ROMA (ITALPRESS) – “Si è parlato moltissimo di ciò che ha fatto Falcone e della strage di Capaci ma di quello che c’è in mezzo, che secondo me è decisivo, no. Si tratta di una cosa che io chiamo ‘l’azione parallelà che è stata scandita da episodi concomitanti di aggressione da parte della mafia e, parallelamente, la persecuzione da parte dei suoi colleghi, non tutta la magistratura, ma di alcuni particolarmente colpevoli e non l’ho detto io ma Paolo Borsellino”. Così Claudio Martelli, intervistato da Claudio Brachino per la rubrica Primo Piano dell’agenzia Italpress, a 30 anni dalla strage di Capaci ricorda le vicende che nel 1992 stravolsero la Sicilia e l’Italia intera.
L’ex ministro della Giustizia del governo Andreotti, in un libro edito da La Nave di Teseo, “Vita e persecuzione di Giovanni Falcone”, racconta come la vita e la storia del magistrato fosse in qualche modo “segnata” soprattutto dopo il maxi-processo.
“Falcone ci ha insegnato che se vuoi sapere dove va la mafia devi seguire i ‘picciolì, il denaro. Io gli chiesi di venire a Roma per far diventare legge la sua esperienza”, l’idea era quella di “far diventare il pool una regola, creando delle direzioni distrettuali antimafia in ogni capoluogo distrettuale d’Italia”.
Per Martelli all’interno della magistratura c’erano rivalità personali e conflitti tra gruppi interni, “ma queste non erano ragioni sufficienti sopratutto rispetto alla realtà siciliana, lì c’è qualcosa di diverso che nel libro chiamo il ‘partito sicilianò, un conglomerato di una parte importante di Democrazia Cristiana, un movimento indipendentista siciliano che vuole la separazione dall’Italia e l’aggregarsi agli Stati Uniti a cui era andata dietro anche la mafia. Ma nel frattempo si trasforma anche la mafia che si urbanizza e si internazionalizza diventando così più potente, questa preme perchè vuole appalti e influisce sulla lotta interna della DC ma, probabilmente, anche all’interno di altri partiti”.
Martelli fa poi un parallelismo tra Aldo Moro, sequestrato e ucciso dalla Brigate Rosse, e Giovanni Falcone: “Entrambi sono anche due vittime dello Stato, o di chi in quel momento lo rappresenta. In entrambi i casi lo Stato ha ignorato il pericolo che correvano, pur sapendolo. Per Moro – prosegue – era evidente che se non si faceva nulla sarebbe stato ucciso dalle BR, Falcone invece era sovraesposto perchè era l’uomo che aveva sconfitto Cosa Nostra, doveva essere tutelato invece i magistrati gli hanno fatto uno sciopero contro. Lui in realtà non era isolato perchè aveva un sostegno importante a Palermo, da Borsellino a Chinnici, aveva diversi amici anche a Roma, non era un uomo solo ma certo è che i vertici della magistratura sono quelli che forse hanno più colpe di tutti e hanno tentato in tutti i modi di isolarlo”.
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