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La “Supermafia” che passa anche da Canicattì, chiusa inchiesta: 146 indagati

L'inchiesta ipotizza l’esistenza di una confederazione tra Cosa nostra, ndrangheta e camorra attiva in Lombardia

Pubblicato 30 minuti fa

La Direzione Distrettuale Antimafia di Milano ha chiuso l’inchiesta nei confronti di 146 indagati coinvolti a vario titolo nella maxi operazione Hydra, il blitz scattato nell’ottobre 2023 che ipotizza l’esistenza di una imponente e strutturata associazione mafiosa attiva in Lombardia, tra la provincia di Milano e quella di Varese, costituita da appartenenti alle tre storiche organizzazioni di stampo mafioso: cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra. A 45 dei 146 indagati (anche cinque canicattinesi) viene contestato il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso. Tra questi vi è anche il canicattinese Gioaccino “Iachinu” Amico.

Per la Procura di Milano, guidata dall’agrigentino Marcello Viola, il canicattinese Gioacchino “Iachinu” Amico, 39 anni, ha percorso con successo molteplici tragitti non tutti nel senso indicato dalla legalità. Dalle truffe in provincia di Agrigento per ottenere prestiti (fu arrestato nel 2010 nell’operazione Cash della Squadra mobile) ad un ruolo di primo piano nel clan camorristico Senese, la famiglia riconducibile al figlio di “Michele o pazz”. Almeno è questa l’ipotesi avanzata dagli inquirenti che hanno indagato su di lui per oltre due anni. La politica era il suo pallino sin da giovane e aveva tentato, senza molto successo, a candidarsi per un posto al Consiglio comunale di Canicattì. Era il 2016 e Gioacchino Amico si era candidato con il Movimento Fare guidato allora dall’ex sindaco di Verona Flavio Tosi. Andò male ma il rampante canicattinese depose le armi in attesa di tempi migliori, senza tuttavia perdere di vista l’importanza della politica nel senso peggiore del termine. Per lui la politica doveva stare al servizio e attuare i desiderata di gente senza scrupoli.

Ma di strada Gioacchino Amico ne ha fatta tanta e, a dire il vero, con molta sorpresa di quanti lo hanno conosciuto. Nelle oltre duemila pagine di ordinanza il suo nome compare continuamente e c’è di tutto. Traffico di droga, estorsioni, appalti, legami con la politica, addirittura il presunto coinvolgimento in un omicidio (“lupara bianca”) e un ruolo di vertice nella “super cosa”, una confederazione tra famiglie di Cosa nostra, ndrangheta e camorra che operava in Lombardia. Uno dei passaggi che testimonierebbero la scalata al vertice criminale di Amico è rappresentato dal suo matrimonio e ad una lista particolare di invitati: ci sono i Pizzata di San Luca; C’è Antonio Romeo, nipote di Sebastiano “U staccu” Romeo, storico capo dell’omonima ndrina; C’è anche Enrico Nicoletti, nipote dell’omonimo nonno un tempo cassiere della famigerata Banda della Magliana; Ci sono anche Giuseppe e Stefano Fidanzati, rispettivamente figlio e fratello di don “Tanino” Fidanzati, già a capo della famiglia mafiosa dell’Acquasanta e di Arenella di Palermo; I Virga, dell’omonima famiglia mafiosa di Castelevetrano e anche Antonio Messina, detto l’avvocato, legato all’ex superlatitante Matteo Messina Denaro. 

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