Bisognerebbe meglio interpretare il perché la platea ride al sentire i dialoghi “convincenti” dell’Abate Vella con il chierico Camilleri per non tacere delle scene ottimistiche sui comportamenti della nobiltà borbonica nel sentire le nuove prospettive che si aprono alla storia dopo le “letture arabe” dell’abate Vella.
Si spera che in molti abbiano letto il libro di Leonardo Sciascia e che dopo essere andati a teatro siano stati in molti a leggere o rileggere certi passaggi di uno dei capolavori di Sciascia. Uno degli scrittori che insieme a Pirandello e Camilleri è stato costretto a intitolare la statale 640 (“appalto milionario gestito come un cantiere scuola” ci diceva in una intervista l’ing. Macchiarola) dell’Anas subito accorsa a fregiarsi di cotanti nomi e senza tenere conto che questi scrittori sono e sono stati “antisistema” e “ca va sans dire” anti-Anas notissimo e odierno supporto (ma siamo agli eufemismi) politico-burocratico.
L’attore Enzo Alessi si è augurato su Grandangolo che la 640 sia almeno una strada senza buche che è il minimo sindacale degli allarmismi piccolo borghesi mentre ancora l’invenzione associativa “La strada degli scrittori” non ci pensa nemmeno ad avviare una campagna di lettura di questi autori poco letti (e applicati) dalle nostre parti e dove il rischio maggiore lo corre Leonardo Sciascia che rischia di essere dimenticato per le sue note scomodità. E non sarà certo una serie di B&B o uno spettacolino in vendita-profitto ad avere la forza di ricordarlo.
Insomma la soluzione Kolimbetra-FAI con vinello d’annata ed emozioni al tramonto non può essere applicata a Sciascia. Luigi Pirandello dalla sua ha il teatro che lo tramanda magnificamente, Camilleri ha il commissario televisivo, principe dello share, mentre gli altri rischiano l’accumulo di polvere sugli scaffali. “Il consiglio d’Egitto” è uno degli scomodi tormentoni dello scrittore racalmutese dove Vella e Di Blasi sono i portavoce dell’innovazione, anche se il primo, autore dell’impostura, si fa gioco del sancta sanctorum del marcio al potere e il secondo che sta tra Pannella e Robespierre progetta una rivoluzione radicale.
E se la storia la scrivono i vincitori alla fine si potrebbe arguire che la vittoria di solito è appannaggio di chi combatte la ragione visto che questo “pazzo, pazzo mondo” non ha ancora consapevolezza della dignità degli esseri umani e la discriminazione sociale la fa ancora da padrone. Con “Il Consiglio d’Egitto” le meschinerie e le prevaricazioni sono tutte allineate e ancora lontano dall’essere superate. Il solito immenso Enrico Guarneri tra un sarcasmo divertito e la meditazione finale ci racconta l’imbroglio filologico contro l’ordine costituito di quel tempo (?) in favore di uno Stato giusto e civile, di una Repubblica che si sostituisse ai privilegi baronali-ecclesiastici.
Ed è nella meditazione finale che l’abate Vella “borbotta” gli interrogativi “mastodontici” che dovremmo segnarci a caratteri cubitali e che una qualche regia dovrebbe far scorrere su grande schermo: ”La menzogna è più forte della verità. Più forte della vita. Perché ciò che è vero oggi, domani risulta ignobile menzogna? Perché si muore perseguitati adesso per certe idee e domani si diventerà eroi, precursori o martiri?”
La commedia sciasciana si svolge nel 1782 “annegata” in folate illuministe e giacobine. Ci sarebbe da chiedersi se l’abate Vella e l’avvocato Di Blasi, quanto e come, siano ancora tra noi.
Le foto sono di Diego Romeo