Agrigento

Deceduta a causa di gravi errori all’Ospedale di Agrigento, processo per 5 medici

La Procura di Agrigento chiede il processo per cinque medici dell’Ospedale San Giovanni di Dio di Agrigento per la morte di Marianna Bellia; il decesso è avvenuto il 24 luglio 2018, e sarebbe stato il frutto di gravi errori, come ipotizzato nell’esposto dei figli della vittima. Dovranno aspettare altri tre mesi, l’udienza preliminare del processo […]

Pubblicato 4 anni fa

La Procura di Agrigento chiede il processo per cinque medici dell’Ospedale San Giovanni di Dio di Agrigento per la morte di Marianna Bellia; il decesso è avvenuto il 24 luglio 2018, e sarebbe stato il frutto di gravi errori, come ipotizzato nell’esposto dei figli della vittima.

Dovranno aspettare altri tre mesi, l’udienza preliminare del processo fissata a lunedì 29 marzo 2021, in Tribunale ad Agrigento, avanti il Gup Luisa Turco, e già slittata più volte anche causa Covid, è stata rinviata al 5 luglio per l’adesione di alcuni legali degli imputati all’astensione dall’attività giudiziaria proclamata dall’Unione delle Camere Penali Italiane. Ora però c’è un punto fermo nella lunga battaglia alla ricerca di verità e giustizia dei familiari di Marianna Bellia e di Studio3A, che li assiste: al termine delle indagini preliminari il Pubblico Ministero della Procura agrigentina Emiliana Busto, titolare del procedimento penale per il decesso della 63enne di Palma di Montechiaro, avvenuto il 24 luglio 2018 all’ospedale “San Giovanni di Dio”, ha chiesto il rinvio a giudizio con l’ipotesi di reato di omicidio colposo in concorso per cinque medici che hanno avuto in cura la paziente, a cui si imputano pesanti responsabilità

La tragica vicenda all’epoca ebbe vasta eco. La donna viene accompagnata al pronto soccorso del nosocomio di Agrigento alle 6.30 del 23 luglio dalla figlia e dal genero in preda a forti dolori addominali, specie al fianco destro, conati di vomito e febbre alta. I sanitari comunicano che si tratta di una colica renale e l’ecografia all’addome rileva la presenza di un calcolo. Sembra una situazione di routine, anche perché inizialmente gli esami presentano valori nella norma. La signora Bellia alle 10.30 viene quindi ricoverata in Urologia con diagnosi d’ingresso “iperpiressia e litiasi uretrale”, ma le sue condizioni peggioreranno; la donna avrebbe in corso uno shock settico che però sarebbe stato trascurato secondo il dott. Giuseppe Ragazzi, il consulente tecnico medico legale a cui il Sostituto Procuratore ha affidato la perizia autoptica per stabilire le cause e le responsabilità del decesso: come consulente di parte della famiglia, Studio3A ha messo a disposizione il medico legale dott. Mario Guarino

Alle 16 la paziente viene condotta in sala operatoria per effettuarle una nefrostomia destra ed è qui che sarebbe stato commesso l’ulteriore fatale errore – verosimilmente il più grave – a quanto afferma il dott. Ragazzi: i due medici che inseriscono il catetere danneggiano il rene destro causando la formazione di un vasto ematoma retroperitoneale, con conseguente shock emorragico. Dopo l’intervento, infatti, la situazione comincia a precipitare, alle 17.15 il polso “non è apprezzabile”, la pressione è bassissima, tutto sotto gli occhi dei congiunti della 63enne, che la lasciato tre figli, e che prima, seppur dolorante, era cosciente e parlava con i propri cari. Viene a quel punto richiesta una consulenza anestesiologica, ma il medico rianimatore che interviene – ed è un’altra delle censure mosse dal Ctu – reputa che la paziente non necessiti di supporto rianimatorio. Effettuano anche una trasfusione con due sacche di sangue, le somministrano più volte l’epinefrina, cioè l’adrenalina, ma la situazione non migliora. Alle 21.35, in ragione del “grave stato ipotensivo”, dal reparto di Urologia richiedono una nuova consulenza al medico rianimatore, che questa volta rileva un quadro clinico “indicativo di stock settico” e finalmente si dispone il tardivo trasferimento in Rianimazione.

Ma la donna non si riprenderà più. Il 24 luglio, il suo ultimo giorno di vita, i sanitari le trasfonderanno ancora numerose sacche di sangue, alle 10.45 tenteranno un disperato intervento di nefroctomia, cioè di rimozione del rene destro, pure questo però deciso tardivamente secondo il consulente tecnico del magistrato, ma alle 22.50 Marianna Bellia spira. “Decesso da ricondursi all’arresto irreversibile delle funzioni vitali consecutivo a shock settico ed emorragico in paziente affetta da idronefrosi destra di III grato da ostruzione calcolotica dell’uretere” stabilisce il dott. Ragazzi, concludendo che “la gestione della paziente da parte dei sanitari che l’ebbero in cura si presta a vari spunti critici”.  

I familiari sono sconvolti, anche perché, dopo aver assistito impotenti all’agonia della loro cara, i medici non forniscono loro alcuna spiegazione plausibile sul drammatico e imprevedibile epilogo. Per fare piena luce sui tragici fatti decidono quindi di affidarsi, tramite il consulente legale Salvatore Agosta, a Studio3A-Valore S.p.A., società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini, e viene presentata una denuncia all’autorità giudiziaria, con conseguente apertura di un fascicolo, il sequestro delle cartelle clinica e l’affidamento dell’incarico per l’autopsia: inizialmente il Pm procede contro ignoti, ma dopo il deposito della perizia medico legale iscrive nel registro degli indagati cinque dirigenti medici in servizio presso diverse Unità Operative del San Giovanni di Dio e, con provvedimento del 20 luglio, ne ha chiesto il rinvio a giudizio perché, per citare l’atto, “per colpa consistita in grave negligenza, nonché mancando di seguire le linee guida e le buone prassi settoriali individuate dalla comunità scientifica, omettevano di prestare idonea terapia alla paziente, determinandone la morte per shock settico ed emorragico”. 

In particolare a G I., 41 anni, urologo, si imputa, durante il ricovero in Urologia, di aver “omesso di somministrare tempestivamente terapia infusionale nonché antibiotica atta a contrastare l’infezione alle vie urinarie in corso e di non aver eseguito il drenaggio del rene mediante posizionamento di catetere uretrale”; a V. V., 43 anni, rianimatrice, “di aver omesso nel corso della prima consulenza alla paziente di ricoverarla in Rianimazione, pur presentando una scarsa ossigenazione periferica e nonostante le fosse già stata somministrata la terapia di ossigeno in maschera; a S. B., 35 anni, e ad A. P., 46, urologi, di aver eseguito un intervento chirurgico di nefrostomia “danneggiando il rene destro della paziente”, e al direttore del reparto di Urologia, M. R., 64 anni, unitamente a S. B. e a G. I., di aver eseguito un intervento chirurgico di nefroctomia “determinando uno shock emorragico che aggravava il preesistente shock settico in corso determinando in tal modo il decesso”. Una concatenazione di errori e omissioni, sempre che vengano confermati nel dibattimento, di cui i figli di Marianna Bellia ora chiedono conto.

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