Di Patricia Rizzo, funzionaria di un’agenzia della Commissione europea, non si hanno piu’ notizie da martedi’, dall’esplosione alla metropolitana di Maelbeek, dove almeno una ventina di persone hanno perso la vita. I familiari la cercano senza sosta. Il cugino, Massimo Leonora, conosciuto col suo alias da dj e producer di musica progressive Mass Leone, ha postato una foto della donna sul suo profilo Facebook, con una richiesta di aiuto a chiunque possa dare informazioni utili. I peggiori auspici rimbalzano pero’ da Roma, quando prima la Farnesina fa sapere di ritenere “molto probabile” che ci sia un’italiana tra le vittime. E poi Maurizio Lupi, uscendo da Palazzo Chigi, annuncia: “Il presidente del Consiglio ci ha informato che c’e’ una verifica in corso su una possibile vittima italiana: dovrebbe essere tra le vittime della metro”. Ma a Bruxelles non c’e’ una conferma formale. L’ambasciata ha assistito per tutta la giornata i familiari per il riconoscimento, e le procedure ufficiali possono andare per le lunghe, visto che occorre la certificazione del procuratore. I genitori, papa’ Gaetano e mamma Carmela, sono stati chiamati all’ospedale militare Regina Astrid, a Neder-Oven-Hembeek, dove sono state raccolte tutte le salme dell’esplosione della metro (mentre quelle dell’aeroporto di Zaventem sono a Lovanio) e dove la procura federale ha fatto arrivare i parenti dei dispersi. Nell’enorme edificio grigio, lontano almeno una ventina di chilometri dal centro di Bruxelles e sorvegliato a vista dai soldati, si trova il piu’ grande centro ustionati del Belgio. Per qualche ora i parenti di Patricia sperano che la loro congiunta sia qui, tra le quindici persone ricoverate. Ma sulla lista il nome Rizzo non figura. Lo conferma la poliziotta all’ingresso, che scorre rapidamente la lista, chiede di esibire carta di identita’ e perquisisce la borsa. Un militare interviene: “Qualcuno dell’ambasciata italiana poco fa e’ venuto cercando la stessa persona. So io dove sono i familiari”. Massimo Leonora ed i suoi zii sono in uno stanzone nel sottosuolo. Un militare fa strada lungo i corridoi grigi. Di tanto in tanto compare un cartello attaccato con lo scotch a porte e pareti: “Accoglienza per i familiari”, c’e’ scritto. Si passa oltre la caffetteria e si arriva in un enorme open space con una ventina di tavoli e gruppi di persone sedute attorno. I cadaveri da identificare sarebbero ancora quattordici. La volontaria della Croce Rossa belga offre un caffe’ o un bicchier d’acqua. Qui nessuno ha voglia di parlare. Tanta sensazione di angoscia. Nel tavolo in fondo c’e’ una famiglia di origine africane, cercano Sabina Faisal, la compagna del figlio e madre della loro nipotina. Anche di lei, come di Patricia, non si hanno piu’ notizie. Poco distante, in piedi accanto ad un amico di famiglia c’e’ Massimo Leonora. “Siamo qui da stamattina e non sappiamo ancora niente. I genitori di Patricia sono stati fatti salire al primo piano dalla polizia per riempire un formulario. Cercano segni particolari” per poterla identificare, come un neo, un tatuaggio o un piercing. “I nonni di Patricia, come i miei, sono venuti in Belgio per lavorare nelle miniere e siamo rimasti qui, siamo originari della provincia di Enna, di Calascibetta. Ma abbiamo tutti la nazionalita’ italiana. L’Italia resta il nostro Paese”, spiega. “La famiglia di Patricia abita fuori Bruxelles. Io lavoro all’Eacea, l’agenzia della Commissione Ue che si occupa di audiovisivi e fino ad un paio di mesi fa anche Patricia lavorava li’, prima di trasferirsi all’Ercea”, l’agenzia esecutiva del Consiglio europeo della ricerca. “Vogliamo trovarla viva”. Piu’ tardi, al loro ritorno nella grande sala, i genitori provano un dolore ancora piu’ forte nell’apprendere che alcuni media in Italia hanno gia’ dato la loro ragazza per morta. Allontanandosi dall’ospedale – dove oggi sono arrivati in visita anche il re Filippo e la regina Matilde per rendere omaggio al lavoro dei medici e portare un saluto ai familiari dei ricoverati – la speranza di trovare Patricia ancora in vita si e’ affievolita. “Le operazioni di riconoscimento dureranno ancora molto tempo, e’ meglio che rientriate a casa. Vi faremo sapere”, dice il funzionario di polizia. All’uscita c’e’ chi piange, chi ha lo sguardo perso nel vuoto: ad attenderli e’ una nuova nottata di dolore.