“Il contesto criminale è caratterizzato dalla presenza diffusa di cosa nostra che confermerebbe la sua ripartizione in area in 7 mandamenti nel cui ambito risultano operare 42 famiglie.”
E’ l’analisi contenuta nella relazione della Dia consegnata al Parlamento e relativa al secondo semestre del 2020, nel paragrafo dedicato a Cosa Nostra agrigentina.
“Si tratta di un numero di articolazioni particolarmente elevato in relazione alla limitata vastità del territorio e soprattutto considerando che anche la Stidda continua a registrare un ruolo di rilievo in alcune porzioni della provincia. Cosa nostra agrigentina conferma i caratteri di un’organizzazione verticistica e rispettosa delle tradizionali regole. Evidenzia inoltre collegamenti con le famiglie catanesi, nissene, palermitane e trapanesi non disdegnando rapporti con realtà criminali oltre lo Stretto. Emblematiche nel senso le risultanze dell’operazione “Passepartout” del novembre 2019 che ha inoltre disvelato il tentativo di ricostituzione di una rete di relazioni anche di carattere internazionale.
Si conferma, grosso modo, la situazione mafiosa registrata in provincia di Agrigento già con la passata relazione e, tuttavia, pur delimitando temporalmente l’analisi sino al dicembre 2020, fa un passo avanti e guarda lontano, riportando tra le sue pagine uno specifico riferimento all’operazione “Xydi”, la retata antimafia del febbraio 2021 che ha azzoppato Stidda e Cosa nostra nel territorio di Canicattì e Palma di Montechiaro. Non sfugge agli attenti osservatori che di cose mafiose si intendono che proprio l’operazione “Xydi” ha aperto più files sulla mafia siciliana, non solo agrigentina, meticolosamente vagliati dai pubblici ministeri della Dda di Palermo, i cui sviluppi conosceremo certamente a breve.
Viene scritto nella relazione: Particolarmente rilevante per la ricostruzione delle dinamiche criminali della provincia è poi l’operazione “Xydy”, cui si accenna anche se conclusa il 2 febbraio 2021. Tra i destinatari del relativo provvedimento di fermo c’è infatti anche Matteo Messina Denaro che avrebbe mantenuto attive le comunicazioni con i capi delle famiglie agrigentine e un ruolo di rilievo per le decisioni strategiche. Risulta infatti che al latitante i capimafia della provincia “…riconoscono unanimemente l’ultima parola sull’investitura ovvero la revoca di cariche di vertice all’interno dell’associazione…”.
Il boss castelvetranese sarebbe quindi “…a tutt’oggi in grado di assumere decisioni delicatissime per gli equilibri di potere in Cosa nostra, nonostante la sua eccezionale capacità di eclissamento e invisibilità”. Più nel dettaglio l’investigazione si è incentrata sul mandamento di Canicattì epicentro di un potere mafioso capace di proiettarsi sull’intera area orientale della provincia agrigentina. Un ruolo di rilievo risulta essere stato ricoperto dalla compagna di un “uomo d’onore” avvocatessa difensore di fiducia di numerosi affiliati del mandamento. Sfruttando le garanzie del mandato la professionista avrebbe agevolato la consorteria mettendo, tra l’altro, il proprio studio legale a disposizione per l’esecuzione di summit mafiosi. In particolare, l’indagine ha rivelato “…un’eccezionale e ininterrotta sequenza di riunioni svoltesi per un arco temporale di circa due anni e tutte intrattenute tra esponenti di vertice di cosa nostra, anche appartenenti a province diverse. Luogo prescelto ove si sono svolte dette riunioni è stato lo studio legale dell’avvocato …, nota penalista agrigentina impegnata nell’intero Distretto di Palermo in numerosi processi alle cosche mafiose…”.
La relazione affronta anche il tema delle frizioni tra gruppi sfociati in omicidi efferati: “Pur conservando una struttura fondamentalmente unitaria, in alcune articolazioni mafiose da tempo emergono contrasti che degenerano in episodi di violenza. Una dinamica confermata dall’operazione “Mosaico” conclusa nel settembre 2020 dalla Polizia di Stato e dalla Polizia belga con l’arresto di 8 persone per tentato duplice omicidio consumato il 23 maggio 2017 a Favara. L’episodio sarebbe da inquadrare in seno a una “faida” sviluppatasi tra gli anni 2015 e 2018 sull’asse “Favara – Belgio” nell’ambito di un gruppo criminale dedito al traffico di armi e droga. Le investigazioni hanno ricostruito l’evoluzione della consorteria risultata inizialmente coesa e poi scissasi in due gruppi contrapposti. Altra indagine conclusa nel luglio 2020 con l’arresto di 5 persone ha fatto luce su 2 omicidi originati da uno scontro tra i paracchi. Alcune difficoltà si riscontrerebbero inoltre sulla scelta per la reggenza di mandamenti e di famiglie resa necessaria dal contrasto investigativo.
Come ha sottolineato l’altro ieri in conferenza stampa il capo della Sezione operativa della Dia, Roberto Cilona, che plaude, tra le altre cose, per l’elevato numero di denunce per fatti estorsivi, emerge il dato delle scarcerazioni importanti ossia di quei boss che “facendo ritorno al territorio d’origine potrebbero essere intenzionati a riconquistare l’antico potere anche in forza di personali contatti con altre consorterie. Si sarebbe evidenziata inoltre una sorta di “emigrazione criminale” verosimilmente conseguente alla volontà di abbandonare un’area troppo “sfruttata” per trasferire i propri interessi illeciti in territori ove il fenomeno mafioso non risulta ancora immediatamente riconoscibile. La forte emigrazione agrigentina in Europa e verso il continente americano avrebbe inoltre condotto alla ricostituzione in territorio straniero di aggregati delinquenziali che mantengono legami “d’affari” con quelli locali. Tradizionalmente le consorterie agrigentine occidentali appaiono proiettate verso i Paesi del nord America e in taluni casi dell’America latina (specie Venezuela e Brasile), mentre quelle del versante orientale verso i Paesi del nord Europa, con particolare riguardo a Germania e Belgio. Le attività criminose si realizzano in primo luogo tramite la consueta pressione estorsiva sulle attività imprenditoriali, anche agropastorali, esercitata con minacce e danneggiamenti. Per altro verso numerosi sono gli arresti di soggetti che gestiscono le locali “piazze” di spaccio. Altro settore d’interesse mafioso è quello relativo al controllo del gioco d’azzardo. Al riguardo, è da segnalare il sequestro operato dalla DIA, tra il settembre e l’ottobre 2020, del patrimonio di un imprenditore del comparto per un importo stimato in circa 1 milione e 200 mila euro.
Va poi evidenziata la sinergia tra la criminalità organizzata e alcuni esponenti di quell’”imprenditoria grigia” che intrattengono relazioni d’affari con cosa nostra o con altre organizzazioni di tipo mafioso. In assenza di specifiche evidenze nel semestre, si rammentano le recenti operazioni “Sorella Sanità” e “Waterfront”. È inoltre significativa la capacità di cosa nostra agrigentina di orientare le scelte degli Enti locali per l’aggiudicazione degli appalti pubblici attraverso l’infiltrazione, il condizionamento o la corruzione. Pratiche che hanno condotto nel corso degli ultimi anni allo scioglimento di diversi Comuni. Allo stato permane la gestione commissariale di quello di San Biagio Platani, mentre a Camastra le elezioni amministrative si sono svolte nell’ottobre 2020. Nel periodo in esame è stato eseguito un provvedimento di sequestro operato dalla DIA nel luglio 2020 dei beni riconducibili a due fratelli intranei alla famiglia di Favara e attivi nel settore edilizio e del movimento terra. Nel contesto criminale agrigentino continuano infine a operare gruppi di matrice etnica, in particolare si tratta di compagini maghrebine, egiziane e romene. Esse sono tollerate dai sodalizi mafiosi in quanto dedite a pratiche illecite non di diretto interesse quali il riciclaggio di materiale ferroso, i reati predatori, lo sfruttamento della prostituzione e lo spaccio al dettaglio di sostanze stupefacenti. In termini prospettici, si può ritenere che l’egemonia di cosa nostra proseguirà, con il mantenimento di “un equilibrio” con la stidda nei territori d’elezione della stessa.”
La provincia di Agrigento appare caratterizzata dalla pervasiva presenza sia di cosa nostra sia, in specifiche aree, della stidda. Su alcune porzioni del territorio provinciale opererebbero in ossequio alle tipiche logiche mafiose anche altri gruppi a base familiare quali i paracchi e le famigghiedde. Sodalizi questi ultimi che risultano ricercare forme di intesa o di cooperazione subalterna con le consorterie appartenenti a cosa nostra e alla stidda.
La capillarità della “pressione” mafiosa condiziona lo sviluppo economico depauperando il tessuto sociale e produttivo. Lo stesso capoluogo versa in una situazione critica evidenziando carenze infrastrutturali e organizzative dovute alla “parassitizzazione” dell’imprenditoria e del commercio da parte delle consorterie.
Il pervasivo condizionamento sociale sarebbe tra l’altro rilevato dall’inclinazione verosimile dei cittadini a rivolgersi all’organizzazione mafiosa per la risoluzione di problematiche private.
Emblematici nel senso risultano gli esiti dell’indagine che il 10 settembre 2020 ha condotto all’arresto di 3 persone, ritenute responsabili dell’omicidio di un imprenditore del luogo. La vittima si sarebbe infatti resa responsabile di aver “importunato” alcune donne sposate tra le quali la nuora. Il mandante dell’assassinio sarebbe stato il figlio che per risolvere la questione si era rivolto a cosa nostra.
Il contesto criminale è caratterizzato dalla presenza diffusa di cosa nostra che confermerebbe la sua ripartizione in area in 7 mandamenti nel cui ambito risultano operare 42 famiglie. Si tratta di un numero di articolazioni particolarmente elevato in relazione alla limitata vastità del territorio e soprattutto considerando che anche la stidda continua a registrare un ruolo di rilievo in alcune porzioni della provincia.
Cosa nostra agrigentina conferma i caratteri di un’organizzazione verticistica e rispettosa delle tradizionali regole. Evidenzia inoltre collegamenti con le famiglie catanesi, nissene, palermitane e trapanesi non disdegnando rapporti con realtà criminali oltre lo Stretto. Emblematiche nel senso le risultanze dell’operazione “Passepartout” del novembre 2019 che ha inoltre disvelato il tentativo di ricostituzione di una rete di relazioni anche di carattere internazionale.
Particolarmente rilevante per la ricostruzione delle dinamiche criminali della provincia è poi l’operazione “Xydy”, cui si accenna anche se conclusa il 2 febbraio 2021. Tra i destinatari del relativo provvedimento di fermo c’è infatti anche Matteo Messina Denaro che avrebbe mantenuto attive le comunicazioni con i capi delle famiglie agrigentine e un ruolo di rilievo per le decisioni strategiche. Risulta infatti che al latitante i capimafia della provincia “…riconoscono unanimemente l’ultima parola sull’investitura ovvero la revoca di cariche di vertice all’interno dell’associazione…”. Il boss castelvetranese sarebbe quindi “…a tutt’oggi in grado di assumere decisioni delicatissime per gli equilibri di potere in cosa nostra, nonostante la sua eccezionale capacità di eclissamento e invisibilità”.
Più nel dettaglio l’investigazione si è incentrata sul mandamento di Canicattì epicentro di un potere mafioso capace di proiettarsi sull’intera area orientale della provincia agrigentina. Un ruolo di rilievo risulta essere stato ricoperto dalla compagna di un “uomo d’onore” avvocatessa difensore di fiducia di numerosi affiliati del mandamento. Sfruttando le garanzie del mandato la professionista avrebbe agevolato la consorteria mettendo,
tra l’altro, il proprio studio legale a disposizione per l’esecuzione di summit mafiosi. In particolare, l’indagine ha rivelato “…un’eccezionale e ininterrotta sequenza di riunioni svoltesi per stabili e attuali collegamenti tra il suddetto mandamento e un ergastolano originario di Campobello di Licata, ritenuto già capo della provincia mafiosa di Agrigento, in atto in regime di detenzione speciale.
Pur conservando una struttura fondamentalmente unitaria, in alcune articolazioni mafiose da tempo emergono contrasti che degenerano in episodi di violenza. Una dinamica confermata dall’operazione “Mosaico” conclusa nel settembre 2020 dalla Polizia di Stato e dalla Polizia belga con l’arresto di 8 persone per tentato duplice omicidio consumato il 23 maggio 2017 a Favara. L’episodio sarebbe da inquadrare in seno a una “faida” sviluppatasi tra gli anni 2015 e 2018 sull’asse “Favara – Belgio” nell’ambito di un gruppo criminale dedito al traffico di armi e droga. Le investigazioni hanno ricostruito l’evoluzione della consorteria risultata inizialmente
coesa e poi scissasi in due gruppi contrapposti. Altra indagine conclusa nel luglio 2020 con l’arresto di 5 persone ha fatto luce su 2 omicidi originati da uno scontro tra i paracchi.
Alcune difficoltà si riscontrerebbero inoltre sulla scelta per la reggenza di mandamenti e di famiglie resa necessaria dal contrasto investigativo. In altri casi è da sottolineare la rilevanza delle scarcerazioni di importanti boss che facendo ritorno al territorio d’origine potrebbero essere intenzionati a riconquistare l’antico potere anche in forza di personali contatti con altre consorterie.
Si sarebbe evidenziata inoltre una sorta di “emigrazione criminale” verosimilmente conseguente alla volontà di abbandonare un’area troppo “sfruttata” per trasferire i propri interessi illeciti in territori ove il fenomeno mafioso non risulta ancora immediatamente riconoscibile.
La forte emigrazione agrigentina in Europa e verso il continente americano avrebbe inoltre condotto alla ricostituzione in territorio straniero di aggregati delinquenziali che mantengono legami “d’affari” con quelli locali. Tradizionalmente le consorterie agrigentine occidentali appaiono proiettate verso i Paesi del nord America e in taluni casi dell’America latina (specie Venezuela e Brasile), mentre quelle del versante orientale verso i Paesi del nord Europa, con particolare riguardo a Germania e Belgio.
Le attività criminose si realizzano in primo luogo tramite la consueta pressione estorsiva sulle attività imprenditoriali, anche agropastorali, esercitata con minacce e danneggiamenti. Per altro verso numerosi sono gli arresti di soggetti che gestiscono le locali “piazze” di spaccio.
Altro settore d’interesse mafioso è quello relativo al controllo del gioco d’azzardo. Al riguardo, è da segnalare il sequestro operato dalla Dia, tra il settembre e l’ottobre 2020, del patrimonio di un imprenditore del comparto per un importo stimato in circa 1 milione e 200 mila euro.
Va poi evidenziata la sinergia tra la criminalità organizzata e alcuni esponenti di quell’”imprenditoria grigia” che intrattengono relazioni d’affari con cosa nostra o con altre organizzazioni di tipo mafioso. In assenza di specifiche evidenze nel semestre, si rammentano le recenti operazioni “Sorella Sanità” e “Waterfront”. È inoltre significativa la capacità di cosa nostra agrigentina di orientare le scelte degli Enti locali per l’aggiudicazione degli appalti pubblici attraverso l’infiltrazione, il condizionamento o la corruzione. Pratiche che hanno condotto nel corso degli ultimi anni allo scioglimento di diversi Comuni. Allo stato permane la gestione commissariale di quello di San Biagio Platani, mentre a Camastra le elezioni amministrative si sono svolte nell’ottobre 2020.
Nel periodo in esame è stato eseguito un provvedimento di sequestro128 operato dalla Dia nel luglio 2020 dei beni riconducibili a due fratelli intranei alla famiglia di Favara e attivi nel settore edilizio e del movimento terra.
Nel contesto criminale agrigentino continuano infine a operare gruppi di matrice etnica, in particolare si tratta di compagini maghrebine, egiziane e romene. Esse sono tollerate dai sodalizi mafiosi in quanto dedite a pratiche illecite non di diretto interesse quali il riciclaggio di materiale ferroso, i reati predatori, lo sfruttamento della prostituzione e lo spaccio al dettaglio di sostanze stupefacenti.
In termini prospettici, si può ritenere che l’egemonia di cosa nostra proseguirà, con il mantenimento di “un equilibrio” con la stidda nei territori d’elezione della stessa.