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Relazione Direzione Nazionale Antimafia: “Cosa Nostra agrigentina una delle roccaforti della mafia”

E’ stata pubblicata la relazione sulle attività del Procuratore Nazionale e della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo nonché sulle dinamiche e strategie della criminalità organizzata di tipo mafioso. Il report fa riferimento al periodo compreso dal luglio 2018 a dicembre 2019. Questo quanto emerge sulla provincia di Agrigento. Cosa Nostra nella provincia di Agrigento continua a costituire una delle più inaccessibili roccaforti dell’organizzazione mafiosa, in quanto ancorata alle regole tradizionali e storiche, difficilmente permeabile dall’esterno. 

LA STRUTTURA DI COSA NOSTRA E DELLA STIDDA

Invariata la struttura verticistica, l’organizzazione mafiosa risulta suddivisa in quarantuno “famiglie” e sette “mandamenti” (Canicattì, Agrigento, Burgio, del Belice, quello della “Montagna”, originariamente di Sant’Elisabetta, Palma di Montechiaro, Cianciana) che acquisiscono la denominazione dal luogo di origine del soggetto deputato a rappresentarlo e non dal paese stesso come accade per Palermo.  Fortemente radicata sul territorio, Cosa Nostra ha riaffermato la sua supremazia sulle organizzazioni stiddare e i residui gruppi criminali presenti in alcune aree territoriali della provincia (si pensi ai cc.dd. “paracchi”, alle “code chiatte” ed alle “code strette” favaresi).  La “stidda”, costituita da una confederazione di clan scissionisti, è oramai relegata, dopo un violento e prolungato conflitto con Cosa Nostra, ad un ruolo marginale. Infatti, le risultanze del processo “Vultur”, concluso con sentenza di condanna del 22 novembre 2018 a pesanti pene detentive nei confronti di soggetti imputati di partecipazione all’associazione mafiosa, hanno evidenziato una situazione di convivenza quasi assorbimento della “stidda” in Cosa Nostra perlomeno nei territori di Camastra e Canicattì. 

Permane la capacità di Cosa Nostra di formare alleanze al di là dei confini territoriali della provincia, in particolar modo sono stati registrati e documentati rapporti con le famiglie mafiose di Catania, Enna, Trapani e soprattutto Palermo con cui risulta in stretto e organico collegamento.  Rilevante profilo di novità, emerso anche per effetto del contributo del pur modesto numero di collaboratori di giustizia, è costituito dalla contrapposizione tra lo schieramento facente capo alla famiglia Fragapane, sostenuto in passato da Salvatore Riina e Leoluca Bagarella, e quello, invece, diretto da Falsone Giuseppe, capo della provincia mafiosa di Agrigento sino al 2010 quando era tratto in arresto ed attualmente detenuto in regime differenziato di cui all’art 41 bis OP.  Il contrasto trae origine dalla contesa insorta, per la designazione nel 2002 a rappresentante della provincia mafiosa di Agrigento di Di Gati Maurizio, appoggiato dai Fragapane, successivamente esautorato dallo stesso Falsone Giuseppe che, invece, vantava l’appoggio di Bernardo Provenzano.  L’incessante e mirata azione di contrasto della Direzione Distrettuale di Palermo ha avuto come principale obiettivo e precisa strategia quella di colpire entrambi i predetti schieramenti al fine di indebolire senza soluzione di continuità l’intera organizzazione mafiosa nella provincia di Agrigento, evitando altresì, un violento conflitto fra le suddette fazioni in contrapposizione fra loro. In tal senso rileva l’operazione “Montagna”, con la quale nel gennaio 2018 è stato disarticolato il neo costituito c.d. mandamento della “Montagna” al cui vertice vi era Fragapane Francesco (figlio di Salvatore, in passato designato da Riina Salvatore come capo della provincia mafiosa di Agrigento), così di fatto azzerando il potere mafioso della fazione di Cosa Nostra agrigentina rappresentata dalla famiglia Fragapane.  La sentenza del Tribunale di Palermo del 25 luglio 2019 ha, infatti, accertato che Fragapane Francesco, tra il 2013 ed il 2014, aveva realizzato un significativo riassetto organizzativo, nel tentativo di scalare le gerarchie mafiose della provincia scalzando i rappresentati più vicini a Falsone Giuseppe, sostituendoli con soggetti a lui fedeli, ottenendo l’appoggio delle numerose famiglie mafiose dell’entroterra montano della provincia. In tale processo, celebrato con il giudizio abbreviato nei confronti di 52 imputati, sono stati condannati a pene particolarmente severe capi, promotori e affiliati, tra cui in particolare Fragapane Francesco. Alcuni dei condannati, in considerazione della caratura criminale e del ruolo apicale acquisito nel sodalizio mafioso, sono stati sottoposti allo speciale regime detentivo di cui all’art. 41 bis O.P.  I numerosi arresti delle operazioni “Assedio” del giugno 2019 e “Halycon” del luglio 2019 hanno disarticolato, invece, la famiglia mafiosa di Licata, vera e propria enclave dello schieramento di Falsone Giuseppe che si presenta quanto mai potente per effetto delle pericolose relazioni con esponenti politici locali e della massoneria, a dimostrazione del potere di condizionamento e di penetrazione dell’associazione mafiosa nel tessuto istituzionale, economico e sociale.  Nonostante una costante e corale azione di repressione di tutti gli organi dello Stato, emerge il dato sconfortante non solo della celere rigenerazione delle cosche decimate da arresti e pesanti condanne per gli affiliati, ma soprattutto della capacità di riorganizzazione affidata, sempre con maggiore frequenza, ad anziani boss, anche ultraottuagenari, appena scarcerati.  Le principali attività criminose sono quelle tradizionali come le estorsioni con danneggiamenti e incendi ad esse strumentali e il traffico degli stupefacenti che ha registrato una sensibile ripresa in quanto assicura un immediata e ingente disponibilità economica, come è emerso nell’ambito dell’operazione “Kerkent” del marzo 2019 che ha consentito di ricostruire i canali di approvvigionamento che facevano riferimento ad altri sodalizi mafiosi locali. e palermitani, nonché alle ‘ndrine calabresi dell’area vibonese. Inoltre, sono state individuate nella zona orientale della provincia svariate piantagioni di cannabis di varia estensione, coltivate in serre dotate di impianti di illuminazione, aerazione e video-sorveglianza.  

GLI INTERESSI ECONOMICI DELLA MAFIA AGRIGENTINA

Il ruolo di intermediazione svolto da alcuni gruppi criminali agrigentini nel traffico di stupefacenti ha favorito il moltiplicarsi dei rapporti con organizzazioni similari estere e nazionali, specializzate nella produzione e nella distribuzione delle stesse sostanze, nonché nelle attività di riciclaggio. In particolare, organizzazioni malavitose agrigentine occidentali si sono proiettate verso i Paesi dell’America del Nord, in particolare gli Stati Uniti e il Canada, e solo in minima parte verso l’America Latina (Venezuela e Brasile), mentre le consorterie della parte orientale hanno privilegiato i Paesi del nord Europa (Germania, Belgio).  Le suddette proiezioni all’estero di alcuni gruppi criminali prevalentemente di Favara per attività connesse al traffico di sostanze stupefacenti hanno reso indispensabile, per la dimensione internazionale del fenomeno, una intensa collaborazione e cooperazione, al punto che per la prima volta è stata costituita con il contributo della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, per la semplificazione dei rapporti e la condivisione e lo scambio rapido e tempestivo delle informazioni e delle fonti di prova acquisite, nel settembre del 2018 e prorogata nel 2019 una Squadra Investigativa Comune fra la Procura della Repubblica di Palermo e l’Autorità Giudiziaria del Belgio, ai sensi della Decisione Quadro comunitaria e della legge italiana di attuazione, con finanziamento da parte dell’Unione Europea.  Cosa Nostra agrigentina si caratterizza per la costante evoluzione dei suoi interessi non più ancorati solo ad una economia agro-pastorale ma in fase di espansione in settori più vantaggiosi e remunerativi come il gioco d’azzardo che costituisce un settore di investimento attraverso l’installazione delle slot machine e l’acquisizione con intestazione a prestanome delle sale deputate al gioco, nonché i proventi connessi al fenomeno migratorio nella fase di allocazione e sistemazione logistica degli immigrati.  L’influenza di Cosa Nostra sul sistema economico, sociale e politico si manifesta attraverso sistematici tentativi di infiltrazione nelle commesse pubbliche e soprattutto nel circuito dei finanziamenti pubblici alle imprese. L’organizzazione mafiosa, approfittando della perdurante crisi economico- finanziaria che attanaglia la provincia di Agrigento, collocata da recenti analisi demoscopiche agli ultimi posti per reddito pro-capite e qualità della vita nella graduatoria delle province italiane, si è stabilmente inserita nell’economia legale, desertificando il tessuto produttivo sano, soprattutto nel settore dell’imprenditoria ove l’azione criminale non è più limitata ad infiltrazioni in lavori già aggiudicati ma si afferma nell’esercizio diretto di attività imprenditoriali da parte di esponenti mafiosi o persone ad essi vicine. La disponibilità di cospicui capitali consente di acquisire posizioni dominanti in alcuni settori come quello edile così favorendo il controllo degli appalti anche pubblici, e delle forniture di calcestruzzo e materiali inerti, mortificando il principio della libera concorrenza tra le imprese.  Le ditte riconducibili alle organizzazioni mafiose costringono i titolari di impianti di calcestruzzo a rifornirsi di inerti presso le loro imprese o presso imprese a loro riferibili, impedendo alle vittime di decidere persino il quantitativo di materiale da acquistare o di fare una valutazione sulla convenienza del prezzo e sulla qualità del materiale acquistato.  Risulta quanto mai attuale il potere di condizionamento dell’organizzazione mafiosa delle amministrazioni locali, attesa la loro particolare vulnerabilità in ragione delle possibili interferenze con il sistema di acquisizione del consenso elettorale, nonché la riscontrata in diversi Comuni parentela diretta o acquisita con soggetti mafiosi non solo degli amministratori, ma anche di dipendenti a tempo indeterminato. Per tale motivo sono state prorogate le gestioni commissariali dei Comuni di Camastra e San Biagio Platani e la Prefettura ha emesso numerosi provvedimenti interdittivi per infiltrazioni mafiose nei confronti di imprese operanti nel settore edile e agricolo.  Obiettivo prioritario per Cosa Nostra rimane sempre quello di creare uno stabile rapporto con gli enti pubblici al fine di incunearsi negli organismi di rappresentanza politica, prevalentemente comunale, per piazzare soggetti dalla stessa prescelti o alla stessa direttamente riferibili nei gangli della vita amministrativa onde condizionare lo sviluppo e l’operatività degli apparati amministrativi locali, orientandoli dall’interno in direzione del soddisfacimento degli interessi della famiglia mafiosa di riferimento, per aggiudicarsi appalti, contratti di fornitura di beni e servizi ma anche ottenere l’assunzione di personale in sostanziale contrasto con la tutela degli interessi della collettività. 

LA MASSONERIA E I TENTANTIVI DI INFILTRAZIONE  

Profilo di significativa novità è offerto dalla dimostrata capacità dell’organizzazione mafiosa del territorio di Licata di infiltrarsi in talune logge massoniche avvalendosi della illecita contiguità di un funzionario della Regione siciliana, gran maestro venerabile della loggia “Pensiero e azione” del Grande Oriente d’Italia, che risultava avere sistematicamente messo a disposizione della consorteria mafiosa, nell’ambito di un preoccupante e inquietante rapporto sinallagmatico di natura affaristico-clientelare, la privilegiata rete di rapporti intrattenuti con altri massoni professionisti ed esponenti delle istituzioni. Così come massone della loggia “Arnaldo da Brescia” del GOI è risultato un affiliato mafioso, figlio del capo mafia di Licata.Altro profilo inquietante è rappresentato dal tentativo operato dalla famiglia mafiosa di Sciacca di strumentalizzare il rapporto di collaborazione fra un affiliato e un parlamentare nazionale per avere un facile accesso nelle strutture carcerarie, realizzando colloqui in modo assolutamente riservato senza la vigilanza della Polizia Penitenziaria, così eludendo gli ordinari sistemi di controllo.  L’esponente mafioso, forte del suo pubblico impegno per la promozione di iniziative a tutela dei diritti dei detenuti, sfruttando falsi titoli accademici e soprattutto il suddetto incarico di collaboratore parlamentare, si è accreditato presso diversi istituti penitenziari ed è riuscito a far visita a mafiosi detenuti, favorendo i rapporti fra gli stessi e veicolando messaggi fra loro e l’esterno, talvolta dando indicazioni in merito alla sistemazione logistica delle strutture detentive al fine di scongiurare il rischio di intercettazione dei colloqui con i familiari.  Le visite in carcere, lungi dall’essere motivate da ragioni umanitarie o di tutela delle condizione dei detenuti, erano in realtà finalizzate a favorire trasferimenti di detenuti mafiosi, ma anche a monitorarne lo stato d’animo per dissuaderne eventuali iniziative collaborative. Una tale gravissima infiltrazione di Cosa Nostra negli apparati dello Stato, strumentalizzati per fini apparentemente nobili, in realtà volta alla rivisitazione del rigore del regime penitenziario dei mafiosi, dimostra ancor di più, la permanente giustificazione obiettiva del regime detentivo differenziato di cui all’art. 41 bis O.P. quale insopprimibile strumento di prevenzione e contrasto della criminalità organizzata. Infatti, per accrescere le attuali difficoltà di Cosa Nostra agrigentina, indebolita dai numerosi e recenti arresti di esponenti apicali, la rigorosa applicazione dell’istituto dello speciale regime detentivo di cui all’art. 41 bis O.P. costituisce una misura inderogabile e insostituibile perché gli associati in libertà attendono le direttive dal carcere dei vertici per progettare una nuova strategia e delineare non solo un nuovo assetto organizzativo ma anche un rinnovato organigramma.  La incessante e martellante azione di repressione dello Stato realizzatasi con le operazioni “Kerkent” (marzo 2019), “Assedio” (giugno 2019) e “Halycon” (luglio 2019) non ha scalfito il muro di omertà che circonda e protegge l’organizzazione mafiosa, nella prospettiva di creare quel clima di fiducia della collettività nei confronti delle Istituzioni indispensabile per avviare un radicale cambiamento innanzitutto di natura culturale.  Infatti, non si registra alcuna collaborazione con l’Autorità Giudiziaria né da parte dei affiliati tratti in arresto, alcuni dei quali immediatamente sottoposti al regime differenziato di cui all’art. 41 bis O.P., né dalle vittime delle attività delittuose, prima fra tutte i racket delle estorsioni il cui esercizio dimostra ancora una volta un asfissiante controllo del territorio e del consenso sociale. Il silenzio della vittima, originariamente dettato dal timore di ritorsioni, si evolve, alimentato dal calcolo della sopportabilità dei costi e dalla speranza di poter convivere con l’organizzazione mafiosa. In alcuni casi limite, alle forze di polizia non resta che denunciare anche la vittima dell’estorsione per favoreggiamento. 

LA MANCANZA DI LEADERSHIP 

A tutt’oggi, in certi ambiti territoriali economicamente e socialmente sottosviluppati della provincia, permane come potere alternativo a quello dello Stato la tradizionale funzione di Cosa Nostra di mediazione privata per la risoluzione di piccole e grandi controversie. Il concreto esercizio di tale prerogativa misura la reale forza dell’organizzazione mafiosa sul territorio perché soddisfa in tempi rapidi e certi le più elementari esigenze dei cittadini. Le molteplici operazioni di polizia effettuate nel periodo di interesse hanno determinato certamente un vuoto di potere e una crisi di leadership nei ruoli apicali di Cosa Nostra agrigentina che potrebbe favorire un riassetto degli equilibri interni.  In questa fase di sbandamento che potrebbe favorire l’affermarsi di gruppi autonomi, dotati di un proprio sostegno operativo, appare difficile delineare l’attuale fisionomia e le possibili linee di evoluzione dell’organizzazione che conserva sul territorio un notevole consenso sociale in grado di vanificare l’azione di contrasto degli apparati dello Stato, ma anche la libera e spontanea iniziativa dei rappresentanti istituzionali e delle associazioni di volontariato e antiracket impegnati in campagne di legalità assolutamente necessarie a formare una coscienza critica e a suscitare un movimento di ribellione ad un sistema di potere mafioso ed estorsivo che soffoca quotidianamente lo sviluppo morale ed economico. Cosa Nostra agrigentina, sebbene priva di una leadership di qualità, in evidente crisi di liquidità, mantiene un capillare e pervasivo controllo del territorio che, unito alla notevole disponibilità di veri e propri arsenali di armi anche del tipo da guerra (kalashikov, fucili mitragliatori, esplosivi e altro), la rendono una organizzazione quanto mai attiva e vitale e quindi estremamente pericolosa, oltre che una delle primarie cause della situazione di stagnazione della vita economica e sociale del territorio. Nella provincia di Agrigento, oltre alla presenza di Cosa Nostra e della Stidda, si registra, infine, l’operatività di gruppi criminali stranieri, tollerati dalle predette organizzazioni mafiose, in quanto impegnati in settori illeciti di basso profilo come lo sfruttamento del lavoro nero, della prostituzione, il trasporto e spaccio di sostanze stupefacenti. Destano particolare allarme sodalizi criminali stranieri che si occupano della tratta di esseri umani dalle coste nordafricane a quelle siciliane, con compiti di gestire e successivamente trasferire le vittime verso destinazioni finali di sfruttamento in altri paesi europei.