad oggi ha solo 23 anni e quando ha avuto inizio questa vicenda era diventato da poco maggiorenne. Questo deve fare riflettere! Comprese le incursioni nelle email dei magistrati. Per i quali i Pm non hanno volutamente contestato il reato di violazione di corrispondenza: Articolo 616 del Codice penale. Perché avrebbero dovuto mandare tutto a Perugia, ancora prima di emettere l’ordinanza. Il reato di violazione di corrispondenza concorre con quello di violazione del sistema informatico della webmail del Ministero della Giustizia e vede con persone offese i magistrati che ne erano titolari”.