Due Cassandra non sono troppe, anzi sono poche per il mondo folle in cui ci ritroviamo.
Se Elisabetta Pozzi nel suo monologo “Cassandra” si rifà al pozzo senza fine di ellenica memoria rimescolando le carte di Clitennestra, Medea, a loro volta rimescolate da Christa Wolf, da Baudrillard impastate con Eschilo, Seneca, Euripide, dall’altro lato della Valle dei Templi, nella soffocante conca della Kolymbetra, le fa eco Gaetano Aronica con il suo “We can be heroes” (Come cantava David Bowie ”Li possiamo battere, solo per un giorno. Possiamo essere eroi, solo per un giorno”).
Per ciascuno, poco più di un’ora di spettacolo che scuotono lo spettatore più annoiato.
Sotto le colonne di Giunone, Elisabetta Pozzi, piange, grida, ulula per il mondo che va a rotoli con un mix di citazioni che arrivano al filosofo Massimo Fini e alla poetessa Nobel Wislawa Szimborska mentre Gaetano Aronica con la sua cavalcata generazionale mette in gioco se stesso e ci fa capire quanto bisogno ci sia oggi per un ritorno a Leonardo Sciascia, a Pasolini, ad Aldo Moro. L’attore agrigentino cita anche Paolo Borsellino non solo perché ne ha interpretato sullo schermo la loro figura ma anche perché accosta alla morte di Moro il tragico parallelismo della borsa di Moro sparita e dell’agenda di Borsellino sparita insieme all’altro particolare dei cinque agenti di scorta trucidati in via Fani come in via D’Amelio.
Un vero e proprio arrembaggio di passione civile il ricordo delle parole di Sciascia sulla giustizia mentre sofferti ripensamenti li dedica al mondo familiare in tempi di edipica “uccisione del padre”, oggi ritornati ad essere più ragionevolmente i tempi di Telemaco.
“Allora potremmo essere Eroi anche solo per un giorno. Noi non siamo niente, e niente ci aiuterà. Forse stiamo mentendo, allora è meglio che tu non rimanga. Ma potremmo essere più al sicuro, solo per un giorno”.
L’esordio di Aronica, in una scena iniziale completamente al buio, ha l’effetto di un alieno piombato improvvisamente sulla terra.
Le parole definitive sono quelle degli Scritti corsari di Pasolini: “Io non ho alle mie spalle nessuna autorevolezza: se non quella che mi proviene paradossalmente dal non averla o dal non averla voluta; dall’essermi messo in condizione di non aver niente da perdere, e quindi di non esser fedele a nessun patto che non sia quello con un lettore che io del resto considero degno di ogni più scandalosa ricerca”.
E poi quelle più lancinanti di Aldo Moro scritte dalla sua prigione: “Bacia e carezza per me tutti, volto per volto, occhi per occhi, capelli per capelli. A ciascuno una mia immensa tenerezza che passa per le tue mani. Sii forte, mia dolcissima, in questa prova assurda e incomprensibile. Sono le vie del Signore. Ricordami a tutti i parenti ed amici con immenso affetto ed a te e tutti un caldissimo abbraccio pegno di un amore eterno. Vorrei capire, con i miei piccoli occhi mortali come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo”.
In tanta defatigante e drammatica avventura umana, (in un cammeo vi appare anche Silvia Frenda vista in “Corda Pazza”) Gaetano Aronica ha trovato lo spazio dell’ironia e del sorriso quando in uno dei tanti ammiccamenti familiari ricorda la curiosità degli amici che, dopo averlo visto sullo schermo recitare con Monica Bellucci, gli chiedevano: “Ma tu alla Bellucci chi ci facisti?- “Nenti ci fici, c’era il regista”.
Con inevitabile incredulo “ma vaffa….”