Lei ha perso un figlio non ancora maggiorenne, lui è accusato di avergli sparato per aver subito un piccolo furto nella sua abitazione al mare. Entrambi si trovano seduti sui banchi dell’aula al secondo piano del Palazzo di Giustizia di Agrigento. A dividerli soltanto qualche metro. Il loro atteggiamento è impassibile, mai scomposto. Entra nel vivo il processo sull’omicidio di Antonio Morgana, il diciassettenne di Palma di Montechiaro ucciso con due colpi di pistola la sera del 23 ottobre 2013 in contrada Ciotta. Sul banco degli imputati Calogero Pietro Falco Abramo, settantenne di Racalmuto, difeso dall’avvocato Maurizio Buggea e Salvatore Virciglio del foro di Caltanissetta. È accusato di omicidio aggravato e tentato omicidio. La parte civile è rappresentata dagli avvocati Santo Lucia e Valentina Taibi.
Un delitto che per oltre dieci anni è rimasto un “cold case” fino all’incredibile svolta avvenuta lo scorso anno con il rinvio a giudizio dell’uomo. Il processo è in corso davanti la Corte di Assise presieduta dal giudice Giuseppe Miceli con a latere il giudice Micaela Raimondo. Due le persone chiamate a testimoniare questa mattina dal pm Gaspare Bentivegna. Entrambe le audizioni sono state significative, non certamente banali. Il primo a comparire davanti la Corte è stato un soggetto sospettato di aver messo a segno un furto nella casa dell’imputato.
La seconda testimonianza è stata per certi versi più complicata e complessa, caratterizzata da molti “non lo so” e “non ricordo” a tal punto che i cortesi inviti del presidente Miceli spesso si sono trasformati in veri e propri ammonimenti alla teste. Si tratta di una donna che nel periodo dell’omicidio era legata sentimentalmente all’imputato. La signora, seppur con molti vuoti di memoria e sollecitata dalle contestazioni del pm, ha di fatto confermato molte delle dichiarazioni già rilasciate agli investigatori in fase di indagine: dice di aver appreso dell’omicidio guardando il telegiornale e di aver riconosciuto proprio in quell’occasione la casa che aveva frequentato; ha raccontato di una telefonata con l’imputato qualche ora prima del delitto e dei sospetti che lo stesso aveva su un gruppetto che si aggirava in quelle zone forse per compiere dei furti. La donna ha anche descritto la capigliatura che Falco portava in quel periodo, la stessa indicata dall’altro testimone. Infine ha spiegato come l’imputato, non appena apprese della convocazione in procura della signora, si fosse informato sulle domande che gli inquirenti le avevano rivolto. Era il 2014 e, secondo quanto sostenuto, anche l’ultima volta che i due si sono visti. La Corte di Assise ha aggiornata l’udienza al prossimo 28 novembre quando compariranno in aula altri tre testimoni. Tra questi anche il padre della giovane vittima. Il 13 dicembre sarà la volta, qualora prestasse il consenso, dell’esame dell’imputato.
L’omicidio si consuma la sera del 23 ottobre 2013 in contrada Ciotta, nelle campagne di Palma di Montechiaro. Antonio Morgana si trova in un piazzale all’interno di un’auto in compagnia di altri quattro amici: Calogero Pace, Giuseppe Palermo, Mohchine Maukan e Angelo Azzarello. Improvvisamente diversi colpi di pistola calibro 7.65 squarciano il silenzio della notte: due proiettili colpiscono mortalmente Morgana, uno invece ferisce alla gamba Pace mentre gli altri due ragazzi rimangono miracolosamente illesi. Inutile la disperata corsa verso l’ospedale San Giacomo d’Altopasso di Licata. Morgana era già morto. Le indagini sull’omicidio si sono fin da subito concentrate sul possibile movente del furto anche alla luce delle dichiarazioni di uno dei cinque giovani presenti quella notte. Uno di loro, nonostante il buio e le condizioni avverse, fa il nome del presunto assassino agli investigatori, affermando di averlo visto. Si tratta di un 62enne di Palma di Montechiaro che, poco dopo, viene sottoposto a fermo. Una pista che però fa acqua da tutte le parti e non convince del tutto gli inquirenti. Il 62enne, infatti, viene scarcerato poco dopo anche grazie ad un alibi di ferro. La sera del delitto era a giocare a carte al centro commerciale Le Vigne insieme ad altri amici. Così le successive investigazioni hanno portato dritto a Falco Abramo, proprietario di un immobile in contrada Ciotta. A sparare, con l’aggravante della premeditazione, “dopo essersi appostato – è questo l’atto di accusa – in un luogo buio e isolato” sarebbe stato Falco Abramo che avrebbe voluto vendicare un furto in casa subito quella mattina di cui riteneva responsabili quei ragazzini.