“Deve stimarsi che i giudici di merito non abbiano compiutamente verificato se, data la specificità del contesto, possa, ed in quale misura, ascriversi all’imputato di non avere “efficacemente tentato di contrastare” lo stato di angoscia del quale era preda e, parallelamente, se la fonte del disagio, evidentemente rappresentata dal sopraggiungere dell’emergenza pandemica con tutto ciò che essa ha determinato sulla vita di ciascuno e, quindi, anche dei protagonisti della vicenda, e, ancor più, la contingente difficoltà di porvi rimedio costituiscano fattori incidenti sulla misura della responsabilità penale”. Sono state rese note le motivazioni con le quali la prima sezione della Corte di Cassazione, appena due mesi fa, ha annullato la condanna all’ergastolo nei confronti di Antonio De Pace, l’infermiere calabrese che il 31 marzo 2020 ha ucciso la fidanzata Lorena Quaranta. https://www.grandangoloagrigento.it/giudiziaria/il-femminicidio-di-lorena-quaranta-la-cassazione-valutare-le-attenuanti-generiche
Per i giudici ermellini, che hanno dunque disposto un nuovo processo da celebrare davanti altra sezione della Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria, bisogna valutare se lo stress dell’imputato dovuto al dilagare della pandemia possa essere o meno una attenuante da riconoscergli. Ed è proprio a questa circostanza che è legato il destino dell’infermiere calabrese poiché, in caso di accoglimento di questa tesi, eviterebbe il carcere a vita.
Sulla decisione di annullare l’ergastolo, e a commento delle motivazioni della Cassazione, è intervenuto l’avvocato Giuseppe Barba che rappresenta i familiari di Lorena Quaranta: “Motivazione fantasiosa che si discosta dal contenuto di entrambe le sentenze di merito che hanno motivato abbondantemente circa là insussistenza dei presupposti per poter ritenere il de pace meritevole di concessione delle circostanze attenuanti generiche. È inspiegabile ancorare tale decisione sulla circostanza che lo stesso abbia agito in un momento di forte disagio emotivo legato al coronavirus. Insisteremo con tutte le nostre forze per fare confermare la sentenza con la pena dell’ergastolo”.
A commentare le motivazioni della Cassazione anche l’avvocato Cettina Masi, del centro antiviolenza “Una di noi”, parte civile nel processo: “La lettura delle motivazioni – dice alla Gazzetta del Sud – ci lascia sgomente e fortemente allarmate per la tutela di tutte le donne come Lorena”. De Pace è stato condannato in primo e secondo grado all’ergastolo. Il 32enne, che ha confessato l’omicidio di Lorena Quaranta, punta chiaramente alla revoca dell’ergastolo. Uno spiraglio che era stato aperto dalla stessa Procura generale quando, nel giudizio di secondo grado, aveva chiesto l’applicazione delle attenuanti generiche in favore dell’imputato. La difesa dell’imputato aveva sostenuto, tra i motivi del ricorso, anche l’infermità mentale del 32enne e, in particolare, la presenza nel De Pace di Disturbo Psicotico Breve, vale a dire uno scompenso grave che insorge in un breve periodo di tempo in persone con una predisposizione psicopatologica in risposta ad un evento stressante.
Una circostanza che però gli stessi giudici di secondo grado hanno escluso, come si legge nelle motivazioni della sentenza: “Correttamente, dunque, il primo giudice ha ritenuto che il contributo tecnico offerto dal perito meritasse integrale condivisione e che sulla scorta di esso si dovesse escludere, oltre ogni ragionevole dubbio, che l’imputato si fosse trovato, al momento della commissione del delitto, per infermità, in uno stato di mente tale da escludere, o scemare grandemente, la sua capacità di intendere e volere”. Lorena Quaranta, giovane studentessa di Favara, viene uccisa da Antonio De Pace la notte del 31 marzo 2020 in un appartamento di Furci Siculo che i due giovani condividevano. È stato lo stesso infermiere calabrese a chiamare i carabinieri al telefono: “Venite, ho ucciso la mia fidanzata”. Il movente non è mai stato del tutto chiaro. De Pace ha infatti sostenuto, almeno nelle prime fasi delle indagini, di avere ucciso Lorena perché convinto di aver contratto il Covid-19 a causa sua. Una circostanza poco credibile e smentita immediatamente grazie ai successivi esami effettuati. I familiari di Lorena si sono costituiti parte civile rappresentati dall’avvocato Giuseppe Barba così come il centro antiviolenza “Una di Noi” e “Cedav”, rappresentati dagli avvocati Cettina Masi e Maria Gianquinto. L’imputato è difeso dagli avvocati Salvatore Staiano e Bruno Ganino.