Agrigento si interroga sul caso Braibanti e sul caso Tandoy
Aldo Braibanti è stato una mente affascinante e poliedrica, sfuggente a ogni facile etichetta
Sarà lo stimolo a cercare verità e identità dell’Agrigento città della cultura, di certo il pubblico che gremiva la Sala Fazello del Museo Griffo, ha mostrato grande interesse per la conferenza allestita da Beniamino Biondi sul Caso Braibanti e che certamente verrà incuriosita perlomeno da un’altra vicenda molto agrigentina, quella del caso Tandoy che verrà dibattuta il prossimo 12 novembre nel foyer del Teatro Pirandello.
Biondi ha parlato di Braibanti quasi con furore polemico e ha mostrato molti dei libri che il filosofo fiorentino scrisse e leggendo anche alcuni passaggi della sentenza di condanna per plagio che si sono rivelati orrendi e incredibili per una qualsiasi minima ragionevolezza.
Eppure tutto questo è accaduto e purtroppo per noi non ha smesso di accadere fino ai nostri giorni. Quella del Caso Braibanti- è una storia di giustizia assurda e ingiusta, anche per questo Biondi ha ricevuto applausi e attestati di gradimento che configurano la conferenza come un evento di alta cultura su un personaggio di assoluto spessore.
Poeta, artista visivo, drammaturgo, studioso delle formiche (la cui vicenda è stata di recente portata sugli schermi con il film “Il signore delle formiche” di Gianni Amelio) Aldo Braibanti (1922-2014), è stato una mente affascinante e poliedrica, sfuggente a ogni facile etichetta, e anche uomo mite, appartato.
Il processo “politico” ad Aldo Braibanti fu il nostro processo a Oscar Wilde, con un secolo di ritardo.
Braibanti ebbe al suo fianco pochi ma qualificati sostenitori, tra cui Marco Pannella, mentre Pier Paolo Pasolini, Elsa Morante, Alberto Moravia, Umberto Eco seguirono e commentarono aspramente il processo e quella parte di Paese che resisteva strenuamente ad ogni tentativo di modernizzazione della società.
Perché oggi il Caso Braibanti assurge a questo grande interesse e suscita notevole preoccupazione?
“Al di là della mia frequentazione privata e della lunga amicizia con Aldo Braibanti, il caso della sua condanna per l’assurdo reato di plagio configura uno spaccato esemplare delle distorsioni giudiziarie di un’Italia i cui echi, pure se mutati, mi auguro non possano provocare alcun rimpianto. Con Braibanti, “utile idiota” del processo, il meccanismo della giustizia manifesta i suoi guasti, degradando a strumento legale di sottomissione – impossibili – della storia culturale. Quella pagina vergognosa è strumento di memoria che appartiene all’archeologia sociologica, certo, e che al contempo non spegne gli azzardi della tensione autoritaria di un certo mito arcadico e reazionario. Occorre però non dimenticare il dolore della vittima reale di quel processo, il medesimo Braibanti, e il solo modo per restituirgli la giusta dignità che merita è valorizzarne il lavoro letterario e poetico, di studioso e di intellettuale. Questo rimarrà col tempo, negli anni, e il plagio sarà una piccola nota a margine della sua vita, uno dei tanti ignobili incidenti della storia”.