“Scalata grazie all’antimafia”, in manette imprenditore anti-racket (video)

Vincenzo Artale

Questa mattina Alcamo e Castellamnare del Golfo si sono svegliate con un assedio di circa 100 militari appartenenti alla Compagnia dei Carabinieri di Alcamo coadiuvati dai militari del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Trapani. A finire in manette in seguito al blitz condotto dalle forze dell’ordine sono in totale cinque persone. Lo spaccato che ne esce fuori è da brividi. Innanzitutto, si può notare come Cosa Nostra, attraverso il controllo totale dei movimenti di terra e grazie alla “buona immagine” di un imprenditore antiracket, potesse monopolizzare l’intero settore. Come ha aggiunto il Procuratore Aggiunto, Teresa Principato:” Scalata imprenditoriale grazie a carriera antimafia”.

Come si diceva, sono in totale cinque gli uomini finiti in manette all’alba: Mariano Saracino, 69 anni, e Vito Turriciano, 70 anni, Vito Badalucco, 59 anni e Vincenzo Artale, 64 anni.

Saracino,  arrestato nel 2000 è stato già condannato per essere stato il “ministro delle Finanze” della cupola provinciale guidata da Messina Denaro, per la sua abilità in appalti e finanziamenti pubblici, in questa nuova indagine, denominata “Cemento del Golfo“, è ritenuto dagli investigatori dell’Arma il capo delle “famiglie” di Castellammare del Golfo. Nonostante la confisca di un patrimonio da 45 milioni di euro, Saracino non si è ritrovato impoverito e si è gettato sempre più nel mercato delle forniture di inerti e cemento. L’uomo negli ultimi anni sarebbe riuscito a monopolizzare le forniture di cemento e i carabinieri hanno scoperto dalla sua parte anche un imprenditore associato all’antiracket di Alcamo e Castellammare come Artale, 64 anni.

Mariano Saracino, capomafia della Famiglia di Castellamare

Il capo mafia della famiglia di Castellamare, Saracino, avrebbe difatti usato l’immagine dell’imprenditore Vincenzo Artale, iscritto all’antiracket di Alcamo e figura che si era accreditata negli ambienti dell’antimafia grazie ad alcune denunce mosse nel 2006 nei confronti dei suoi estortori. E’ una storia emblematica, questa – dice il procuratore aggiunto Teresa Principato, impegnata nelle indagini per la ricerca del superlatitante della provincia di Trapani, Matteo Messina Denaro – ancora una volta le intercettazioni hanno svelato che l’antimafia di maniera può diventare uno schermo perfetto per mascherare scalate imprenditoriali all’ombra della mafia”. Così, aveva fatto Enzo Artale, un piccolo padroncino di Alcamo, proprietario di una betoniera che all’improvviso diventa il ras del cemento nella provincia di Trapani.

E’ l’ennesimo simbolo dell’antimafia che finisce nel ciclone di un’inchiesta giudiziaria. Artale aveva denunciato per davvero delle richieste di pizzo, ma gli autori erano dei piccoli mafiosi. Quale migliore occasione per accreditarsi come imprenditore coraggio, non perdeva occasione per ribadire il suo credo di sincero antimafioso durante convegni e manifestazioni. Nel maggio scorso, era stato eletto nel collegio dei probiviri dell’associazione antiracket di Alcamo.

L’ordinanza firmata dal Gip dal gip del Tribunale di Palermo Nicola Aiello, su richiesta della Dda del capoluogo, fa ampio riferimento al contenuto di moltissime intercettazioni telefoniche e ambientali.