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Il “Bufalo” della Banda della Magliana testimonia al processo Nicitra

Marcello Colafigli, storico capo della Banda della Magliana, già condannato all’ergastolo per l’omicidio di “Renatino” De Pedis, testimonia nel processo a carico dei palmesi Nicitra, Calafato e Farruggio

Pubblicato 11 ore fa

Il suo nome è noto per essere stato uno dei fondatori della famigerata Banda della Magliana, un gruppo che dalla seconda metà degli anni settanta ha terrorizzato Roma intrecciando il suo destino ai misteri più fitti d’Italia. Ancora oggi, a settant’anni, è ritenuto l’ultimo vero boss della Capitale ed è stato arrestato non meno di un anno fa per aver riorganizzato alcune piazze di spaccio e stretto rapporti con i capi di Ndrangheta e mafia foggiana. Marcello Colafigli, che peraltro ha anche ispirato il personaggio del “bufalo” nella serie televisiva “Romanzo criminale”, irrompe nel processo a carico di Salvatore Nicitra e dei palmesi Calogero Farruggio e Giovanni Calafato.

Al centro del processo ci sono alcuni omicidi portati alla luce a distanza di decenni e che sarebbero maturati nell’ambito di una faida tra il clan Nicitra e quello Belardinelli per il controllo della zona di Primavalle. Marcellone, già condannato all’ergastolo per l’omicidio di Enrico “Renatino” De Pedis, è stato chiamato sul banco dei testimoni dalla difesa per riferire i rapporti con Salvatore Nicitra e, ancora più nello specifico, il periodo trascorso insieme nell’ospedale psichiatrico di Aversa. L’interrogatorio del “bufalo” è pieno di non ricordo ma ha ben in mente la figura di Nicitra con cui, secondo l’accusa, avrebbe anche condiviso parte del viaggio della Banda della Magliana. Subito dopo l’esame di Colafigli c’è stato quello di Rosario Zarbo, cugino di Nicitra, nonché imputato con lo stesso in un altro stralcio processuale scaturito dall’inchiesta Jackpot: “Conosco Farruggio essendo mio cognato e Calafato lo conosco come amico di infanzia, eravamo ragazzi. Io facevo il falegname a Palma di Montechiaro, lavoravo per gli altri e lavoravo per Sambito Baldassarre. Non sapevo che Paolo Farruggio, fratello di Calogero, facesse parte di Cosa nostra di Palma di Montechiaro. Non sapevo neanche che Calafato facesse rapine e altri reati. Non mi interessavano le cose di Cosa nostra e non sapevo ci fosse una famiglia mafiosa a Palma di Montechiaro. Francesco Inguanta lo conosco, è mio cugino perchè il padre è fratello di mia madre. Inguanta ha tre sorelle e una di queste è sposata con Ignazio Ribisi che è carcerato per cose sue, non so il motivo. Forse per mafia, non ricordo.”

Nicitra, in questo stralcio, è imputato di omicidio insieme ad altri due palmesi: Calogero Farruggio e Giovanni Calafato, ex esponente della Stidda coinvolto anche nell’omicidio del giudice Livatino. Nell’inchiesta Jackpot sono stati proprio i collaboratori di giustizia a fornire un importante contributo all’autorità giudiziaria. Calafato, oggi imputato con Nicitra, nel 2015 si autoaccusò dell’omicidio di di Valentino Belardinelli, ucciso nel 1988 mentre rincasava (armato) con la fidanzata. Valentino Belardinelli era il fratello di Roberto “Bebo” Belardinelli, pezzo da novanta della mala di Roma nord entrato in contrasto con Nicitra (entrambi vicini a Renatino De Pedis) operando nello stesso territorio. Bebo Belardinelli era rimasto vittima di un agguato il 12 novembre 1988 quando più uomini armati esplosero numerosi colpi contro lui e Paolino Angeli, deceduto nell’immediato, e Franco Martinelli, che rimase ferito ma si salvò. Belardinelli morì poco dopo in seguito alle gravi ferite. Un altro delitto contestato a Nicitra è quello di Giampiero Caddeo, morto nel 1983 nell’ospedale psichiatrico di Aversa: una parete divisoria della sua cella era crollata per l’esplosione della bomboletta di un fornello a gas, innescata da Nicitra per uccidere proprio Roberto Belardinelli che, in quel momento, era pero’ assente.

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