Si intravede l’alba del vero e proprio musical in questa “Duchessa di Chicago” dell’ungherese Kalman che apre le danze della stagione teatrale agrigentina.
Nata col sorgere e l’affermarsi della borghesia, oggi l’operetta rischia di accompagnare il tracollo di una borghesia che non riesce più ad avere almeno i connotati del ceto medio riflessivo.
La gestione e i risultati delle elezioni comunali (da operetta) ad Agrigento potrebbero dirla lunga sullo sbando dei ceti sociali .
Epperò l’operetta regna sovrana, addirittura due repliche nel corso di questa stagione agrigentina con la italianissima “Cin ci la” in febbraio, segno che la zampata degli ultimi gattopardi vorrebbe passare il testimone ai primi nuovi “canipardi” o addirittura grillopardi che si affacciano sulla scena regionale e assediano il fortino di Musumeci.
Su tutto troneggia felice e pago, Umberto Scida, il re dell’operetta che a noi sembra il più soddisfatto dei teatranti e non solo in Sicilia.
Decadenti e divertenti atmosfere asburgiche si troveranno sempre e Scida sarà sempre li, pronto con il suo ragguardevole corpo di ballo a distribuire sentimentalismi, salvezze fiscali ed economiche tra matrimoni combinati delle teste coronate e a raccontarci paesi di fiaba di la da venire.
Gli ingredienti sono sempre questi, con parti recitate, cantate e danzate fuse in una unica sintesi narrativa, anche se stavolta, come dicevamo, in questa operetta di Kalman l’alba del musical si affaccia prepotentemente tra segni coreografici e affabulatori, ammiccate al “Nuovo Mondo”(l’”american dream” era ancora inconsapevole, per fortuna) e si mescolano alla miliardaria (e maliarda) americana Mary Lloyd che giunge onusta di milioni di dollari nel regno di Sylvaria sull’orlo della bancarotta.
Quasi una novella Maria Elena Boschi onusta di euro per la salvezza di Villaseta.
Senza però charleston e tip tap che Mary Lloyd porta in dote al principe Sandor Boris di cui vuol acquistare il Palazzo Reale di Sylvaria.
Anche qui l’intreccio diventa intricato come una foresta amazzonica ma l’happy end è assicurato e come nelle fiabe tutti vivranno felici e contenti. Compreso il popolo fanciullo agrigentino che con ansia attende “Cin ci la” il prossimo febbraio in concomitanza con quell’altro evento popolare, la Sagra, i cui effetti e significati si vanno pian piano scoprendo e apprezzando. Meglio tardi che mai sognando la capitale della cultura del 2020.
L’effetto generale che se ne ricava è ottimo, segno inequivocabile di una collaudata esperienza e felicità inventiva che contrassegnano le messe in scena di Umberto Scida e Isadora Agrifoglio (altri componenti non citati) sotto l’attenta supervisione, da lui citata, di Aldo Morgante. Le coreografie sono firmate da Stefania Cotroneo, la scenografia da Marco Giacomazzi. I costumi sono della sartoria Arrigo di Milano.
L’orchestra è diretta dal maestro Diego Cristofaro.
I nomi dei musici e delle componenti il corpo di ballo non sono citati nelle note di regia. Malissimo.