Oggi Naro si veste a festa per celebrare San Calogero, patrono della città e festeggiato due volte l’anno. Ogni anno, l’11 gennaio, questa festa si rivela un momento di intensa spiritualità e partecipazione collettiva, mantenendo vivo un legame che unisce sacro e profano, passato e presente.
Si narra che San Calogero fosse un eremita, vissuto tra il V e il VI secolo d.C., che si rifugiò in Sicilia per sfuggire alle persecuzioni contro i cristiani. Uomo di fede e taumaturgo, San Calogero è ricordato per i suoi miracoli e per la sua dedizione ai più bisognosi. A Naro, il culto del santo risale a tempi antichi, quando la comunità locale lo invocò come protettore contro le epidemie e le carestie. Una delle ragioni principali per cui la festa è celebrata l’11 gennaio risiede nella memoria collettiva del terremoto che colpì mezza Sicilia proprio l’11 gennaio 1693. Secondo la tradizione, San Calogero avrebbe protetto Naro dalla devastazione, diventando così un simbolo di speranza e resilienza. La sua figura è ancora oggi venerata come simbolo di guarigione e forza spirituale, un faro di speranza nelle difficoltà.
Come avviene il 18 Giugno, non mancano i gesti di pietà popolare, come l’offerta del pane che prende le forze della grazia richiesta o ricevuta. La festa di San Calogero di Naro è molto più di un semplice evento religioso. È un momento in cui la comunità di Naro si riscopre unita, rinnovando le sue radici e tramandando ai più giovani un patrimonio culturale e spirituale di inestimabile valore e mentre il cielo di gennaio si colora delle luci della festa, un messaggio chiaro si diffonde tra i vicoli e le piazze: Viva Diu e San Calò. Un legame che resiste al tempo e continua a illuminare la fulgentissima, anno dopo anno.
L’11 gennaio 1693, un devastante terremoto colpì la Val di Noto, nella Sicilia sud-orientale, lasciando un’impronta indelebile nella storia dell’isola. Con una magnitudo stimata intorno a 7,4, il sisma è considerato il più violento mai registrato in Italia e uno degli eventi più catastrofici del XVII secolo in Europa. Il terremoto principale si verificò alle 13:30 circa, preceduto da una scossa premonitrice il 9 gennaio. La scossa dell’11 gennaio fu talmente intensa che distrusse intere città, tra cui Noto, Catania, Modica e Ragusa. Si stima che oltre 60.000 persone persero la vita, un numero impressionante per l’epoca, considerando la densità abitativa della regione. Le conseguenze furono devastanti: edifici crollati, chiese ridotte in macerie e interi centri abitati rasi al suolo. Le strade si aprirono, lasciando crepe profonde nel terreno, mentre una serie di mareggiate colpirono le coste orientali della Sicilia, aggravando ulteriormente i danni e le perdite umane. Il terremoto della Val di Noto fu causato dall’attività tettonica lungo il margine tra la placca africana e quella euroasiatica. La Sicilia, situata in una zona sismica attiva, è storicamente soggetta a terremoti, ma quello del 1693 superò ogni precedente in termini di intensità e distruzione. Gli studiosi ritengono che la faglia responsabile fosse situata al largo della costa ionica, in prossimità della zona di subduzione tra le due placche. Il sisma rilasciò un’enorme quantità di energia, distruggendo edifici già indeboliti dalle scosse precedenti e causando tsunami che colpirono i porti e le città costiere.
credit foto della galleria: Riccardo Priolo
Dopo il disastro, la Sicilia sud-orientale intraprese una delle più straordinarie operazioni di ricostruzione della storia europea. Le città distrutte vennero riedificate seguendo il gusto architettonico dell’epoca, dando vita al celebre “Barocco Siciliano”.
Noto, completamente ricostruita in una nuova posizione più sicura, divenne il simbolo di questa rinascita. Altri centri, come Catania, Ragusa e Modica, furono riedificati con chiese, palazzi e piazze che oggi sono Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO. La ricostruzione non fu solo un atto di resilienza, ma anche una dimostrazione della volontà di creare bellezza e ordine in risposta al caos della natura.