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La mafia di Canicattì e la rinascita della Stidda, 7 condanne nel processo Xidy

Tra i condannati anche il boss Giuseppe Falsone, il nuovo capo della Stidda Chiazza, uno dei mandanti dell'omicidio Livatino e un ex ispettore di polizia

Pubblicato 3 ore fa

Sette condanne per oltre un secolo di carcere e due assoluzioni. Si conclude così il primo grado di giudizio nei confronti dei nove imputati coinvolti nello stralcio ordinario del processo Xidy, l’operazione dei carabinieri del Ros che agli inizi del 2021 fece luce sul mandamento mafioso di Canicattì e sulla rinascita della Stidda in provincia di Agrigento. Sul banco degli imputati boss di primo piano di Cosa nostra e Stidda agrigentina, uno dei mandanti dell’omicidio del giudice Livatino, un ergastolano in semilibertà e anche un ex ispettore della Polizia di Stato. Tra gli assolti, invece, c’è l’avvocato Calogero Lo Giudice (difeso dagli avvocati Salvatore Manganello e Paolo Grillo) che era accusato di falso e procurata inosservanza della pena. Nel collegio difensivo gli avvocati Salvatore Manganello, Antonino Gaziano, Calogero Meli Paolo Grillo, Giovanni Lo Monaco, Barbara Garascia, Diego Giarratana, e Daniela Posante. 

LE CONDANNE E LE ASSOLUZIONI 

I giudici della seconda sezione penale del tribunale di Agrigento, presieduta da Wilma Angela Mazzara, hanno disposto le seguenti condanne: Giuseppe Falsone (22 anni); Antonio Gallea (22 anni); Santo Gioacchino Rinallo (28 anni); Antonino Chiazza (29 anni); Pietro Fazio (18 anni); Filippo Pitruzzella (12 anni e 1 mese); Stefano Saccomando (1 anno e 6 mesi). Il tribunale ha altresì assolto – per non aver commesso il fatto e perche il fatto non sussiste – l’avvocato Calogero Lo Giudice e Calogero Valenti,  60 anni, residente a Canicattì.

I BOSS DI COSA NOSTRA E STIDDA

Ventidue anni di reclusione sono stati inflitti a Giuseppe Falsone, ergastolano di Campobello di Licata, ritenuto ancora oggi il capo indiscusso di Cosa nostra agrigentina. Falsone è stato catturato nel 2010 a Marsiglia dopo oltre dieci anni di latitanza. Secondo l’accusa, che ha trovato riscontro nel primo grado di giudizio, avrebbe continuato a guidare la cupola nonostante si trovi ancora oggi in regime di 41bis. La pena più alta (29 anni) è stata inflitta, invece, ad Antonino Chiazza. Chiazza, originario di Palma di Montechiaro, è ritenuto il capo della “nuova” Stidda di Canicattì, organizzazione che dopo essersi scontrata militarmente con Cosa nostra, sarebbe tornata in auge facendo affari con la stessa. 

IL MANDANTE DELL’OMICIDIO LIVATINO E IL KILLER DELLA STIDDA

Ventidue anni e ventotto anni di reclusione sono stati inflitti rispettivamente ad Antonio Gallea e Santo Gioacchino Rinallo. Entrambi sono ergastolani in semi-libertà già condannati in via definitiva per la partecipazione alla Stidda. Gallea è uno dei mandanti dell’omicidio del giudice Rosario Livatino, ucciso il 21 settembre 1990; Rinallo, uno dei killer più spietati dalle Stidda, è stato condannato all’ergastolo per il duplice omicidio dei fratelli Ribisi, esponenti di primo piano di Cosa nostra di Palma di Montechiaro. Sia Gallea che Rinallo, dopo aver scontato ininterrottamente venticinque anni di carcere, avevano ottenuto permessi premio in nome di un presunto ravvedimento. Il primo faceva volontariato e aveva intrapreso un percorso di studi mentre il secondo era diventato un cuoco e cantava in un coro gospel.

LE ALTRE CONDANNE 

Diciotto anni di reclusione sono stati inflitti a Pietro Fazio, ritenuto uno dei membri della nuova Stidda, riconducibile al gruppo di Chiazza-Gallea-Rinallo. Fazio, secondo l’accusa che ha trovato riscontro nel primo grado di giudizio, sarebbe stato coinvolto nel sistema di comunicazione riservato dei sodali, avrebbe avuto disponibilità di armi oltre a essere il protagonista di alcuni tentativi di estorsione. Dodici anni e un mese di reclusione è la condanna inflitta all’ex ispettore del commissariato di Canicattì, Filippo Pitruzzella. L’ex poliziotto è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa poiché, secondo l’accusa, avrebbe “passato” informazioni riservate al boss Giancarlo Buggea tramite l’ex compagna e avvocato Angela Porcello. Un anno e sei mesi a Stefano Saccomando, condannato per favoreggiamento ma con l’esclusione dell’aggravante mafiosa. 

L’ASSOLUZIONE DELL’AVVOCATO LO GIUDICE

Sul banco degli imputati compariva anche l’avvocato Calogero Lo Giudice che è stato assolto dalle accuse di falso e procurata inosservanza della pena per non aver commesso il fatto e perchè il fatto non sussiste. Il penalista era rimasto coinvolto nell’inchiesta in seguito all’attività di intercettazione nei confronti dell’avvocato Angela Porcello relativa alla decorrenza dei termini per proporre appello per una sentenza. Assolto anche il bracciante agricolo canicattinese Calogero Valenti dall’accusa di favoreggiamento aggravato. 

LE PARTI CIVILI 

Tutti gli imputati condannati, ad esclusione di Saccomando, dovranno risarcire le parti civili costituitesi nel processo. In particolare, 2 mila euro nei confronti delle associazioni “Rete per la legalità Sicilia”, “Associazione nazionale per la lotta contro le illegalità Antonino Caponnetto”, “Centro studi Pio La Torre”, “Sos Imprese”, “Cooperativa sociale S.C.S.”, “Cgil Agrigento”, “Codici Sicilia”. Cinquemila euro, invece, nei confronti del comune di Canicattì e dell’associazione “Amici del giudice Rosario Livatino”.

IL RITO ABBREVIATO E IL PROCESSO DI APPELLO

Nello stralcio processuale che segue il rito abbreviato, arrivato già al secondo grado di giudizio, sono 13 gli imputati. Nelle scorse settimane la procura generale ha chiesto la condanna per tutti: Giancarlo Buggea (20 anni), ritenuto esponente di spicco dell’interno mandamento; Angela Porcello (15 anni e 4 mesi), ex avvocato ritenuta la cassiera; Giuseppe Grassadonio (8 mesi); Calogero Di Caro (20 anni), storico capo del mandamento mafioso di Canicattì; Calogero Paceco (8 anni); Simone Castello (12 anni), ex “postino” di Bernardo Provenzano; Diego Emanuele Cigna (10 anni e 6 mesi); Gregorio Lombardo (17 anni e 4 mesi); Luigi Boncori (20 anni), ritenuto il capo della famiglia mafiosa di Ravanusa; Giuseppe Sicilia (18 anni e 8 mesi), considerato il capo della famiglia mafiosa di Favara; Giuseppe D’Andrea (3 anni e 4 mesi); Annalisa Lentini (1 anno e 8 mesi); Vincenzo Di Caro (1 anno).

L’OPERAZIONE XIDY

L’operazione – coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo ed eseguita dai carabinieri del Ros – scattò nel febbraio di tre anni fa. In quell’occasione furono arrestati i vertici dell’intero mandamento, poliziotti e anche l’avvocato Angela Porcello, ex compagna di Buggea, condannata in primo grado a 15 anni e 4 mesi poiché ritenuta cassiera del mandamento. La penalista, nel frattempo radiata dall’albo, ha anche tentato di avviare un percorso di collaborazione con la giustizia. Uno status che non le è mai stato riconosciuto. L’indagine coordinata dai magistrati della Dda di Palermo Paolo Guido, Claudio Camilleri, Gianluca De Leo e Francesca Dessì, oltre ad aver fatto luce sulle dinamiche interne al mandamento mafioso di Canicattì, ha anche puntato un faro sui componenti della nuova Stidda che si sarebbe contrapposta alla famiglia di Cosa Nostra. Ipotizzate anche una serie di estorsioni, in particolare nel settore delle mediazioni agricole.

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