Il Giudice per l’udienza preliminare Fabio Pilato del Tribunale di Palermo, come è noto, ha depositato le motivazioni della sentenza “Kerkent” che ha decapitato la cosca mafiosa agrigentina capeggiata da Antonio Massimino e stroncato un fiorente traffico e spaccio di sostanze stupefacenti.
La parte centrale delle motivazioni riguarda senza dubbio il boss agrigentino la cui condanna discende da queste testuali motivazioni:
“L’intera indagine ruota attorno alla figura del Massimino e fornisce l’immagine eliocentrica dell’imputato, punto di confluenza e di propulsione delle attività criminali, anche in virtù del ruolo di vertice mafioso da lui assunto ed acclarato in termini di certezza processuale. La centralità del ruolo può essere colta nella sua interezza solo attraverso l’analisi incrociata della sua scheda in correlazione con quelle degli altri coimputati e se si analizzino gli clementi di prova afferenti alla serie interminabile dei singoli reati fine a lui contestati in materia di stupefacenti e di armi.
Per esigenze di economia espositiva, occorre dunque rinviare alla richiesta di misura cautelare ed all’ordinanza di custodia in carcere per l’integrale esposizione del poderoso compendio probatorio, sottolineandosi in via generale come il tenore esplicito delle conversazioni, gli espliciti riferimenti ad armi e sostanze stupefacenti, i sequestri di sostanze e le circostanze stesse dell’arresto del Massimino non lasciano dubbio alcuno circa la fondatezza dell’impostazione accusatoria recepita da questo giudice.
In particolare i tratti costitutivi della condotta, rilevanti ai fini della responsabilità penale, possono essere così sintetizzati:
ha personalmente curato grandi e piccoli canali di approvvigionamento di sostanze stupefacenti, direttamente interloquendo con i “palermitani” (La Vardera Domenico, La Cara Pietro, Giallanza Daniele e Matranga Saverio, trovando, in particolare, con quest’ultimo una intesa cementata dal comune retroterra mafioso), con i “palmesi” (ossia con i fratelli Pace di Palma di Montechiaro, a lui noti come “stiddari”), ricevendo in terra agrigentina gli emissari calabresi (Mandaradoni, Niglia e Romano) ed incontrando anche il favarese Crapa Antonio ed il canicattinese Chiazza Antonino;
ha attivato il canale di approvvigionamento “calabrese” ed a tal fine ha sfruttato il legame (favorito anche da rapporti di affinità ) con Puntorno Andrea (presso la cui abitazione si è recato e con il quale, fin quando è stato possibile, ha evitato, per evidenti finalità elusive delle investigazioni, contatti telefonici diretti, ciò che è stato reso possibile dalla funzione di intermediazione assolta dal pluripregiudicato Di Maria Bruno, uomo di fiducia del Puntorno deputato ad incontrare il Massimino ed a tenere con lo stesso i contatti telefonici);
ha curato l’organizzazione delle trasferte m terra calabrese, scegliendo i soggetti investiti dcl relativo compito e fornendo loro i mezzi necessari (“..l’ho mandato, che lo abbiamo mandato dove lo abbiamo mandato…abbiamo dato, abbiamo dato il veicolo, la macchina e tutto, ok?”) dirà Massimino Antonio nel corso di una conversazione con Cardella Angelo intercettata in data 28 gennaio;
ha costantemente impartito direttive ed ordini ai suoi più stretti collaboratori (Messina Giuseppc,Vetrano Francesco, il figlio Gerlando, Capraro Salvatore e Gibilaro Eugenio), in tal modo mantenendo un ferreo controllo sulle attività di approvvigionamento e di successivo smercio delle sostanze stupefacenti sulla piazza agrigentina ed aree limitrofe (ad es.: “io per un’altra cosa parlo Pè, per i palermitani… perciò vedi… cominàa aprendere impegni perché ora il fumo arriva, capito?…). ;
ha dettato le regole organizzative dell’illecito sodalizio, tanto emergendo dalle seguenti parole profferite all’indirizzo del fidato Messina Giuseppe nel corso di una conversazione intercettata in data 21 agosto 2015: “…ora le regole cambiano Pè, ora cambiano le regole Pè…cambiano e cambiano di brutto pure Pè…”;
ha convocato svariate riunioni finalizzate alla pianificazione delle attività illecite (si pensi, a titolo meramente esemplificativo, alla riunione tenutasi in data 12 febbraio 2016 presso l’abitazione rurale di Cardella Angelo;
ha cooptato all’interno dell’illecito sodalizio da lui capeggiato altri soggetti in precedenza attivi in proprio sul mercato agrigentino degli stupefacenti (si pensi a Dinolfo Alessio ed a Cardella Angelo), precludendo agli stessi la possibilità di continuare a “lavorare” in autonomia (“ …io lavoravo alla grande, e lavoravo per i cazzi miei…io lavoravo con i palmesi e facevo cinquanta dai palmesi e dieci da te …tu poi hai capito il mio giro…e mi hai chiuso la porta a Palma e mi hai chiuso la porta là, per quale motivo? “eh …perché devi lavorare con mc”) dirà Di Nolfo Alessio nel corso di una conversazione intercettata in data 16 novembre 2015;
ha promosso le attività di smercio dello stupefacente reperito all’ingrosso subito dopo l’arrivo sulla piazza agrigentina, tanto desumendosi, a titolo meramente esemplificativo, dalle seguenti parole, chiaramente allusive, pronunciate nel corso di una conversazione con il genero Capraro Pasquale intercettata in data 12 febbraio 2016 (dopo l’incontro avuto il giorno precedente – e ciò non può essere un caso – con gli emissari calabresi): “gli dici al pescivendolo …che i pesci ci sono”;
ha promosso e diretto le attività di riscossione dei crediti derivanti dalle cessioni di partite di sostanze stupefacenti n particolare nei confronti degli empedoclini), dimostrandosi pronto anche a rappresaglie armate;
ha sovrainteso alle attività di tenuta della contabilità relativa ai traffici di droga e di custodia delle armi nella disponibilità del sodalizio. Emblematico al riguardo l’incontro del 4.1.2016, quando Massimino ha consegnato al Messina un biglietto rinvenuto nella casa del Vetrano con dei conteggi relativi allo smercio di sostanze stupefacenti;
ha assunto le spese relative all’assistenza legale da assicurare ai componenti del sodalizio, o a soggetti allo stesso vicini, tratti in arresto nel corso di operazioni di polizia giudiziaria, tanto desumendosi, a titolo meramente esemplificativo, dalla richiesta di denaro indirizzata a Cardella Angelo “per pagare una cauzione bancaria per la ragazza” nel corso di una conversazione telefonica intercettata in data 4 marzo 2016, ossia due giorni dopo l’arresto di Iacono Luigina;
ha esercitato la potestà sanzionatoria nei confronti degli associati resisi responsabili di gravi violazioni delle disposizioni da lui dettate, come ad esempio nell’episodio del Di Nolfo.
La vicenda vede un Massimino fortemente contrariato per il grosso debito di circa €. 70.000 che il Di Nolfo aveva accumulato nel tentativo di crearsi un rilevante mercato di spaccio, e non riuscendo ad ottenere i ricavi attraverso una adeguata attività di riscossione e recupero crediti. Le conversazioni rivelano come il Massimino abbia ordito una serie di atti ritorsivi nei confronti del Di Nolfo, mettendolo infine all’ostracismo ed interrompendo qualsiasi legame fra questi e l’associazione.
La centralità dcl ruolo si desume anche dai dati risultanti dalla scheda individuale trasmessa dalla D.I.A. di Agrigento al P.M. in data 23 gennaio 2018. Nel periodo oggetto di indagine Massimino Antonio risulta aver avuto un intenso traffico telefonico di pregnanza probatoria nella seguente consistenza numerica: 400 con Messina Giuseppe, 693 con Massimino Gerlando, 3920 con Capraro Pasquale, 317 con Vetrano Francesco, 272 con Gibilaro Eugenio, 738 con Di Nolfo Alessio, 263 con Contino Fabio, 1367 con Burgio James, 150 con Tornabene Giuseppe, 369 con Cusumano Sergio, 479 con Clemente Marco Davide, 561 con Pizzitola Antonio (il cui ruolo è emerso nel contesto delle vicende concernenti il c.d. “canale calabrese” di approvvigionamento di stupefacenti), con Cardella Angelo, 131 con il “palmese” Pace Gaetano, 53 con Crapa Antonio, 73 con il palermitano Giallanza Daniele e con Di Maria Bruno (fiduciario di Puntorno Andrea) .
Infine, dalla nota della Compagnia Carabinieri di Agrigento del 6 febbraio 2019 Massimino Antonio è stato tratto in arresto in flagranza di reato perché in possesso – oltre che di un rilevatore di frequenze – di una pistola calibro 7.65, perfettamente funzionante ed oleata, con matricola abrasa, di 90 cartucce calibro 7.65, di 99 cartucce calibro 38 special, di due cartucce calibro 6.35 e di due penne mono-colpo prive di marca e di matricola.
E’ stata fornita la piena prova della costituzione dell’associazione di cui al capo 2 della rubrica e dell’indiscusso ruolo di fondatore, promotore e direttore del sodalizio svolto dal Massimino.
L’intera associazione girava in conformità ai suoi voleri, e dalla disamina dell’enorme mole di elementi raccolti a suo carico emerge infatti come questo ruolo si sia concretizzato nel costante esercizio cli tutte le funzioni e le prerogative tipiche del capo, ossia nel coordinamento delle attività, nell’adozione delle decisioni, impartizione di ordini e direttive, gestione della cassa comune con la collaborazione del figlio Gerlando e di Messina Giuseppe, etc..
L’analisi incrociata delle relazioni intrattenute dal Massimino con i sodali consente di cogliere come, in ciascuna relazione, interlocuzione bilaterale o plurilaterale, egli si sia posto sempre come capo indiscusso e sia stato riconosciuto come tale e temuto da tutti, anche in ragione dell’elevato spessore criminale.
La lunga sequenza di reati fine, per i quali si rinvia agli appositi capitoli, conferma del resto il ruolo di vertice indiscusso del sodalizio.
La difesa del Massimino non si è sottratta dal confronto con il poderoso dato probante ma, sorvolando sulla contestazione dei singoli reati fine – spesso culminati in operazioni di sequestri dei carichi ed arresti in flagranza, e sorvolando sulle contestazioni relative al possesso di armi – inconfutabilmente ricavabili dal testo esplicito delle conversazioni intercettate – si è concentrata soprattutto sui temi associativi e sull’asserita sussistenza di un vizio0 logico-giuridico insito nell’automatismo probatorio fra associazione mafiosa e dell’associazione di cui all’art. 74 DPR 309/90 ravvisabile nella tesi accusatoria.
Al riguardo deve osservarsi che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, è possibile ritenere il concorso tra il delitto associativo di tipo mafioso di cui all’art. 416 bis c.p. ed il delitto associativo di cui all’art. 74 del D.P.R. n. 309/1990, avuto riguardo alla diversità dei beni giuridici tutelati, rispettivamente l’ordine pubblico, messo In pericolo dalle situazioni di assoggettamento ed omertà, e la salute individuale e collettiva, minacciata dalla diffusione delle sostanze stupefacenti.
In particolare si ritiene configurabile il concorso tra i due delitti associativi quando si sia in presenza, da una parte, di un organismo (quello di stampo mafioso) a carattere federalistico-verticistico, raggruppante l’intera massa degli associati; dall’altra di organismi che, operando nello specifico campo del traffico degli stupefacenti, fruiscano di libertà operativa e siano soggettivamente differenziate dallo schema strutturale di detta ultima organizzazione, in quanto comprendano persone ad essa non aderenti e lascino esclusi, per converso, molti degli associati mafiosi (Cass. n. 6992/1992).
Il principio è stato sostanzialmente ribadito da altra sentenza della Corte di Cassazione, secondo cui “È configurabile il concorso tra un’associazione di stampo mafioso, che operi secondo il paradigma di cui all’art. 416-bis cod. pen., e un’associazione per delinquere, dotata di un’autonoma struttura organizzativa, che, avvalendosi del contributo dei propri sodali, anche diversi dagli affiliati al sodalizio mafioso, persegua un proprio programma delittuoso dalla cui attuazione discende il concomitante conseguimento dell’interesse del clan – nella specie, nel settore del gioco d’azzardo – (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 11356 del 08/11/2017).
La possibile coesistenza fra le due associazioni discende dalla considerazione che l’associazione mafiosa tende per natura al controllo del territorio ed al fagocitare delle attività economiche – lecite od illecite – che in esso si formano, sicchè la linea di discrimine non può collocarsi nell’accertamento della pluralità o unicità fattuale della condotta contestata, né può fermarsi alla domanda se l’infiltrazione nel tessuto economico costituisca mera attuazione del programma criminoso di Cosa Nostra.
Utilizzando una parafrasi civilistica con il richiamo del concetto di parte in senso sostanziale, diventa cruciale individuare quali sono i centri (criminosi) d’interesse e d’imputazione di rapporti e relazioni, e verificare se si verifichi un processo di immedesimazione dell’uno nell’altro ovvero se ciascuno di essi mantenga la sua identità ed autonomia e la sua separata struttura organizzativa.
Dalla strutturazione genetica al sinallagma funzionale, si tratta di verificare se l’associazione mafiosa usufruisca dell’utiliter coeptum, eventualmente investendo risorse sull’attività economica parallela, ovvero se la seconda associazione, pur annoverando al suo interno uno o più mafiosi, viva di luce propria ed agisca in piena autonomia programmatica ed esecutiva. Ebbene, nel caso di specie, è indubbio che Massimino abbia costituito un nuovo sodalizio specializzato nel narcotraffico, totalmente avulso dall’articolazione di Cosa Nostra del medesimo contesto territoriale, tant’è che le attività criminose dell’una non hanno né nemmeno intersecato il programma criminoso dell’altra, trattandosi di due associazioni che hanno agito parallelamente senza alcuna zona di commistione.
Vero è che tale associazione ha tacitamente beneficiato della provenienza mafiosa del Massimino in termini di ingresso nel mercato e di facilitazione operativa, ma ciò ha costituito un semplice presupposto di fatto ininfluente a determinare la riconducibilità a qualsivoglia categoria giuridica.
E’ dunque possibile riconoscere il concorso dci due reati associativi, senza incorrere in quel pericolo di duplicazione della fattispecie paventato dal difensore del Massimino.
L’imputato va pertanto condannato con il riconoscimento del ruolo direttivo