Bullismo, baby gang e violenza minorile: riflettiamo
Maristella Panepinto intervista la dottoressa Daniela Buffa, neuropsichiatra dell'infanzia e dell'adolescenza
di Maristella Panepinto
Ci vuole cautela a parlare di baby gang, perché non si può confinare in una definizione stringata l’insieme di tante problematiche.
È questo il concetto chiave, che emerge dalla chiacchierata con la dottoressa Daniela Buffa, neuropsichiatra dell’infanzia e dell’adolescenza e grande esperta di tematiche legate al bullismo e alla violenza dei minori e tra i minori.
La dottoressa Buffa non liquida con facilità la vicenda capitata a Casteltermini, sulla quale stanno indagando i Carabinieri e il Tribunale dei minori alla ricerca di ogni dettaglio utile alla ricostruzione e alla motivazioni dei fatti. La neuropsichiatra va in profondità, non punta il dito alla ricerca di colpevoli, semmai ci invita a riflettere sulla difficile condizione giovanile, ma anche su quella genitoriale.
Dottoressa Buffa, stando a quanto riferiscono le fonti investigative, in un tranquillo paesino d’entroterra, si sarebbe scatenata “una spedizione punitiva”, così titolano i giornali, da parte di un gruppo di minorenni, tra i 14 e i 17 anni, alla direzione di altri coetanei. Violazione di domicilio e lesioni personali, queste le ipotesi di reato denunciate alla Procura della Repubblica presso il Tribunale dei minori di Palermo. Alla spicciola, si indaga su un episodio di violenza di gruppo, ad opera di minori contro coetanei per futili o nulli motivi, agito in una casa privata, dove, addirittura erano presenti i genitori di uno degli aggrediti. Perché accadono episodi simili?
“L’ipotesi di violenza adolescenziale fine a se stessa o comunque mossa da ragioni inconsistenti può avere più d’una motivazione. Ve ne spiego anzitutto una neurobiologica. Nei ragazzini, a livello cerebrale, il sistema limbico delle emozioni è potenziato al massimo. Quindi loro vivono un turbine di pulsioni, che potrebbero anche dare sfogo a una forza fisica incontrollata. Nei ragazzini il sistema limbico non è ponderato dal filtro della cautela, di una completa razionalità nell’agire. Questo perché il sistema cerebrale della corteccia frontale, deputato appunto alla modulazione razionale degli istinti, è ancora immaturo. L’adolescente per natura non vede pericoli, né limiti al suo agire. Ovviamente questa regola non è uguale per tutti e varia da temperamento a temperamento”.
Questo giustificherebbe in toto le azioni violente ad opera di ragazzini? Non vi sarebbero quindi soluzioni alle indoli particolarmente “fumantine”?
“Assolutamente no, la soluzione c’è, eccome. Sta nella figura dei genitori e delle altre istituzioni di riferimento dei nostri adolescenti. È anzitutto in famiglia che si deve trovare il filtro alle pulsioni limbiche esagerate, che pure si verificano biologicamente nell’adolescenza. I genitori devono sapere arginare i peggiori istinti dei figli e non devono pensare di farlo geo-localizzandoli con le app sul telefonino o seguendoli passo passo grazie alle applicazioni scolastiche, che consentono di conoscere, in tempo reale, assenze, ritardi note di demerito e voti bassi. Non è questo il modo di avere sott’occhio i nostri figli. I figli non vanno controllati, ma vanno ascoltati, seguiti emotivamente e affiancati. Non conta sapere il luogo dove si trovano, ma con chi sono e cosa stanno facendo in quel posto. Ancora più importante è conoscere le passioni, le attitudini e i problemi dei nostri figli. Se ci limitiamo ad accontentarli, ad evitare loro la frustrazione dei no, cosicché possano stare al passo dei compagni con abiti griffati, soldini in tasca e devices di ultima generazioni non li aiutiamo a crescere bene, anzi è proprio in questa fragilità genitoriale che si annida l’esplosione della violenza di taluni figli. È emblematico verificare che di solito questi ragazzini, uno a uno, possono anche essere assai fragili, ma in branco danno libero sfogo anche alle peggiori emozioni”.
C’è un bel romanzo, “L’età fragile” di Donatella Di Pietrantonio, che ha vinto il premio Strega 2024. L’autrice racconta della friabilità dei genitori di oggi e della difficoltà dei figli di questa epoca. Come si esprimono neuro-psichiatricamente questi due concetti?
“È molto semplice, oggi ci troviamo di fronte a una generazione di genitori meno sostenuta da reti familiari allargate e meno strutturata rispetto ai padri e alle madri dei decenni precedenti. Osserviamo due tipi di famiglie: quelle con genitori professionalmente performanti, che passano poco tempo con i figli, delegano l’accudimento a tate o scuole a tempo pieno e per sopire il senso di colpa rimpinzano i figli di tutto ciò che desiderano, con conseguenze deleterie: ragazzini viziati, infelici, egoisti. D’altro canto vi sono anche i genitori super accudenti, apprensivi, tutelanti, che ritengono che i loro figli debbano essere tenuti lontani da qualsiasi percezione del dolore (lutti, sconfitte, disfunzioni familiari). Sono anche quei genitori per i quali i figli devono essere sempre i migliori di tutti, occorrenza che alimentano sostenendo un ego ipertrofico dei ragazzini. Va bene proteggere e coltivare l’autostima, ma cerchiamo di capire quanto in questo agito ci sia più un desiderio di rivalsa del genitore, che non una maniera di motivare i propri figli”.
È il senso della società della performanza?
“Sì e questa si proietta massimamente sui più giovani. Nostro figlio deve arrivare primo e poco importa se lo faccia a scapito di altri. Deve essere il più intelligente, il più furbo, il primo in classifica nello sport, un leader a scuola. Quello che da piccolissimi pare un gioco, uno zelo positivo dei genitori, nell’adolescenza può esplodere in episodi di violenza gravi e immotivati. Ci tengo a precisare una cosa: per mestiere e per ampia esperienza in merito a queste tristi vicende, so per certo che il bullo è anch’esso una vittima. È un ragazzo irrisolto, che cerca la sua identità e non trovandola nei ‘luoghi’ positivi, la rintraccia grazie al branco. Difatti sovente le vittime dei bulli sono i primi della classe, i ragazzi dotati di un talento spiccato in una qualsiasi disciplina d’arte, d’ingegno, di sport. Bersagli che vengono presi in giro, emarginati e financo aggrediti, ma ai quali evidentemente il bullo punta proprio perché li ritiene umanamente realizzati”.
Cosa possono fare i genitori?
“Semplicemente affiancare i propri figli. Un esempio: tutti ci lamentiamo che i nostri figli stanno sempre al telefono, quando noi per primi abbiamo il cellulare perennemente tra le mani. Temiamo che i ragazzini prendano delle brutte strade, però non abbiamo tempo per passare del tempo con loro. È fondamentale ascoltarli, andare con loro al cinema, iniziare insieme un’attività sportiva o cercare una passione positiva, perché tutti i giovani ne sono dotati. Musica, teatro, lettura, sport, viaggi, serve capire da dove iniziare. Basta lavorarci insieme e costruendo tempo di qualità e impegno buono distoglieremo i nostri figli dalla noia cattiva, quella che porta alla frustrazione e che può sfociare in una violenza inspiegabile, come quella dei recenti fatti nell’agrigentino. Vi garantisco che nei colloqui con i cosiddetti bulli, anche con quelli più violenti, riscontro una fragilità difficile da comprendere agli occhi inesperti. Paradossalmente, da soli, sono fragili e indifesi come le vittime. Altra cosa importante, un buon genitore non deve colmare l’ego dei figli con motivazioni di performance fine a se stessa. Ai ragazzi dobbiamo insegnare a coltivare passioni, ideali, vocazioni. Non serve istruire ad arrivare primi a qualsiasi costo, anche a quello di schiacciare il prossimo. Se sbagliano con il gruppo dei pari, vanno redarguiti con autorevolezza e questo sarà fatto per il loro bene. Vi garantisco che gli sarà utile. Gli adolescenti devono costruire l’identità e se i genitori non li spalleggiano con oculatezza e presenza, il rischio è quello di alimentare gruppi di ragazzi preda dei loro istinti, masse senza guida che diventano violente verso gli altri e soprattutto vittime di loro stesse”.