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Un pizzino nel covo del boss e le dichiarazioni dei pentiti: chi era l’agricoltore ucciso?

Un vero e proprio grattacapo. Lavoro incessante per gli inquirenti della Procura di Sciacca, con il procuratore capo Roberta Buzzolani ed i sostituti procuratori Michele Marrone e Roberta Griffo, che stanno cercando di ricostruire i pezzi del puzzle, sicuramente più complicato di quanto apparso in prima battuta, legato all’omicidio di Vincenzo Gaspare Corvo, imprenditore agricolo di 52 anni, freddato ieri mattina nei pressi della sua auto con un solo colpo di fucile alla gola. Dell’attentatore non si hanno tracce, sparito nel nulla. 

Ma chi era Gaspare Gaspare Corvo? Per lo Stato Italiano un imprenditore agricolo incensurato ma, scavando a fondo, troviamo un passato non troppo lontano alquanto “complicato”. La Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, subito dopo aver catturato dopo anni di latitanza il capo incontrastato di Cosa Nostra agrigentina Giuseppe Falsone, avvia un’operazione con lo scopo di fare terra bruciata nei confronti di chi, fino al momento del suo arresto avvenuto a Marsiglia, ne aveva favorito la latitanza. E’ il 2011 e la Squadra Mobile di Agrigento dà vita all’operazione “Maginot”. 

Nove le persone finite in manette ma le richieste di cattura erano undici. Tra quelle non accolte dal gip Morosini c’era proprio Vincenzo Gaspare Corvo, nato a Lucca Sicula, la vittima uccisa ieri mattina. Per gli inquirenti Corvo era uno dei fiancheggiatori più stretti del boss Giuseppe Falsone e ne chiesero la cattura per “avere aiutato Falsone a sottrarsi alle ricerche e consentendogli di mantenere il ruolo di rappresentante provinciale stabilendo per suo conto contatti con gli associati”. 

Corvo finisce sotto indagine con l’ipotesi di reato di favoreggiamento aggravato. Il primo a fare il suo nome è Calogero Rizzuto, alias “Cavigliuni”, divenuto nel frattempo collaboratore di giustizia dopo esser stato – per volere di Falsone – a capo del mandamento mafioso di Sambuca di Sicilia scalzando Leo Sutera. Rizzuto riconosce una foto e indica Corvo quale fiancheggiatore di Falsone. Un altro collaboratore di giustizia, Giuseppe Sardino, ex uomo d’onore di Naro e fedelissimo di Falsone, indica ai poliziotti della Squadr Mobile di Agrigento uno dei covi in cui l’ex capo di Cosa Nostra aveva trascorso parte della latitanza: si tratta dell’abitazione di tale Antonino Abbruzzo, sita nelle campagne fra Palazzo Adriano, Cianciana e Lucca Sicula in contrada Polliccia Superiore, ove all’interno della stessa è stato trovato materiale in modo inoppugnabile riconducibile a Giuseppe Falsone: una sua foto tessera in mezzo ad una Bibbia e alcuni pizzini. Tra questi foglietti anche il nome di Vincenzo Gaspare Corvo. 

Per questo motivo la Dda di Palermo ne chiede la cattura ma il gip la rigettò ritenendo in particolare: “generiche” sia l’attività di intercettazione e i contatti telefonici avuti dal Corvo con Guarragi ma anche il riconoscimento in fotografia effettuato dal collaboratore di giustizia Rizzuto. Infine, anche il pizzino rinvenuto nel covo in cui si nascondeva Falsone fu ritenuto “non riconducibile” alla figura di Vincenzo Gaspare Corvo. Per questi motivi la richiesta di cattura fu rigettata. Ieri, a distanza di quasi un decennio da questa vicenda, l’omicidio dell’agricoltore 52enne.