La Prima sezione della Corte di Appello di Palermo presieduta da Maria Elena Gamberini, – come è noto – ribaltando il verdetto di primo grado del Tribunale di Sciacca, ha assolto Tommaso Gulotta e Matteo Mistretta, entrambi originari di Menfi, dall’accusa di far parte della locale famiglia mafiosa sgominata nell’ambito dell’inchiesta “Opuntia”.
In primo grado agli imputati erano state inflitte pesanti condanne: 15 anni di reclusione a Gulotta e 13 anni a Mistretta.
Gulotta e Mistretta erano gli unici ad essere stati condannati nel processo scaturito dall’operazione “Opuntia” – eseguita dai carabinieri – che avrebbe fatto luce sulle dinamiche delle cosche di Menfi e Santa Margherita Belice. Alla base dell’operazione le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Vito Bucceri, già capo della famiglia mafiosa di Menfi. Nel collegio difensivo gli avvocati Giovanni Castronovo, Carmelo Carrara, Giovanni Rizzuti e Accursio Gagliano.
Nel giugno scorso, con il rito abbreviato, il Gup Marfia aveva assolto Domenico Friscia, 55 anni di Sciacca; il medico di Menfi, Pellegrino Scirica, 63 anni, Giuseppe Alesi, 48 anni, e il fratello Cosimo.
Adesso è possibile sapere perché i due menfitani sono stati assolti. Infatti, i giudici della Corte d’appello hanno depositato le motivazioni.
Abbiamo già visto nel numero scorso, la posizione di Matteo Mistretta adesso ci occupiamo di Tommaso Gulotta. Scrivono i giudici d’appello:
La sentenza di primo grado ha preso spunto dalla complessa indagine posta in essere dalla P.G. sulle articolazioni territoriali mafiose agrigentine, con particolare riferimento al comprensorio di Sciacca, Menfi, Sambuca di Sicilia, Santa Margherita Belice e Montevago.
In esito alla stessa è stato richiesto il rinvio a giudizio di una serie di soggetti, imputati a diverso titolo di far parte della consorteria mafiosa di tale centro.
Alcune delle posizioni degli imputati sono state definite nelle forme del giudizio abbreviato, mentre gli imputati Mistretta e Gulotta sono stati giudicati con il rito ordinario.
In esito al giudizio abbreviato scelto dai coimputati, il G.U.P. del Tribunale di Palermo ha affermato la penale responsabilità del Bucceri Vito, nelle more diventato collaboratore di giustizia, in ordine al delitto di cui all’art. 416 bis c.p., riconoscendogli la circostanza attenuante di cui all’art. 416 bis 1 comma 3 c.p., e di Riggio Vito, suo autista di fiducia, riqualificando il reato originariamente a quest’ultimo contestato di cui all’art. 416 bis c.p. in quello di cui agli artt. 378 commi 1 e 2 e 416 bis 1 comma 1 c.p. Ha assolto, invece, dal reato di partecipazione ad associazione mafiosa, gli imputati Friscia Domenico , Scirica Pellegrino, Alesi Giuseppe ed Alesi Cosimo – che pure avevano rapporti diretti con il vertice provinciale del mandamento mafioso, Sutera Leo – con la formula per non aver commesso il fatto.
L’indagine in questione ha rappresentato il seguito del procedimento ‘Scacco Matto”, che aveva consentito di individuare i soggetti che costituivano i punti di vertice della mafia agrigentina, ovverosia Sutera Leo e Campo Pietro.
Nella stessa, invero, erano stati attenzionati tutte le persone che avevano avuto contatti diretti con costoro e, in particolare, Scirica Pellegrino, medico che era risultato in rapporti stretti con Sutera Leo. Nessun contatto diretto col Sutera era stato, invece, rilevato, né a carico del Gulotta, né a carico del Mistretta.
L’indagine in esame è stata integrata dal contenuto di numerose intercettazioni telefoniche ed ambientali, che hanno consentito di accertare i contatti che Campo Pietro ha avuto con una serie di soggetti, tra cui anche gli odierni imputati.
I servizi di osservazione posti in essere dalla P.G., inoltre, hanno consentito di documentare diversi incontri, attenzionando, in particolar modo, quelli avvenuti in data 30.6.2015 e 9.7.20 15 tra il Bucceri e Campo Pietro, ai quali avevano partecipato, separatamente ed in due diverse occasioni, la prima volta il Mistretta e la seconda volta, il Gulotta.
Come si ricavava, in seguito, anche dalle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Bucceri, detti incontri avevano avuto ad oggetto, in particolar modo, la vicenda relativa alla relazione extraconiugale che il Bucceri intratteneva con la moglie di Interrante Bartolo, Scardamaglia Rosa e che l’Interrante, amico del Gulotta, aveva chiesto venisse interrotta, anche con l’ausilio dell’autorità che il Campo, già condannato per mafia, aveva sul Bucceri, pregiudicato per lo stesso reato.
Nel corso del giudizio di primo grado sono stati ascoltati numerosi testi, tra i quali l’ufficiale di P.G. Marchese, soggetto che aveva coordinato le attività investigative poste in essere nel comprensorio di Sambuca di Sicilia.
All’esito del giudizio è stata affermata la penale responsabilità degli odierni imputati.
Per i giudici d’appello, al contrario, è d’obbligo l’assoluzione non essendo emersa la prova certa che la vicinanza del Gulotta a soggetti condannati per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. (Bucceri e Campo) si sia trasformata in un’organica militanza in “Cosa Nostra”, assorbito ogni altro motivo, l’appellante va mandato assolto dal reato ascrittogli al capo 1) perché il fatto non sussiste.