Possibile che ci siano in giro tanti “fuchi” e “api regine” da decretare il tutto esaurito al teatro della Posta Vecchia di Agrigento?
Certo, il titolo era allettante: ”Le vedove allegre”, e probabilmente per una inesausta tendenza sadomasochistica siamo andati un po’ tutti a verificare dove siano andati a finire i poveri fuchi mariti e sull’altro versante prendere atto del trionfalistico e seducente volo delle api regine che sempre rimangono inesorabilmente vedove. Fino al prossimo fuco.
La nostra non vuol essere una nota ad effetto perché sicuramente ricorderete che “Le ragioni del fuco” è il titolo di un interessante libro di Totò Nocera Bracco presentato questa estate in uno degli appuntamenti del “Caffè letterario” promosso dalla questura di Agrigento, titolo che ci è venuto in mente leggendo prima le note di regia e poi visto lo spettacolo portato in scena da Barbara Gallo con tre monologhi tratti il primo (Il divano) da una sua esperienza personale, il secondo (La nuca) da Marcello Marchesi e il terzo (La moglie perfetta o più precisamente “Cinqo horas con Mario”) dello spagnolo Miguel Delibes.
Tutti brevi atti unici che ci conducono per mano all’assunto (profetico) de “Le ragioni del fuco”. Ve ne ricordiamo un assaggio: “Le ragioni del fuco nessuno le ascolta. Nemmeno il fuco in fondo, sospetta la sua fine prima di andarci inesorabilmente incontro. Non avrebbe nemmeno il tempo di abbozzare una qualche plausibile difesa. Cacciato via dall’alveare verso una fine sicura e indecorosa”.
Mutatis mutandis in perfetta linea con quello che Barbara Gallo scrive nelle sue note: ”In questo spettacolo c’è un mix formato da satira sociale condito con il sale della vita cioè l’ironia. Si analizza la coppia, alla sua solitudine, ai meccanismi a volte perfidi che la regolano, alla diffusa incapacità di comprendersi, fino ad arrivare alla risata liberatoria. Il lutto di queste vedove, “allegre”, perché libere dalla sofferenza e dal non amore, diventa simbolicamente, un sovvertimento di quello che accade ogni giorno nei fatti di cronaca. E’ come l’ inconscio desiderio delle donne di ribaltare i ruoli, da vittime a carnefici. Una divertente catarsi dell’ universo femminile!”
E meno male, fin quando la “catarsi femminile” rimane sulle tavole del palcoscenico, non solo, ma il pover’uomo stavolta deve ringraziare Barbara Gallo per averlo sorridentemente bastonato (poteva andare peggio) e persino per averci risparmiato i risvolti politici contro derive autoritarie (del suo tempo) che il testo originario di Delibes conteneva.
Donna di mondo e di teatro, allevata e formata alla scuola catanese (la ricordiamo in “Erano tutti miei figli “ di Arthur Miller approdato due anni fa al “Pirandello” con Mariano Rigillo), Barbara Gallo sapientemente sa di non poter strafare anche sull’altare di un femminismo contraddittorio e per un’ora filata regge la scena in maniera strepitosa accarezzando gli occhi del “maschio” con un accattivante e trasparente abito di pizzo bianco, confessando di aver fatto l’amore anche sul tavolo della cucina (come nel “Postino suona sempre due volte”), e poi apparendo in gramaglie sul catafalco del suo Mario mentre un altro” fuco o merlo maschio” (Paco o Paquito) si candida e suona il clacson che la distrae dalla elaborazione del lutto.
E così una gran risata seppellisce gli spettatori.