Apertura

Mafia a Licata: Dda aveva chiesto cattura di Stracuzzi, della moglie e del favarese Pullara

Ancora sviluppi clamorosi, scrivevamo tre settimane fa, nell’inchiesta condotta dalla Guardia di finanza, militari del Gruppo di Agrigento e della Tenenza di Licata, coordinata dai pubblici ministeri della Direzione distrettuale antimafia (Francesca Dessì e Claudio Camilleri) riguardante Angelo Salvatore Stracuzzi, di Licata, 58 anni, vecchia conoscenza di investigatori e magistrati, oggi indagato per associazione mafiosa, estorsione, turbata libertà degli incanti, trasferimento fraudolento di valori, reati secondo l’accusa commessi ad Agrigento, Licata, Palma di Montechiaro.

Tre settimane fa, in assoluta esclusiva, vi avevamo raccontato delle perquisizioni scattate nei confronti dello stesso Angelo Stracuzzi ed altre nove persone, a vario titolo collegate con lui ed in particolare con Rita Giovanna Nogara, 50 anni, moglie di Stracuzzi. Ecco, proprio la donna è la destinataria di un provvedimento di sequestro preventivo di ben sei società e relative quote sociali e patrimonio aziendale (valore imponente: parecchi milioni di euro) emesso nei giorni scorsi dal Tribunale della libertà di Palermo – sezione libertà personale e sequestri – chiamato ad intervenire dopo un ricorso della Procura avverso la decisione del Gip del Tribunale di Palermo di negare il sequestro dei beni aziendali tutti riconducibili, secondo l’indagine sinora svolta dalla Guardia di finanza, ad Angelo Stracuzzi. I pubblici ministeri, subito il provvedimento di rigetto della richiesta di sequestro hanno agito attaccando: ricorso al Tribunale del Riesame e contestuale perquisizione a carico di dieci persone tutte indagate nell’ambito della stessa inchiesta con varie tipologie di ipotesi di reato ritenute prestanome e favoreggiatori di Stracuzzi per aver intestato fittiziamente i beni di quest’ultimo non esponendoli alle attività di sequestro e confisca ad opera dell’Autorità giudiziaria. E così, le Fiamme gialle agrigentine si sono recati a Licata per dare corso ed eseguire il provvedimento di sequestro riguardante le società: Madreterra srl; Savap tecnologie srl; Cappuccino srl; Giò srl; Ortoplast srl; Le tre C srl. Tutte le società sono state affidate ad amministratori giudiziari appositamente nominati.

Ma c’è dell’altro.

L’originaria richiesta della Direzione distrettuale antimafia, poi respinta dal Gip e parzialmente accolta dal Tribunale della libertà di Palermo – sezione libertà personale e sequestri – non conteneva solo la richiesta di sequestro dei beni ma anche la cattura con detenzione in carcere dello stesso Angelo Stracuzzi, della moglie e del favarese Giuseppe Pullara, 73 anni. Richiesta di cattura che, evidentemente, non ha superato le verifiche processuali del Gip prima e del Tribunale del Riesame, poi.

L’inchiesta per mafia a carico di Angelo Stracuzzi naturalmente continua ed è arrivata ad un punto di svolta. Insieme a lui risultano indagati Giuseppe Pullara, di Favara 73; Rita Giovanna Nogara, che è sua moglie; Morena Ruvio, nata a Hanau (Germania) 33 anni fa ma residente a Licata; Giacinto Cuttaia, 60 anni di Licata; Alberto Cammarata, 38 anni di Licata; Angelo Crapanzano, 36 anni di Licata; Selenia La Greca, 37 anni di Licata; Giuseppe Francesco Buscemi,  57 anni di  Licata;  Francesco Nogara, 79 anni di Licata, suocero di Stracuzzi.  

I pubblici ministeri Francesca Dessì e Claudio Camilleri nel loro atto d’accusa descrivono Stracuzzi in questo modo: Il presente procedimento riguarda le attività investigative svolte fra il 2020 e il 2021 nei confronti di Angelo Stracuzzi, imprenditore di Licata, dal Gruppo Guardia di finanza di Agrigento e dalla Tenenza Guardia di finanza di Licata in seguito alla denuncia sporta da omissis il 12 ottobre 2020.

È stata altresì acquisita al presente procedimento redatta dal R.O.N.I. del Comando provinciale Carabinieri di Agrigento che, nel compendiare le attività investigative svolte sulla famiglia mafiosa di Palma di Montechiaro, ha ricostruito una vicenda estorsiva commessa da Angelo Stracuzzi in danno di omissis; estorsione commessa dall’odierno indagato in concorso con Giuseppe Chiazza e Giuseppe Manazza, esponenti mafiosi della Stidda, nonché con Rosario Patti (soggetti questi

nei cui confronti si procede separatamente). Le attività investigative svolte hanno altresì riguardato la riferibilità ad Angelo Stracuzzi di numerose imprese, tutte fittiziamente intestate a terzi soggetti – uno dei quali Rita Giovanna Nogara, compagna dello Stracuzzi, anch’ella destinataria della presente richiesta – al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure dì prevenzione patrimoniale. Dal complesso di tali indagini, è emerso che Angelo Stracuzzi, ex sorvegliato speciale, dopo aver subito la confisca pressoché integrale del proprio patrimonio, ha innanzitutto reimpiegato ulteriori risorse (evidentemente sfuggite all’applicazione delle misure di prevenzione) costituendo una rete di società, operanti nella provincia di Agrigento nei più svariati settori, tutte intestate a fidati prestanome (fatti per i quali sono ancora in corso accertamenti patrimoniali). Inoltre, anche grazie a questo impero economico di nuova costituzione nonché sapientemente sfruttando la propria caratura criminale, è riuscito a condizionare più aste giudiziarie, realizzando parallelamente gravi estorsioni, al fine di incrementare il già ingente patrimonio e acquisire sempre più potere economico.

Angelo Stracuzzi era stato già sottoposto a indagini da parte della Direzione distrettuale antimafia quale appartenente alla famigliamafiosa di Licata, all’epoca diretta da Pasquale e

Vincenzo Cardella; nell’ambito di tale procedimento, veniva notificata ad Angelo Stracuzzi un’informazione di garanzia e, contestualmente, veniva arrestato suo padre Giuseppe, per aver costui partecipato alla medesima articolazione mafiosa fino al 1998. Nell’ambito di detto procedimento, era emerso il capillare controllo esercitato dai due Stracuzzi, titolari di più imprese operanti in campo edile, sull’economia del territorio di Licata attraverso l’imposizione violenta di più sub-appalti nei lavori pubblici e privati.

All’esito del processo dinanzi al Tribunale dì Agrigento, Angelo Stracuzzi era stato condannato alla pena di otto anni di reclusione. Detta sentenza era stata poi riformata dalla Corte d’appello di Palermo giudizio nel quale Angelo Stracuzzi veniva assolto 

per non aver commesso il fatto; tale sentenza è definitiva.

Lo stesso Stracuzzi Angelo è stato poi sottoposto a processo per il delitto di estorsione aggravata  nonchè commesso in data anteriore per quello di trasferimento fraudolento di valori, pure aggravato, con riferimento a più imprese operanti nel settore dell’edilizia, 

All’esito dcl rito abbreviato, con sentenza del 28 gennaio 2008 il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Palermo aveva condannato lo Stracuzzi per entrambi i suddetti delitti. In particolare, nel corso di quel processo era stato accertato che la condotta di “intestazione fittizia” era maturata proprio “all’interno della consorteria mafiosa” e al fine di perpetrare il controllo sulle attività economiche del territorio; con riferimento all’estorsione, nel corso del medesimo processo era stata accertata l’attuazione del cosiddetto “metodo mafioso” attraverso una “coercizione ambientale” realizzata da Angelo Stracuzzi sulla persona offesa, Sentenza poi riformata nei successivi gradi di giudizio, all’esito dei quali lo Stracuzzi veniva assolto per il delitto estorsivo e condannato per il solo reato di trasferimento fraudolento dì valori non aggravato non essendo stato accertato che la famiglia mafiosa dì Licata avesse ingerenze o cointeressenze nelle imprese oggetto di intestazione fittizia,

Sulla base dei medesimi elementi acquisiti nei sopra richiamati procedimenti penali, su proposta di quest’Ufficio il Tribunale di Agrigento, procedeva al sequestro di prevenzione del patrimonio di Angelo Stracuzzi e, con successivo provvedimento – riconoscendo Angelo Stracuzzì soggetto socialmente pericoloso in quanto indiziato dì appartenere alla famiglia mafiosa di Licata e autore dì una fittizia intestazione con le modalità di cui all’art 416 bis – gli applicava la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per la durata di quattro anni e disponeva la confisca di pressoché la totalità del suo ingentissimo patrimonio.

Quanto all’appartenenza del proposto alla suddetta articolazione mafiosa, il Tribunale ha affermato che “le condotte di sostanza penale accertate a carico di Angelo Stracuzzi ne qualificano il ruolo attivo all’interno di una realtà imprenditoriale che, sul piano indiziario, può dirsi organica all’articolazione mafiosa di Licata, strumento e al tempo stesso risultato dell’imposizione mafiosa”; e ancora, con riferimento all’intestazione fittizia, così il Tribunale: ”finiscono così le stesse condotte distrattive per apparire innervate d1ffoalità riconducibili all’interesse del gruppo criminale ovvero al controllo del tessuto economico locale (anche) attraverso l’accaparramento degli appalti e dei correlativi flussi economici” ragion per cui “l’artifizio dell’intestazione fiduciaria , può dirsi architettato a protezione (anche) degli interessi economici dell’associazione mafiosa”.

Il provvedimento del Tribunale di Agrigento è stato integralmente conformato dalla Corte d’appello di Palermo che, fra l’altro, ha evidenziato l’esistenza di un rapporto di fiducia tra Angelo Stracuzzi e Giuseppe Falsone, già capo della provincia mafiosa di Agrigento, addirittura nel momento in cui quest’ultimo era latitante; così la Corte d’appello: “quello che conta rilevare è certamente il fatto storico (incontestato perché riferito dallo stesso interessato) che lo Stracuzzi abbia più volte incontrato il capomafia Falsone Giuseppe in un periodo in cui lo stesso era in periodo di latitanza e che quest’ultimo abbia inteso discutere con lui di questioni inerenti non solo l’aggiudicazione e lo svolgimento di lavori, ma anche

questioni strettamente legate agli equilibri interno della organizzazione mafiosa. La circostanza che il proposto abbia potuto ricevere confidenze su gravi fatti omicidiari ma anche, come si è detto, su questioni interne all’organizzazione mafiosa da parte di un soggetto dello spessore del Falsone dimostrano che lo stesso, grazie all’appoggio del   padre Giuseppe, aveva ormai un rapporto privilegiato con il Falsone che non si può giustificare se non con la comunanza di interessi criminali mafiosi”.

Dopo aver ottenuto la revoca della misura dì prevenzione per un asserito percorsodi collaborazione instaurato dal sorvegliato speciale, il 22 fobbraio 2016 laCorte d’appello di Palermo, in accoglimento del ricorso proposto dal Procuratoredella Repubblica, evidenziava che le dichiarazioni rese da Angelo Stracuzzinell’ambito del procedimento penale a suo carico, non solo non costituivano alcun novum rispetto alla valutazione che aveva condotto all’applicazione della misuradi prevenzione ma erano state addirittura motivate da un intento ritorsivodel medesimo Stracuzzi nei confronti dei capi mafia Pasquale Cardella e AngeloOcchipinti, soggetti appartenenti a una fazione mafiosa opposta a quella dellaquale lo Stracuzzi era indiziato di appartenere; ragion per cui, argomentava laCorte d’appello, tali propalazioni non certificavano alcun “distacco dal consesso associativo” né la volontà dello Stracuzzi di intraprendere un percorso collaborativo con l’Autorità giudiziaria.

Nel medesimo provvedimento, inoltre, la Corte d’appello evidenziava l’irrilevanza dell’esercizio di attività lavorativa da parte di Angelo Stracuzzi, in considerazione delle vicende che lo avevano coinvolto, aventi ad oggetto ”gravi intimidazioni subite da imprenditori nelle quali il proposto si era attivato per la soluzione di quelle intimidazioni attraverso la spartizione degli appalti e il pagamento di tangenti all’organizzazione mafiosa” .

La figura di Angelo Stracuzzi è poi emersa nelle più recenti investigazioni condotte

da quest’Ufficio sul territorio dì Agrigento.

In particolare, nell’ambito del procedimento penale dal quale sono scaturite le operazioni Halycon e Assedio), all’interno del magazzino assunto quale “quartier generale” della famiglia mafiosa di Licata, era stata intercettata una conversazione fra i due capi mafia Giovanni Lauria e Angelo Occhipinti, entrambi già definitivamente condannati per il delitto dì cui all’art. 416 bis e nuovamente arrestati nell’estate del  2019 per lo stesso reato (procedimento nell’ambito del quale, per inciso, l’Occhipinti è stato già condannato all’esito del rito abbreviato con sentenza conformata dalla Corte d’appello e, nei confronti del Lauria, pende giudizio dibattimentale che dichiarerà la morte del reo).

Nel corso di detto dialogo i due, a proposito di un affare avente ad oggetto l’acquisizione di un complesso alberghiero, ipotizzavano di coinvolgervi proprio “Stracuzzi”, identificato certamente nell’imprenditore licatese Angelo Stracuzzi in ragione dci successivi chiari riferimenti a suo padre “Peppe” nonché alle vicende giudiziarie di cui era stato protagonista insieme proprio all’Occhipinti, soggetto che lo Stracuzzi aveva chiesto di incontrare per il tramite di Angelo Lauria, altro associato mafioso. I due capi mafia condividevano le medesime perplessità, già manifestate da Angelo Lauria, sulla possibilità di coinvolgere lo Stracuzzi in quei lavori edili. A quel punto, Giovanni Lauria ricordava il contenuto del dialogo intrattenuto tempo addietro con “la buonanima di Peppe”, cioè il defunto padre di Angelo Stracuzzi, e rivelava che la causa delle perplessità nutrite su quest’ultimo erano riconducibili al comportamento processuale tenuto in occasione del procedimento penale che aveva coinvolto più appartenenti alla consorteria mafiosa licatese; in particolare, il Lauria faceva riferimento alle dichiarazioni che il medesimo Stracuzzi aveva reso all’Autorità giudiziaria sul conto dello stesso Occhipinti e dì altri associati, comportamento questo che aveva incrinato la fiducia accordatagli dall’intera associazione”.