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Vito, il figlio del boss di Licata: “Fa parte della cellula mafiosa”

Depositate le motivazioni alla base della condanna a 8 anni di reclusione nei confronti di Vito Lauria

Pubblicato 2 anni fa

“Deve ritenersi adeguatamente provato che l’imputato in esame facesse parte della cellula mafiosa di Licata”. Lo scrivono i giudici della terza sezione penale della Corte di Appello di Palermo, presieduta da Antonio Napoli, nelle motivazioni con cui – ribaltando l’assoluzione in primo grado – hanno condannato ad otto anni di reclusione Vito Lauria, 52 anni tecnico informatico e massone di Licata, figlio del boss Giovanni (alias “u prufissuri”). 

In primo grado il gup del tribunale di Palermo Claudia Rosini aveva assolto Lauria per il quale la Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo aveva invece chiesto la condanna a 12 anni di reclusione. Lo scorso luglio, invece, la Corte di Appello ha ribaltato il verdetto condannandolo a 8 anni di reclusione, così come richiesto dal sostituto procuratore generale Maria Teresa Maligno. Il giorno dopo la condanna Lauria è stato arrestato, su ordine della Procura Generale, dai carabinieri della Compagnia di Licata guidati dal capitano Augusto Petrocchi.

A distanza di tre mesi i giudici hanno depositato le motivazioni. Ecco la posizione che riguarda proprio Vito Lauria. 

“La Corte ritiene che l’appello meriti accoglimento e che l’imputato vada condannato [..] Muovendo anche per rispettare un ordine cronologico, la partecipazione dell’imputato in esame alle riunioni “in trasferta” del 2 gennaio 2016 e del 23 gennaio 2016 con il boss calatino Turi Seminara e col di lui referente Davide Cosimo Ferlito, non appare necessario ribadire come tali incontri ebbero ad inserirsi in una serie di appuntamenti appositamente finalizzata a pianificare principalmente (ma non solo) due estorsioni: quella alla “Alberghiera Mediterranea”, progetto poi arenatosi dopo i primi incontri, e quella in danno dell’imprenditore Salvatore Patriarca di Comiso, portata avanti alacremente anche grazie alla acquiescenza della persona offesa ma resa infine inattuabile dall’arresto del Ferlito. Di particolare rilievo risulta il compendio probatorio relativo alla prima riunione, costituito non solo dal servizio di osservazione ma anche dalla intercettazione di parte dei dialoghi tra i partecipanti. A tale riguarda, va da subito evidenziato che l’assunto meramente accennato nella memoria difensiva circa un possibile errore nella identificazione dei singoli interlocutori nei brogliacci del presente procedimento, state le asserite difformità rispetto a quella dei brogliacci stilati nelle indagini svolte sul Ferlito dall’ufficio catanese, è del tutto assertiva e non tiene conto, a tutto concedere, che gli inquirenti per anni ebbero a curare l’ascolto dei dialoghi del membri del sodalizio di Licata erano certamente i verbalizzanti più affidabili nel riconoscimento delle voci di costoro. Emerge che il 2 gennaio 2016 dopo l’incontro con Seminara presso la masseria di Piazza Armerina, i licatesi venivano raggiunti dal Ferlito presso l’area di pertinenza di un distributore di carburanti e, nell’incontro che seguiva, Ferlito rassicurava Giovanni Lauria sul fatto che le attività volte ad “avvicinare” il legale rappresentante dell’Alberghiera mediterranea stavano proseguendo e che in settimana si sarebbe giunti a definire tutto. Veniva quindi affrontata, su richiesta di Giovanni Lauria, la questione del pagamento di un debito da parte di un imprenditore di Palagonia, tale Fagone. L’argomento risultava di particolare interesse sia per il capo-mafia di Licata che per il figlio i quali negavano aver preso contatti con tale soggetto al di fuori della intermediazione del Ferlito, né diretti né tramite persone autorizzate a spendere il loro nome ed apprendevano dal Ferlito che il debitore, da lui personalmente contattato e redarguito, gli aveva riferito di avere per quella volta ormai chiuso la presenza accordandosi col creditore. Il Ferlito a quel punto introduceva la vicenda dell’appalto vinto da Salvatore Patriarca per la demolizione delle case abusive a Licata, precisando di essere già andato a Comiso e che l’inserimento mafioso nell’appalto sarebbe consistito nel fornire all’appaltatrice i mezzi per l’esecuzione dei lavori. Anche inquesto caso Luaria Vito non solo mostrava immediato interesse al progetto estorsivo – laddove il padre aveva una certa titubanza tenuto conto dell’oggetto dell’appalto, potendo le demolizioni venire osteggiate da molti nel paese – ma affermava la necessità di prendere contatti con referenti interni all’Amministrazione Comunale anche se il padre lo correggeva, rimarcando come i contatti andassero presi direttamente con l’imprenditore, tenuto a soggiacere alle loro imposizioni in merito ai mezzi e imprese di cui avvalersi. Da ultimo il gruppetto discuteva di un’altra vicenda afferente a lavori edili, in relazione al quale Ferlito e Mugnos programmavano di darsi appuntamento a Caltanissetta per incontrare l’architetto dell’impresa coinvolta.  

“E’ di tutta evidenza che la partecipazione di Vito Lauria, soggetto già adulto e non giovane in fase di formazione, all’incontro – svoltosi in modo riservato al fine di evitare i controlli di polizia – non fu casuale né in alcun modo necessaria per l’assistenza del padre, stante che anche la presenza del Mugnos, braccio operativo di Giovanni Lauria. Del resto l’imputato, partecipando alla pari e da intraneo alla discussione, si mostrò non solo a conoscenza di vicende pendenti di interesse del sodalizio ma anche interessato ai nuovi progetti illeciti che venivano esposti. Tali argomenti, alla lice della serrata sequenza degli incontri,dovettero necessariamente costituire anche il motivo principale della seconda trasferta di Giovanni Lauria, Vito Lauria e Mugnos a Piazza Armerina il 22 gennaio 2016, che precedette l’incontro decisivo tra Ferlito, Mugnos, Patriarca e Malfitano (titolare della discarica che il sodalizio aveva individuato per lo smaltimento degli inerti) svoltosi finalmente a Licata il 5 febbraio 2016 laddove certamente di contorno fu la circostanza che nell’occasione l’imputato in esame,terminato l’incontro presso la masseria del boss Seminara, veniva accompagna da Giuseppe Seminara presso una concessionaria di vendita di veicoli industriali in quanto interessato all’acquisto di un mezzo di tale tipo. Quanto alla presentazione del Lutri, dai colloqui captati nei giorni precedenti, si ricava che il ito Lauria si era mostrato dubbioso nell’esaudire la richiesta del Mugnos ma solo perché temeva che facendo scoprire al funzionario pubblico, residente nel capologo siciliano, di cui effettivamente non aveva compreso la completa disponibilità a venire a patti col sodalizio, di essere non solo un”fratello” massone ma anche il figlio di un boss mafioso, avrebbe potuto esporsi a conseguenze negative. In tal senso risulta esplicito il tenore del dialogo del 2 luglio 2019 tra Giovanni Lauria e Mugnos (L:“Vito è titubante.. no titubante gli sembra che poi si dovrebbe mettere sotto scopa di quello.” M: “Per il favore.. perfetto..perfetto.. qua il problema è quello che gli ha chiesto a Gino.. perché ti voglio dire questo è di Palermo secondo me negli occhi di Vito si presenta molto legale.. potente ma legale ..). In ogni caso, pur se Mugnos fino al giorno prima aveva addirittura ipotizzati di farsi fare due diverse presentazioni del Lutri, una da parte del Casa, il “pecoraro”, conduci Lutri si conosceva tramite il Noto, una da parte di Vito Lauria, il “laureato”, alla fine la presentazione era stata unica e lo stesso Vito Lauria, alla fine, aveva convenuto con Mugnos e Casa che si era trattato della scelta migliore, quella in grado di rendere subito evidente al Lutri di stare interloquendo con referenti di un unico gruppo. Nè va dimenticato che all’esito dell’incontro in parola il Mugnos riferiva a Vito Lauria i riferimenti specifici a soggetti interni al sodalizio, del “favore” chiesto dal Lutri dapprima al Casa e poi a lui, sia quello di intervenire nella vicenda Noto/Favarò, per il quale era “necessario arrivare a Canicattì”, ovvero prendere contatti con la articolazione mafiosa di tale paese, aggiungendo che, a tale fine, si era rivolto al di lui padre che gli aveva indicato tale Pino De Luca come soggetto da compulsare per arrivare al boss Di Caro. 

“Più in generale va condiviso il rilievo della parte appellante circa il fatto che i commenti negativi che gli altri soldati e anche il Lutri riservavano a Vito Lauria non attenevano a una scelta di Vito Lauria di dissociazione dal sistema illecito o dai metodi di cosa nostra né mettevano in alcun modo in discussione la compenetrazione del predetto al sodalizio ma si appuntavano sul suo comportamento opportunistico che faceva si che egli approfittasse dei vantaggi di tale appartenenza e, in particolare, del suo rapporto di figliolanza con il boss Giovanni Lauria, ma poi cercasse di sottrarsi alla logica della “mutua assistenza” e dello scambio di favori.”

“In tal senso, si vedano, per tutte: la critica rivoltegli dai commensali della cena del 30 settembre 2016, ossia Lutri, Casa, Angelo Lauria, laddove quest’ultimo dichiarava come Vito non potesse “pretendere” che gli altri facessero qualcosa in suo favore quando a sua volta egli non ricambiava aggiungendo che il padre avrebbe dovuto redarguirlo e fargli capire che con tale contegno “sbagliava” non solo nei suoi confronti ma anche dei “ragazzi”, ossia del gruppo di sodali che faceva capo al Lauria Giovanni se ancora la condotta del figlio si fosse prestata ad esporre l’associazione al ludibrio di terzi soggetti, ottenendo l’adesione al biasimo anche del farmacista e, ribadendo il fatto che Vito col suo carattere assumeva atteggiamenti individualistici, evidenziava come Lutri si era mostrato infastidito e minacciava di allontanarsi. Il Mugnos, peraltro, in più occasioni rivendicava il fatto che durante la lunga detenzione di Giovanni Lauria, il figlio Vito si era costantemente rivolto a lui per ogni problematica. In particolare, in una intercettazione col Galifi dell’11 ottobre 2016, afferma di essersi “esposto in tutti quegli anni, così sottintendendo il carattere illecito delle questioni e ricordava come solo in due occasioni Vito Lauria aveva tenuto un contegno da mafioso di rispetto suscitando il suo compiacimento: una volta in cui aveva tacitato con durezza un malavitoso di un’altra fazione il quale si era permesso di dire che il padre aveva iniziato a collaborare con la giustizia, ed un’altra in cui gli aveva proposto di commettere insieme un gesto ritornino all’indirizzo di un pastore che dava fastidio a Mugnos. Lo stesso ribadiva che Vito Lauria era capace di sapere sfoderare i metodi forti ma preferiva, in genere, tenere un comportamento volto al perseguimento del proprio personale tornaconto. I sodali erano pertanto intenzionati a “raddrizzare” Vito Lauria, ossia indirizzarlo al rispetto pieno della logica solidaristica mafiosa compito che in particolare Mugnos e Angelo Lauria si assumevano di svolgere ma anche pienamente affidabili e pronti a dargli incondizionata fiducia. Solo per questo motivo, e non come circostanza dimostrativa di un contrasto di fondo, il Lutri, proponendosi di risolvere invia definitiva e tramite le sue conoscenze riservate la specifica questione dell’annullamento della cartella esattoriale di Giovanni Lauria, dette disposizioni al Mugnos di non mettere al corrente delle sue iniziative Vito Lauria che si stava invece muovendo per ottenere la rateizzazione del debito.”

“In conclusione [..] il ruolo di tale imputato non risulta confinanti a quello di colui che è solo connivente col sodalizio a motivo dell’esistenza di vincoli di parentela o amicizia con uno o già partecipanti, né la responsabilità si fonda su un mero status, essendo stato comprovato un contributo consapevole e casualmente apprezzabile al conseguimento degli scopi del sodalizio. Egli, infatti, oltre ad avere rapporti con altri sodali oltre al padre, partecipò in concreto e attivamente ad alcuni degli incontri mafiosi interprovinciali su vicende di indubbia natura illecita e operò nella fase iniziale del rapporto bilaterale come trait d’union col Lutri sfruttando la comune militanza nella massoneria.”

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