Mai come questa volta è stato utile piangere sul latte versato.
E sulle lacrime versate per la frana di Agrigento. Ci ha pensato l’associazione Demos dell’on. Angelo Capodicasa il quale in tempi in cui il Pd butta fuori dalla finestra l’ideologia lui la fa rientrare attraverso le insanate fratture della frana.
Gli altri anni Capodicasa era riuscito con agguerriti convegni a cercare di riportare l’odore della sinistra in città ma adesso dopo la fuoriuscita dal Pd di molti di quei relatori invitati (gli sono rimasti Bersani e Cuperlo) oggi l’ex governatore della Sicilia coglie al balzo la ricorrenza dei cinquant’anni della frana per tirare le somme di quel tragico evento. Rimane solo il problema che quel che si è detto in questo convegno occorrerebbe farlo sapere a Matteo Renzi deciso, come recentemente ha detto, a scendere in Sicilia “con il lanciafiamme”.
Memorie, riflessioni, immagini con documentari di Luigi De Santis e di Gaetano Siracusa si sono viste e sentite nella sala Zeus del Museo archeologico dove la neodirettrice del Polo Museale, G. Lamagna, ha portato il suo saluto insieme al sindaco Lillo Firetto. Ne hanno discusso anche con punte polemiche, il docente di Storia contemporanea presso l’università di Catania, S. Adorno, lo psichiatra ed ex amministratore comunale Fausto D’Alessandro, il docente di sociologia Gaetano Gucciardo, l’ordinario di urbanistica La Greca, l’ex ministro Pecoraro Scanio.
Invitati ma assenti l’assessore regionale al territorio Maurizio Croce e il ministro degli Interni Angelino Alfano. Un educato telegramma di scuse e di buon lavoro è stato inviato dall’on. Maria Iacono letto dal moderatore Giovanni Taglialavoro. Inizialmente Capodicasa che è un deputato di lungo corso ha ripercorso a grandi falcate le vicende di quegli anni, risegnalando le dichiarazioni di Martuscelli, di Mario Alicata che passò a miglior vita dopo essere intervenuto in Parlamento con una lunghissima catilinaria sulla frana e i suoi colpevoli.
Capodicasa riferisce pure che allora qualcosa di patologico si scatenò contro Agrigento e la stessa Camera dei deputati in sei mesi discusse per ben sei volte il “caso Agrigento”. La città reagì chiudendosi in se stessa, aggiunge Capodicasa, una implosione con assalto al Genio civile per il blocco edilizio e con l’incendio dei documenti.
Molto dopo nacque un pensiero ambientalista e molto dopo la Dc e il Psi esausti di scornarsi a vicenda riuscirono a balbettare un possibile futuro. Un balbettio che durò poco a causa dei continui scandali che li devastavano. La debolezza del Pci non aiutava certo e la subalternità lo inchiodava a relazionare mentre l’on. Macaluso pur ammettendo che Alicata potesse sbagliare, tuttavia rivendicava per il Pci una nuova intransigenza.
Durante il convegno ci sono sembrate due soltanto le grandi affermazioni che lo hanno caratterizzato: il dramma della Cattedrale abbandonata al suo destino franoso (“sarebbe una vergogna per lo Stato Italiano” hanno detto all’unisono Capodicasa e Firetto) e poi l’introduzione del fattore “mafia-corruttela” nel disastro fatto affiorare dalla frana.
Ricordando recentemente le parole del magistrato Cantone (”molte opere non si fanno a causa della corruzione”), Fausto D’Alessandro ha introdotto nel suo intervento l’handicap “mafia” perché nonostante le incomprensioni tra i partiti politici si aveva consapevolezza che l’episodio frana fosse un paradigma straordinario per altre scelte ma i gruppi dirigenti non risposero con un PRG adeguato. Ed è a questo punto che D’Alessandro fa precipitare dentro il discorso il binomio mafia-corruzione. Non solo ma anche l’ignoranza e l’illegalità diffusa. “Non possiamo limitare le inadempienze solo a diatribe politiche, dobbiamo riferirci ai condizionamenti mafiosi, al voto di scambio e non contorcerci nella dimensione politica. Certo ci sono state grandissime assenze che avrebbero potuto intervenire e l’altezza dei palazzi concessa a iosa (come ha ricordato anche Gucciardo) richiama problemi penali. Tutto deve tenersi in conto altrimenti avremo una convinzione parziale e aristocratica dei fatti. Anche ammettendo che il consigliere comunale non avesse consapevolezza di mafia, ma il suo capo si”.
Alla fine Capodicasa nutre nelle sue parole finali qualche speranza sulla testimonianza politica che si può ancora dare, “una messa a punto tra politici” perché Agrigento ha un territorio di equilibri delicati.
Già, ma adesso come farlo sapere a Renzi con il lanciafiamme?
E sarà d’accordo Angelino Alfano per una Agrigento-Sicilia “sottosopra”, copyright Faraone?
Testo e foto di Diego Romeo