Evidentemente nell’Agrigento dorica, “ombelico del mondo”, c’è fame di bellezza, di speranza, di democrazia.
Lo si è capito definitivamente l’altra sera nel giardino delle Fabbriche Chiaramontane dove è precipitata una scheggia di bellezza con lo spettacolo “Miti ed eroi, amuri canti e spiranza nel Giardino delle Esperidi” allestito dalla neonata associazione culturale “TeatrAnima” che per primo ha aperto il sipario sugli spettacoli teatrali della nostra città.
Il 16 sarà la volta di “Comoedia Ridens” vizi e virtù del mondo classico (ci risiamo con la fame) presso il Circolo Empedocleo; il 22 ottobre al Posta Vecchia il “Menefotto” da Zelig di Rocco Barbaro e poi il 26 la gran sarabanda del Teatro Pirandello.
Il regista Salvatore Di Salvo lo definisce nelle sue note “una performance multidisciplinare sui miti greci correlati al patrimonio agroalimentare del Mediterraneo”.
Per la cronaca la performance era andata in scena lo scorso agosto presso il Giardino della Kolymbethra, ed è scritta dallo stesso Salvatore Di Salvo, architetto e direttore artistico dell’Associazione TeatrAnima. Esiodo, Omero, Sofocle, Diodoro Siculo, Cicerone, Ovidio, Claudiano, Apollodoro, sono state le fonti autorevoli per un viaggio, apparentemente spensierato, tra i miti greci correlati al patrimonio agro-alimentare del Mediterraneo.
Zeus, Era, Kore, Persefone, Demetra, Ade, Atena, Poseidone, Ulisse, Penelope, le Ninfe Esperidi, Eracle, Atlante, Fillide, Demofonte, Eros, Apollo, Dafne, sono stati gli illustri protagonisti di un racconto fiabesco, poetico, politico ed ironico al tempo stesso, che narra del grano e delle stagioni, dell’ulivo, degli agrumi, del mandorlo e dell’alloro, oltre che della Sicilia, con le sue suggestioni musicali, non soltanto tradizionali (Bella, Bregovic, Mazzone, Lautari, Rota, Kaballà, Formisano, Calì, Modugno, Esposito, Maglia, Profazio).
Un connubio originale pertanto, tra racconto, teatro e poesia, musica, canto, danza e arti visive, che strizza l’occhio alla valorizzazione turistica del territorio agrigentino, con le sue bellezze e ricchezze paesaggistiche ed agro-alimentari”.
In definitiva per la nostra stufata e boccheggiante città è risultato un bel promemoria questa interpretazione dei miti come raffigurazioni simboliche di emozioni, passioni, conflitti, aspirazioni, bisogni che sono sempre presenti e vivi non solo nell’inconscio ma che oggi mettono a dura prova i giovani che vanno via, i politici inconcludenti che Di Salvo non manca di connotare tra canzoni e narrazioni.
Toccante e poetico il finale dello spettacolo che ci ha ricordato l’origine del mandorlo nato dall’amore tra Acamante e Fillide dove tutti gli interpreti hanno dato il meglio di se in una scena impreziosita dai volteggi di Claudia Frenda e dalla fisarmonicista, già apprezzata in altre esibizioni, Olga Begeza. E poi Giusi Urso e Salvo Preti ben monitorati dal regista Salvatore Di Salvo che “canta e cunta”.
Testo e foto di Diego Romeo