Catania

Operazione Meteora: inchiesta su omicidio e nuovi vertici clan (nomi)

Le indagini partite dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giovanni La Rosa in ordine all’uccisione di Nicola Ciadamidaro

Pubblicato 8 ore fa

La Polizia di Stato – Squadra mobile della Questura di Catania e Commissariato di P.S. Adrano (che hanno agito sotto il diretto coordinamento della Direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato con l’invio di diversi equipaggi del Reparto prevenzione crimine a cui si sono aggiunte unità della locale Questura e delle sue articolazioni nonché di unità specializzate come Polizia scientifica e il Reparto mobile) dalle prime ore di oggi, su delega della Procura distrettuale della Repubblica – Direzione distrettuale antimafia ha dato esecuzione all’ordinanza di applicazione di misura cautelare emessa dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Catania a carico di

Antonio Bua, di 41 anni; Antonio Bua, di 41 anni, inteso “asinello”; Antonino Bulla 41 anni, inteso “u picciriddu” Giuseppe Bulla, di 35 inteso “u biondo”; Vincenzo Bulla, di 30; Cristian Calvagno, di 36; Giuseppe David Costa, di 42 inteso “pesciolino”; Salvatore Crimi, di 38 inteso “Turi u cani”; Giuseppe Fiorello, di 26; Alfio Lanza, di 42 inteso “Alfredo”; Pietro Lazzaro, di 37; Cristian Lo Cicero di 38; Daniel Palmiotti, di 39; Carmelo Petronio, di 41. Raggiunti dall’ordinanza anche Alfio Quaceci, di 30 anni; Nicolò Rosano, di 44 inteso “pipituni” ; Gianni Santangelo, di 41 inteso “Giannetto” ; Toni Ugo Scarvaglieri Ugo, di 51, e Giuseppe Viaggio, di 41 inteso “u puffu” , ritenuti gravemente indiziati, allo stato degli atti ed in relazione alla fase processuale che non ha ancora consentito l’instaurazione del contraddittorio con l’intervento delle difese, dei delitti di omicidio, associazione di tipo mafioso (clan Santangelo di Adrano e clan Mazzei intesi “carcagnusi” di Catania) e porto e detenzione illecita di armi da sparo aggravata dalla finalità di agevolare l’associazione mafiosa di appartenenza.

Le indagini della Squadra mobile e del Commissariato di P.S. Adrano, supportate da presidi tecnici (intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche, oltre a videoregistrazioni) hanno tratto origine dalle dichiarazioni rese nel dicembre 2019 dal collaboratore di giustizia Giovanni La Rosa in ordine alla scomparsa (avvenuta ad Adrano il 16.6.2016) e successiva uccisione di Nicola Ciadamidaro.

In sede di interrogatorio, il predetto collaboratore di giustizia riferiva che l’omicidio, tipico esempio di c.d. “lupara bianca”, era stato commesso, su ordine dei vertici del clan mafioso Santangelo, da Gianni Santangelo inteso “Giannetto”, Nicolò Rosano inteso “pipituni”, Antonino Bulla inteso “u picciriddu” e Salvatore Crimi inteso “Turi u cani” per vendicare il triplice omicidio di Alfio Rosano (cl.1959), Daniele Crimi (cl.1985) e Alfio Finocchiaro (cl.1965) avvenuto il 27.7.2006 in territorio di Bronte.

Le attività investigative volte a riscontrare le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, che venivano corroborate dalle dichiarazioni di ulteriori collaboratori di giustizia, consentivano di ritenere la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza nei confronti di Gianni Santangelo, Nicolò Rosano, Antonino Bulla, Vincenzo Bulla e Salvatore Crimi quali esecutori materiali  dell’omicidio di Nicola Ciadamidaro, commesso come detto per vendicare il triplice omicidio del luglio 2006, i cui colpevoli, poi arrestati dalla Squadra mobile e dal Commissariato di P.S. Adrano nell’ambito dell’operazione Meteorite dell’ottobre 2006, appartenevano al gruppo criminale adranita Liotta – Mazzone di cui avrebbe fatto parte anche la vittima Nicola Ciadamidaro.

Da quanto ricostruito dalle indagini, la sera del 16.6.2016 Nicola Ciadamidaro – che dopo la sua scarcerazione nell’ottobre 2014 si era allontanato per un periodo da Adrano per poi farvi ritorno – mentre si recava in palestra alla guida del suo scooter veniva fermato e sequestrato dagli uomini del clan Santangelo che lo caricavano a bordo di un furgone e lo portavano in una campagna isolata, dove, dopo averlo torturato, lo uccidevano decapitandolo.     

Durante le indagini è poi emerso come, nonostante numerose operazioni di Polizia abbiano inferto duri colpi al clan Santangelo, con l’arresto di decine di affiliati di rango apicale, la predetta organizzazione mafiosa mantenga inalterata la sua operatività nel territorio adranita.

In particolare, secondo l’impostazione accusatoria recepita dal Gip, dalle indagini emergeva ai vertici del clan Santangelo la figura di Toni Ugo Scarvaglieri, il quale, data la detenzione di tutti gli altri elementi di spicco del sodalizio, avrebbe assunto la guida della famiglia mafiosa, coordinando ed organizzando sul territorio le attività illecite degli affiliati, i cui proventi confluivano nella “cassa comune” dell’organizzazione, altresì destinata al mantenimento degli affiliati detenuti e delle loro famiglie.

Sempre secondo l’impostazione accusatoria recepita dall’ordinanza custodiale, in seguito alla scarcerazione dei citati Antonino Bulla e Salvatore Crimi, gli stessi, sebbene sottoposti alla detenzione domiciliare, avrebbero continuato ad avvalersi del ruolo di coordinamento di Toni Ugo Scarvaglieri e avrebbero ripreso il comando del clan Santangelo, impartendo ordini e direttive al resto degli affiliati e pianificando le strategie criminali dell’associazione mafiosa.

Il prosieguo delle indagini riguardava, altresì, il gruppo criminale capeggiato da Cristian Lo Cicero, referente del clan mafioso catanese Mazzei intesi “carcagnusi”, il quale, inseritosi nelle dinamiche criminali adranite, sarebbe entrato in attrito con le due storiche famiglie mafiose Santangelo e Scalisi.

In tale contesto è stato possibile ritenere sussistenti i gravi indizi di colpevolezza anche in relazione al delitto di cui all’art. 416 bis c.p. con riguardo ad alcuni esponenti del citato clan capeggiato dal Lo Cicero.

Durante l’attività sono state sequestrate diverse armi in dotazione ai due sodalizi mafiosi, tra cui una mitraglietta vz.61 Skorpion calibro 7.65, una pistola semiautomatica Beretta 70 calibro 7.65 con matricola abrasa, un fucile automatico calibro 12 nonché caricatori e munizioni di svariato calibro.

Tali ipotesi accusatorie, allo stato avallate dal Gip, dovranno trovare conferma allorché verrà instaurato il contraddittorio tra le parti

Nel complesso – per l’operazione di Polizia giudiziaria odierna, convenzionalmente denominata “Meteora” – sono stati impiegati oltre un centinaio di operatori della Polizia di Stato.

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