La sparatoria nella concessionaria a Villaggio Mosè, trovata la pistola dell’omicidio Di Falco
Clamorosa svolta nell’inchiesta sulla sparatoria avvenuta lo scorso febbraio nella concessionaria “AutoxPassione” al Villaggio Mosè
Clamorosa svolta nell’inchiesta sulla sparatoria avvenuta lo scorso febbraio nella concessionaria “AutoxPassione” al Villaggio Mosè, una spedizione punitiva culminata nel sangue con la morte del trentottenne di Palma di Montechiaro Roberto Di Falco. Uno dei tre indagati finiti in carcere per questi fatti – Calogero Zarbo, 41 anni – ha reso dichiarazioni al pubblico ministero indicando il luogo esatto in cui era nascosta la pistola utilizzata quel drammatico giorno. Un mistero che durava da nove mesi. La pistola, una semiautomatica calibro 9 con matricola abrasa, è stata già sequestrata dalla Squadra mobile di Agrigento guidata dal vicequestore Vincenzo Perta. L’arma, così come disposto dal pm Gaspare Bentivegna, sarà sottoposta ad accertamenti irripetibili il prossimo 26 novembre presso i laboratori della polizia scientifica di Catania. La difesa di Zarbo, rappresentata dall’avvocato Antonio Impellizzeri, ha già chiesto e ottenuto dal gip Giuseppe Miceli la sostituzione della custodia in carcere con quella meno afflittiva dei domiciliari con obbligo di braccialetto elettronico proprio alla luce del contributo fornito: “Oltre ad ammettere quantomeno la condotta relativa alla detenzione e al porto di arma ne ha soprattutto consentito il rinvenimento e sequestro (posto che devono essere svolti su di essa esami al fine di accertarne l’identità con quella con cui sono stati commessi i fatti). È vero, così come sostiene il pubblico ministero, nel ben motivato parere contrario all’accoglimento dell’istanza di scarcerazione, che lo Zarbo non ha reso affatto in tale occasione una ampia confessione rispetto ai fatti contestati ma è pur vero che, comunque, dopo la iniziale manifestazione di volontà di rendere solo dichiarazioni spontanee ha in ultimo risposto su tutti i fatti contestati che, se pur lo stesso, ha reso dichiarazioni tendenti a sminuire la portata dei reati contestati ha fatto (verosimilmente) rinvenire proprio la pistola utilizzata il 23 febbraio, circostanza questa che rappresenta un novum rispetto al quadro cautelare preesistente e certamente rilevante”.
Il giudice sottolinea che “seppur permane allo stato il pericolo di reiterazione dei reati della stessa specie di quelli per cui si procede che impone un assiduo controllo di polizia sull’indagato, è lecito ritenere che le esigenze possano, allo stato, essere garantite con un regime cautelare complessivo meno afflittivo per l’indagato che, ovviamente, lo stesso sia sottoposto ad un controllo costante e continua sulla sua libertà di movimento”.
Una vicenda complicata così come il suo iter giudiziario. Ai tre indagati – Angelo Di Falco, 39 anni, fratello della vittima; Domenico Avanzato, 36 anni, e Calogero Zarbo, 41 anni – vengono contestati gravi reati: tentato omicidio, porto abusivo di arma da fuoco e soprattutto una particolare fattispecie di omicidio, quello “per errore”. I fatti sono noti e così ricostruiti. Lo scorso 23 febbraio quattro palmesi compiono quella che gli inquirenti ritengono una spedizione punitiva nei confronti di Lillo Zambuto, titolare della concessionaria “AutoXPassione” al Villaggio Mosè.
Alla base della “punizione” impartita al rivenditore di auto, aggredito nel piazzale della concessionaria, il pagamento di un’auto con un assegno risultato poi scoperto. Durante quei concitati momenti, ripresi in gran parte dalle telecamere, viene estratta una pistola da cui parte un colpo che ferisce mortalmente proprio Roberto Di Falco. Per la Procura di Agrigento a premere il grilletto è stata la stessa vittima dopo che Zambuto, come dichiarato dallo stesso, era riuscito con una mossa imparata durante il servizio militare a girare la canna dell’arma verso il suo aggressore. Il tribunale del Riesame, accogliendo parzialmente il ricorso degli avvocati Giovanni Castronovo, Santo Lucia, Antonino Ragusa, Antonio Impellizzeri e Giuseppe Barba, ha annullato questa specifica contestazione: pur condividendo pienamente la ricostruzione storica degli avvenimenti, ritiene sostanzialmente inidonea la formulazione del capo di imputazione e, in particolare, la sussistenza della fattispecie di omicidio per errore. Una valutazione che riguarda più la forma che il merito. La procura di Agrigento, tre mesi fa, ha chiuso le indagini insistendo sulla tesi originaria: fu un omicidio per errore. Adesso una nuova, clamorosa svolta nell’inchiesta.