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A margine della sentenza Open Arms del Tribunale di Palermo

Avevo necessità di scrivere questo perché odio indifferenti e mistificatori e perché credo nella forza del diritto sul diritto alla forza

Pubblicato 3 giorni fa

Pubblicato stamani in prima pagina dal quotidiano cattolico Avvenire un lungo ed articolato editoriale a firma Luigi Patronaggio, oggi Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Cagliari e già procuratore della Repubblica di Agrigento, avente ad oggetto la recente sentenza del processo Open Arms, che ha visto l’assoluzione del ministro Matteo Salvini.

Un ragionamento particolarmente elaborato che merita di essere letto. Ecco il testo:

“Lungi dal volere commentare una sentenza le cui motivazioni non sono state ancora depositate e nella quasi certezza che le motivazioni della stessa saranno sorrette, sia in punto di fatto che in diritto, da una loro intrinseca ed inappuntabile coerenza, quello che mi ha spinto a scrivere queste righe – non senza esitazioni e nella piena consapevolezza di espormi a critiche e censure – è stata l’amara constatazione che il contrasto all’immigrazione clandestina a partire dal 20 dicembre scorso non sarà più lo stesso. Non sarà più quello che, pur nella severità dei controlli dovuti per la sicurezza nazionale, ha contraddistinto l’Italia come un Paese di accoglienza rispettoso del diritto delle genti e del mare, dei trattati internazionali e della Costituzione repubblicana. Va ricordato, infatti, che la Costituzione, memore di essere stata l’Italia una terra di migranti e di perseguitati politici, afferma in modo netto il diritto di asilo e riconosce, come ripetutamente affermato dal Giudice delle Leggi, in determinate situazioni, la protezione umanitaria internazionale.

Questa amara considerazione non ha nulla a che vedere con le ragioni giuridiche che hanno spinto i giudici di Palermo, al termine di un processo che nonostante il clamore mediatico è stato celebrato secondo le regole del giusto processo e nel pieno rispetto dei diritti e delle prerogative dell’imputato, ad assolvere l’ex Ministro dell’Interno Matteo Salvini, ma si fonda sull’uso distorto e propagandistico che di tale sentenza da più parti si sta operando.

La Corte costituzionale e la Corte di cassazione, in conformità alle pronunzie della Corte EDU, hanno più volte affermato che il contrasto all’immigrazione clandestina non possa prescindere dal rispetto degli human rigths, dei fondamentali diritti alla vita e alla salute, dal riconoscimento del diritto alla presentazione e ad un serio esame di una istanza di asilo o di protezione umanitaria internazionale. Gli stessi Giudici hanno affermato che il rispetto dei trattati internazionali, sottoscritti dall’Italia sul dovere di salvataggio in mare, prevale sulle indicazioni amministrative di contenimento dell’immigrazione clandestina. Ed ancora, più volte, è stato autorevolmente sentenziato che “porto sicuro” per i migranti che provengono dal mare non è un semplice posto dove essere messi in salvo, ma il luogo più vicino al punto di salvataggio dove gli stessi possono avere riconosciuti i loro diritti fondamentali, articolare con una valida assistenza legale le loro istanze di protezione internazionale e di asilo.

L’amarezza nasce invece dalla vulgata operata da taluni interessati organi di informazione, secondo cui, da ora in poi, per difendere i confini nazionali sarebbe legittimo imporre fantasiosi quanto impraticabili blocchi navali, ordinare alle navi delle ONG di percorrere, dopo pericolosi e faticanti salvataggi in mare, migliaia di miglia nautiche per raggiungere un porto sicuro scelto dall’autorità nazionale secondo estroversi disegni elettoralistici del momento, negare ai migranti il diritto alla corrispondenza telefonica con i loro cari, imporre loro pesanti cauzioni in denaro, ritenere aprioristicamente senza una valida istruttoria, assistita e in contraddittorio fra le parti, che si provenga da un paese ritenuto, con una sorta di presunzione iuris et de iure , “sicuro”, chiudendo loro le porte del Paese che pure riconosce un ampio diritto di asilo a chi fugge da persecuzioni, discriminazioni politiche, sociali, religiose, razziali o sessuali.

Queste mie amarezze non sono frutto della fantasia di un giurista di parte, che per sgombrare il campo non appartiene ad alcuna corrente o congrega, ma si fondano su diverse e ripetute sentenze della Corte costituzionale e della Corte di cassazione e sulle stesse prudenti parole del Presidente della Repubblica. Potrei in questa sede citare sentenze e numeri di repertorio ma a nulla varrebbe a fronte della forza mediatica del dispositivo di assoluzione della sentenza di Palermo.

Nel piatto di questa mia amarezza si potrebbe aggiungere che il fenomeno migratorio in Italia è in decrescita, non ha la virulenza di altri paesi dell’Unione Europea e che, dati alla mano, non costituisce l’unico problema d’ordine pubblico del nostro paese. Un paese l’Italia, che a parte le complesse problematiche delle periferie delle grandi città metropolitane, riesce ad assorbire i flussi migratori, ad impiegare preziosa mano d’opera in settori produttivi poco appetibili ai sempre numericamente inferiori cittadini italiani e che ha bisogno dei contributi previdenziali dei lavoratori stranieri per garantire le pensioni alla popolazione nazionale che invecchia sempre più velocemente.

Una concreta politica sociale e di integrazione, peraltro, sarebbe in grado di contenere i riflessi negativi di una immigrazione irregolare molto più efficacemente dei denari spesi per le c.d. esternalizzazioni (leggasi trasferimento coatto dei migranti verso paesi terzi) che non solo i giudici italiani ed europei hanno ritenuto illegittime ma che perfino la Supreme Court inglese ha ritenuto illegittima richiamandosi al principio di non-refoulement sancito dalla Convenzione di Ginevra e dalla CEDU.

Mi rendo conto, peraltro, quanto impopolari siano queste mie osservazioni, che hanno la forza del diritto e, mi sia permesso, anche la forza dell’etica politica, in un mondo che sempre più spesso usa un linguaggio violento che riprende temi che ritenevamo la storia avesse cancellato per sempre.

In un’ Occidente democratico, che ha posto le sue aspettative di pace post-belliche sulla Convenzione dei Diritti dell’Uomo e sulle altre Carte sovranazionali, sentire il più importante degli uomini politici statunitensi parlare impunemente di volere porre in essere “la più grande deportazione di massa” mette i brividi e ci riporta alla mente le composte file di ebrei, di oppositori politici, di zingari, di omossessuali, o soltanto di soggetti ritenuti diversi, avviati verso i campi di concentramento nazisti o verso i gulag sovietici.

Così come il giurista, già esperto di criminalità transnazionale, non può non sobbalzare quando, come in un volgare gioco di carte napoletane, si mischiano i temi del contenimento dell’immigrazione clandestina con quelli della lotta ai trafficanti di esseri umani. Sia ben chiaro, infatti, che chiudere i porti a dei disperati che fuggono da guerre, carestie e malnutrizioni non ha nulla a che fare con una seria lotta ai trafficanti di esseri umani. I grandi criminali internazionali di essere umani non sono gli scafisti occasionali che ci vantiamo di arrestare nei “mattinali” delle Questure costiere, ma sono potenti delinquenti, spesso protetti da governi e milizie di oltremare, che operano con metodi violenti e spregiudicati. Sono criminali che muovono grandi rimesse di denaro, che corrompono autorità nazionali, che hanno reti di protezione internazionali e che non hanno nessuna remora a ricorrere a torture, stupri sistematici ed omicidi di massa ove ce ne fosse bisogno.

Eppure, su questo fronte non ho contezza di indagini internazionali, di rogatorie internazionali, di iniziative di Procure e Tribunali Internazionali e meno che mai mi sembra che siano state emanate leggi o direttive volte a rescindere accordi e intese con autorità estere impresentabili o, di contro, a promuovere accordi credibili ed autorevoli in tema di investigazioni comuni.

Ecco, di tutto questo avevo necessità di scrivere perché odio gli indifferenti e i mistificatori e perché, cosa più importante, continuo a credere nella forza del diritto sul diritto alla forza.                              

Luigi Patronaggio       

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