Ricordate l’imprecazione parasessantottina “Non moriremo democristiani”?
Provate oggi a scorrere le note di cronaca. Non la troverete da nessuna parte. E né la sentirete in alcuna tv ancora per molto tempo.
Da noi, ad Agrigento e diffusamente in regione Sicilia è più facile sentir dire, anche ad alta voce, “Continueremo a vivere democristiani”. Vi si avverte una rassegnata felicità visto che è morto e sepolto il “disagio bipolare” e si vive abbondantemente tra le larghe intese, senza più destra né sinistra.
Tornando ad Agrigento che è il luogo della nostra rassegnata felicità, osserviamo il cartellone teatrale del “Pirandello”, con la sua discussa e discutibile interpretazione dei nostri sogni e bisogni. Si è giunti alla quarta rappresentazione e non si può fare a meno di notare che nella scelta delle opere c’è stato un metodo ben finalizzato all’operazione nostalgia, alla rievocazione di un “convitato di pietra” che (non è un caso) è presente anche nel Don Giovanni di Molière e Preziosi visto l’altra sera: il commendatore, la cui tomba viene profanata da don Giovanni e Sganarello e in un clima orrorifico invitano a cena la “statua-cadavere pietrificata” che dà il suo assenso.
Conosceremo alla fine la vendetta del fantasma sepolcrale che tenderà l’infida mano a Don Giovanni precipitandolo agli inferi. Siamo dentro o fuori di metafora nella Prima Repubblica? (A proposito, lo spettacolo è godibilissimo ma io voto per Sganarello, uno strepitoso Nando Paone e la scenografia mozzafiato di Fabien Iliou).
Altra traccia dell’operazione nostalgia ce la indicano le 5 opere su dieci del cartellone che fanno parte dell’usato sicuro, viste e riviste in anni passati sulla scena agrigentina (Vedova allegra, Consiglio di Egitto, Memorie di Adriano, Pipino il Breve, Lumie di Sicilia). Superfluo ricordare che la cultura (si dice così?) rappresenta il grimaldello per dare la stura a tutte le nostalgie che un tempo venivano relegate al volgarissimo “panem et circenses”.
L’operazione si delineò ancor più chiaramente nel concerto di fine anno, con la Platinette che ti rievoca i dadaumpa, i musicarelli del tempo che fu, mentre il complessino senegalese ti stordisce il sottopalco vip teleguidato da un buttafuori che incitava all’applauso e allo stordimento mentre “soprailpalco” sculettava una cantante nera subito repressa (abbiamo il video) nelle sue movenze erotizzanti, come ai bei tempi andreottiani. Le feroci riflessioni moraviane di “Io e lui” si sono tradotte al massimo in ironie e ammiccamenti come i sogni e bisogni del pene di Vincenzo Salemme che viene chiamato elegantemente “il tronchetto della felicità”;
le pugnaci lotte di correnti politiche e di affari che vengono sublimate dall’Odisseo Sebastiano Lo Monaco che rimette ordine nell’isola che non c’è, perfino vengono sublimate, con invito alla autocritica, le risapute (e mai confessate ) maldicenze dell’agrigentinità che solitamente dice peste e corna del politico che ha contribuito ad eleggere.
Infatti, provate a parafrasare il titolo della commedia con Jannuzzo “Lei è ricca, la sposo e poi l’ammazzo” con un “Lui è democristiano, lo voto e poi l’ammazzo” ne viene fuori una continuità di Dioscuri politici che non ci hanno reso un buon “servizio” e che restano implacabilmente votati (e ammazzati solo a parole).
Il tempo ci dirà se sia stata la scelta di un martirio quella del sindaco Firetto ad abbandonare il parlamento siciliano, dimettersi da sindaco di Porto Empedocle e farsi eleggere sindaco di Agrigento con l’atteggiamento di un De Gasperi che avvertiva: “La Dc è un partito di centro che guarda a sinistra”.
Indicazioni degasperiane esaudite da Firetto che ha pescato a piene mani in quel che resta della cosiddetta buona borghesia più incline (di facciata) e coincidente (per interesse) a un vago populismo di sinistra “radical & chic”, tenendola al guinzaglio di medagliette, consulenze e titolazioni viarie.
Ne sarà felice il ministro Alfano che tiene in mano saldamente la “Fondazione De Gasperi” e che, aiutando Firetto, solo nel “granaio meridionale” può avviare operazioni “risorgimentali” di un certo tipo.
Intanto lo spettacolo continua e potrebbero essere facili i rimbalzi che ci portano dal Checco Zalone del “Quo Vado” alle vicende siciliane del Davide Faraone renziano che almeno fisicamente gli somiglia.
In tanta cultura politica, il Don Juan molieriano potrebbe ricordarci come i teatri da Napoli in giù restino esautorati dal ministero, gli operatori della lirica non vengono pagati (ne sa qualcosa il componente cda Guttadauro dell’orchestra sinfonica siciliana), mentre l’assessore regionale Barbagallo promette e delinea strategie di intervento sempre che il governo non cada.
Ecco, oggi le larghe intese servono a questo, a tenere in ostaggio Crocetta e i vitalizi insieme agli artisti e ai nuovi talenti emergenti. Tra le buone cose del nostro “Teatro Pirandello” c’è da registrare l’apertura ai giovani spettatori e agli artisti della lirica, per simili teatri l’assessore Barbagallo promette premi e maggiori fondi. Si resta ancora in attesa che la “Fondazione” agrigentina oltre a subire le indicazioni assessoriali esprima finalmente una cultura teatrale che fino ad oggi è stata orecchiata se non proprio latitante. Certo non aiuta l’involuzione di molti artisti agrigentini “annegati” nel folclore e nelle tradizioni di cui la Sagra del mandorlo in fiore è un frammento dello specchio di una politica che capitalizza anche sulla paura del nuovo.
Non è un paradosso se ci accorgiamo che una difesa civica, anche se ancora parziale, ci proviene dalla compagine politica che per anni ha prodotto razzismo contro la Sicilia: da quella Lega Nord che si è materializzata qui ad Agrigento in “Noi con Salvini” e con l’arrembaggio di un ex consigliere comunale che non ha precedenti contro la disamministrazione agrigentina. Si può solo auspicare che allarghi il suo giro di interventi sull’amministrazione regionale e non solo agrigentina anche con un atto di presenza del leader Salvini che però dovrebbe fronteggiare l’allegra brigata di Forza Italia e verificare l’annunciata solidarietà di Berlusconi.
Con la “costola” leghista Marcolin potrebbero costituire uno stimolo non da poco per la “calma piatta” che ci circonda. Ma oggi Marcolin è una costola assemblata ad Alfano o no?
Se il teatro è vita non riduciamo la politica a teatrino come spesso usiamo dire.