Capita che dopo gli incauti e spropositati eventi delle scorse settimane ci sia una serata che ti riconcilia con l’Agrigento della cultura decente e riflessiva.
E’ accaduto ieri sera al Circolo Empedocleo con la presentazione del libro “Sogni blu” di Maria Concetta De Marco e poche ore dopo al Teatro della Posta Vecchia con la satira giocosa di Manlio Dovì che ha messo in scena “Facce ride” uno spettacolo scritto dallo stesso Dovì e Antonio Di Stefano.
“Sogni blu” della De Marco (con i disegni di Sergio Criminisi) chiude la trilogia iniziata nel 2017 con “Specchio blu” e nel 2019 con “Ali blu” e a presentarlo si sono incaricati Antonio Liotta, editore e vice sindaco (al posto giusto e nel momento giusto) di Favara insieme allo scrittore e saggista Beniamino Biondi che ne ha scritto anche una lunga prefazione.
A interpretare la lettura di alcune pagine del libro Rosa Maria Montalbano e Pippo Alvaro con i siparietti musicali del fisarmonicista Angelo Sanfilippo.
Liotta e Biondi come si arguisce non hanno esitato, a ragione, di lanciare quest’opera recente della De Marco. Il saggista Biondi ha rimarcato “il risultato di una scrittura esemplare nel dosaggio dei toni mentre il frammentismo epistolare di molti suoi racconti trova un fluire consequenziale e il peso della Storia diventa il valore tradotto nella memoria come condizione di poesia”.
E più oltre Biondi appare più definitivo quando afferma che “i frammenti non sono lacerti di racconto ma epifanie dell’anima dove i racconti “Paolo” e “Lucina” sono episodi indimenticabili nei quali l’esperienza si fa parabola di condizioni più profonde e di una sorte collettiva che esiste al di là del grado di coscienza che ne abbia il mondo”.
Altri mondi e altre “sganasciate” con “Facce ride” di Dovì.
I 101 posti del “Posta Vecchia” erano al completo e lo stesso Dovì ha ringraziato gli spettatori che nella serata finale del Festival di Sanremo avessero scelto il suo spettacolo. Sarà per la deriva politica che attraversiamo o per rifarsi dei due anni patiti col Covid, la satira e il cabaret ormai sono diventati elementi vicarianti e consolatori dell’umano disagio.
I vecchi leoni del cabaret non sono affatto in disarmo ma si incuneano furbescamente in questa temperie di “mal comune mezzo gaudio” e come Dovì riscoprono il loro repertorio, una lucidata e via alle risate che il pubblico del Posta Vecchia ha esternato copiosamente come del resto è accaduto in altri spettacoli di cui abbiamo riferito su Grandangolo.
E se pensiamo che è sempre difficile far ridere, il risultato della risata liberatoria potrebbe, qui, interessare i sociologi e allarmare gli anestesisti. Dovì si è scatenato in molti pezzi di bravura non solo nell’imitazione di alcuni personaggi che nel suo carnet abbondano a decine ma alla fine è riuscito a portare sulla scena, con una imitazione multipla, i grandi “spettri” di Totò, Eduardo e Peppino De Filippo insieme a Vittorio Gassman in uno struggente dialogo teatrale da piccola antologia.
Il cabarettista ha esternato anche un dispiegamento di voce non comune nell’interpretare alcune canzoni accompagnate al pianoforte da Tony Bruccoleri.
Una sorpresa l’inserimento nello spettacolo dei fratelli Lello e Nino Casesa (tamburo e fisarmonica) a sottolineare l’eco ormai vicina della Sagra del mandorlo in fiore.
Foto di Diego Romeo