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“Mafia, appalti e politica”, colpo alla famiglia di Sciacca: 7 arresti (NOMI)

Dopo la morte dello storico boss Salvatore Di Gangi, travolto da un treno non appena uscito dal carcere nel novembre 2021, la famiglia mafiosa di Sciacca si era riorganizzata. E a prendere le redini della cosca, secondo quanto emerso dall’inchiesta coordinata dal procuratore Maurizio De Lucia e dall’aggiunto Sergio Demontis, era stato Domenico Friscia, 61 anni. Maxi operazione del Gico del Nucleo di Polizia economico-finanziaria di Palermo, guidato dal colonnello Gianluca Angelini, contro il clan mafioso di Sciacca. Il gip Fabio Pilato ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 7 persone. Altre 22 risultano indagate. In manette, oltre a Friscia che è ritenuto il capo della famiglia, sono finiti anche Domenico Maniscalco, 59 anni, già coinvolto in passato nell’operazione Montagna; Giuseppe Marciante, 37 anni e Michele Russo, 45 anni. Tutti sono indiziati di far parte della locale cosca. In manette anche il dirigente regionale Maurizio Costa, 64 anni, di Favara, responsabile della protezione civile in provincia di Agrigento. Ai domiciliari finiscono Vittorio Di Natale, 49 anni, candidato al consiglio comunale di Sciacca nell’ultima tornata elettorale, e Rosario Catanzaro, 65 anni

L’attività investigativa, svolta tra il 2020 ed il 2023, ha messo in evidenza la “persistente capacitа d’infiltrazione e di condizionamento del tessuto socio-economico del territorio da parte dell’associazione mafiosa”. Secondo quanto ricostruito, dopo la morte dello storico boss Di Gangi, si era aperta una “corsa a due” per il ruolo di capo della famiglia tra Domenico Friscia e Domenico Maniscalco. Il primo, coinvolto in passato nell’operazione Opuntia; il secondo, arrestato nella maxi operazione Montagna. A spuntarla fu Friscia che prese in mano le redini del clan. E per gli inquirenti Friscia avrebbe messo le mani su parecchi appalti pubblici in provincia di Agrigento: dalla realizzazione del depuratore al rifacimento della rete fognaria ma anche l’area portuale di Sciacca, un asilo nido a Menfi. Gli imprenditori “non graditi” a Cosa nostra subivano minacce ed estorsioni mentre quelli “graditi” andavano avanti.

Tra questi, per gli inquirenti, ci sarebbe Giuseppe Marciante, titolare dell’azienda Gsp Costruzioni. La ditta si è occupata della realizzazione dell’hub vaccinale di Sciacca durante il periodo Covid ottenendo un appalto di 100 mila euro in affidamento diretto. Per i magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia un aiutino sarebbe arrivato dal dirigente della protezione civile Maurizio Costa che, secondo l’accusa, avrebbe attestato falsamente il possesso di una certificazione dell’azienda indispensabile per avere l’appalto. In cambio, ed è per questo motivo che viene accusato di corruzione, la ditta avrebbe svolto a casa sua lavori di giardinaggio e opere di consolidamento. Aiuti che sarebbero andati anche oltre all’hub vaccinale. Agli atti anche altri affidamenti diretti: dai lavori per lo sgombero e ripristino del manto stradale a Lucca Sicula e Caltabellotta arrivando anche all’intervento di recinzione della famosa Scala dei Turchi di Realmonte. La famiglia mafiosa di Sciacca avrebbe anche tentato di condizionare l’andamento delle elezioni nel 2022. Il boss Friscia avrebbe incontrato Vittorio Di Natale, 49 anni. Il politico, un tempo in Forza Italia con cui provò ad entrare all’Ars, si candidò con la lista Onda al consiglio comunale. Ottenne 305 voti ma non venne eletto. A siglare l’accordo, secondo l’accusa, fu Rosario Catanzaro, 65 anni. Anche lui è finito ai domiciliari.