Sono state depositate negli scorsi giorni le motivazioni della sentenza del processo di secondo grado scaturito dall’inchiesta “Oro Bianco”, l’operazione che ha fatto luce sul “paracco” di Palma di Montechiaro guidato dal boss Rosario Pace, inteso “Cucciuvì”. Una organizzazione “parallela” a Cosa nostra in grado di gestire il mercato di armi e droga sul territorio, infiltrare un capodecina all’interno del consiglio comunale e tentato di mettere le mani sull’appalto milionario del “contratto di quartiere”. La Corte di Appello di Palermo nel giugno scorso ha condannato nove persone infliggendo quasi un secolo di carcere. La sentenza, ancor di più alla luce delle motivazioni appena depositate, rappresenta un punto di non ritorno. Per la prima volta viene dato un “vestito” a questa organizzazione criminale che ha sempre operato nell’ottica dell’inabissamento e, per tale motivo, rimasta sconosciuta (fino ad ora) ai più. Il primo e più importante elemento che emerge dalla sentenza oggi viene scolpito nella pietra: il paracco di Palma di Montechiaro è mafia.
A spiegare il perchè, in oltre centocinquanta pagine di dispositivo, sono stati i giudici della quarta sezione penale della Corte di Appello di Palermo presieduta da Vittorio Anania. La “partita” più importante dell’intero processo si è giocata proprio sulla sussistenza dell’associazione di stampo mafioso denominato “paracco”. Le difese degli imputati, rievocando i concetti delle cosiddette mafie atipiche o non tradizionali, hanno sostenuto che il “paracco” fosse in altri termini una “scatola vuota” priva di ogni rilevanza ai termini della contestazione di 416bis, vale a dire associazione di stampo mafioso. Per il collegio difensivo, infatti, non ci sarebbero state né una effettiva capacità intimidatoria ma neanche una sorta di dote oppressiva sul territorio tale da ingenerare quelle condizioni di assoggettamento e di omertà necessarie per commettere delitti. Per la Corte di Appello tutte le questioni sollevate sono state ritenute infondate.
Ecco perchè: “È bene premettere che a sostegno dell’esistenza di quest’associazione mafiosa armata, denominata appunto “paracco”, saldamente radicata nel territorio di Palma di Montechiaro, milita anzitutto il contenuto della pronuncia irrevocabile da cui prende idealmente le mosse il presente processo, ovvero la sentenza resa dal Tribunale di Agrigento in data 14.06.2002, confermata dalla Corte di Appello di Palermo in data 11.02.2004 e divenuta irrevocabile il 05.10.2004. Sotto questo profilo assai opportunamente il GUP, nella pronuncia oggetto di impugnazione, ha riservato una specifica attenzione a questo precedente con il quale veniva posta in risalto, già allora, la figura di Pace Rosario individuato come soggetto di vertice di siffatto gruppo criminale. La circostanza che proprio Pace Rosario, anche nel presente processo, che riguarda le condotte più recenti, abbia mantenuto lo stesso ruolo direttivo, per di più sempre in quel contesto territoriale di Palma di Montechiaro ed in riferimento sempre al “paracco”, contribuisce a comprovare, in modo perfino plastico, che l’associazione è la stessa benché con le fisiologiche evoluzioni e gli inevitabili aggiustamenti legati al trascorrere del tempo. Questo precedente penale vale anche a fugare ogni dubbio sulle caratteristiche di questa associazione, collocandola a pieno titolo nel paradigma normativo di cui al citato art. 416 bis; delle caratteristiche essenzialmente legate all’utilizzo della forza di intimidazione scaturente dal vincolo associativo che, invero, sono riaffiorate con chiarezza anche nel presente processo, proprio a dimostrazione che unica è la matrice e costante la metodologia di azione. Più esattamente, dal citato provvedimento giudiziario si evincono gli clementi peculiari del gruppo e la sua connotazione mafiosa; tali elementi si sono mantenuti inalterati nel tempo, come emerge soprattutto dagli elementi captativi acquisiti nel presente procedimento: il carattere societario a forte identità di tipo familiare e con un marcato radicamento nel territorio; l’esistenza di una struttura gerarchica rigidamente definita con distinzione di sottogruppi e ruoli; l’esistenza di regole che disciplinano l’affiliazione e l’esclusione dall’associazione; l’esistenza di regole di comunicazione tra gli associati; la disponibilità di armi; l’esistenza di programmi criminali; la capacità di infiltrazione nella politica locale; la capacità di intimidazione delle vittime dei reati e dei cittadini dei territori di riferimento.”
I giudici proseguono: “Per quanto il “paracco” sia certamente diverso dalla più nota associazione mafiosa denominata “cosa nostra”, radicata nel territorio siciliano compreso quello della provincia di Agrigento, l’associazione di cui si occupa in questo processo non necessita di una “legittimazione giuridica”, atta a svelarne le caratteristiche intrinseche, posto che, come anticipato, sul punto si può fare affidamento al giudicato penale intervenuto anche a carico di Pace Rosario. Viene così confutata la questione secondo la quale il “paracco” non sarebbe una “mafia tipica”, al pari di “cosa nostra”, “ndrangheta” o “camorra” , cui adepti, per il semplice fatto di farne godono di una forma di intimidazione, posto che, sebbene in relazione al circoscritto contesto territoriale di Palma di Montechiaro, il “paracco” è un’associazione mafiosa tipica o, quantomeno, già riconosciuta da una sentenza irrevocabile che ne ha svelato le trame interne e le caratteristiche operative [..] Appare allora chiara la ragione per la quale questa Corte, accogliendo la richiesta subordinata formulata sul punto dalla difesa di Pace Rosario, abbia riconosciuto, nei termini che appresso verranno dettagliati, il vincolo della continuazione, ex art. 81 Cpv. c.p., tra il reato di cui al capo 1) ascritto al citato Pace in questo processo e quelli per i quali il predetto ha subito irrevocabile condanna con la sentenza del Tribunale di Agrigento in data 14.06.2002, posto che unico è il disegno criminoso. Né assume rilievo, in senso contrario, lo iato temporale formalmente esistente tra le condotte delittuose poste in essere da Pace Rosario coperte dal giudicato penale e quelle oggetto del presente processo che, come da imputazione, riguardano il periodo “dal mese di marzo 2017 a tutt’oggi”, posto che, al di là di questa delimitazione, in specie della data di avvio dell’azione delittuosa sub iudice, va considerato che, perlomeno ai fini del ragionamento di interesse, è indubbio che si tratti della stessa compagine associativa che ha mantenuto perfino la medesima denominazione e lo stesso capo storico, appunto individuabile in Pace Rosario. L’identità del ruolo svolto da questo soggetto, così come l’identità delle regole, perfino con riferimenti espliciti e nominali al “paracco” ed alla sua organizzazione interna, nei termini di cui appreso più diffusamente si dirà, consentono di confermare che si tratti della medesima struttura mafiosa, la cui forza di intimidazione, ben inteso, continua a deriva, anche nel periodo di interesse, dall’associazione in sé e non dal singolo associato. Un gruppo criminale facente capo a Rosario Pace titolare di un potere tale da indurre in uno stato di soggezione e omertà gran parte della comunità di Palma di Montechiaro. A prescindere dalle considerazioni generali, sulla scarsa valenza del rispetto dei canoni tipici, per di più in relazione ad un’associazione i cui dettami, come chiarito in specie dal collaboratore Di Gati, sono simili ma non uguali a quelli di “cosa nostra”, talune delle considerazioni poste a confutazione della natura mafiosa sono decisamente errate. Così, riguardo al fatto che, ad esempio, le riunioni del “paracco” potevano svolgersi anche in luoghi pubblici, come accaduto per la riunione del 28.10.2017 svolta nei pressi del bar Roma di Palma di Montechiaro, perfino alla presenza di soggetti estranei, non si tratta di un elemento incompatibile con la natura mafiosa di quest’associazione e ciò, non solo per le considerazioni sopra rassegnate, quanto all’evolversi delle forme, ma anche perché, a ben vedere, il riunirsi in luoghi pubblici finiva per costituire un modo per eludere le investigazioni di polizia, di cui i componenti del “paracco” avevano timore, come risulta dalle intercettazioni dalle quali trapela la pericolosità derivante dalla consuetudine di svolgere le riunioni operative in luoghi chiusi, esattamente nel posto indicato come il “circolo, con il rischio di diventare un facile bersaglio per le forze di polizia, che in quel posto avrebbero potuto installare strumenti di captazione (“perchè noi altri ci dobbiamo andare a mettere dentro al circolo? … ci mettono le microspie 0 c’è quello che c’è), nonché con il rischio anche legato al fatto che altri gruppi criminali potessero progettare azioni eclatanti (“se /a pensano iutti atterra. …vedendoci a noi fuori che vengono fare e dire anche se c’è la cosa addosso…giusto perché noi dobbiamo correre tutti questi rischi”). Se, dunque, il riunirsi in un luogo aperto trova queste giustificazioni, il fatto che non fossero adottate misure di riservatezza rappresentava una forma perfino di ostentazione di sicurezza di questo gruppo che, evidentemente, faceva affidamento sull’omertà dei concittadini di Palma di Montechiaro che, in effetti, non risulta abbiano mai segnalato nulla al riguardo alle autorità di polizia. Senza dire che a riunioni di questo tipo si sono affiancati altri contatti tra sodali svolti, per come meglio si dirà, secondo canoni più tradizionali di segretezza [..] La realtà processuale è ben diversa, dal momento che ci si misura con una struttura, di tipo verticistico strutturata sullo stesso modello del “vecchio paracco” e perfino operante sotto la guida del capo storico Pace Rosario, tramite la quale sono state esperite plurime condotte di ingerenza e di intimidazione, tutte tipicamente mafiose, sebbene non tali da integrare autonome e compiute ipotesi delittuose. Parimenti infondato è l’argomento secondo il quale non vi sarebbero state delle ripartizioni di ruoli tra gli aderenti, perfino ipotizzandosi che costoro operavano uti singuli in contrasto con lo schema tipico dell’associazione mafiosa. va considerato che soprattutto dalle intercettazioni emerge uno spaccato autentico che dimostra. in modo differente da quanto illustrato dagli appellanti, come all’interno del “paracco” le regole ed i ruoli abbiano conservato una specifica importanza, così da poter individuare, oltre all’indiscusso ruolo di vertice di Rosario Pace, taluni ruoli di comodo, in specie in veste di capo decina, come Domenico Manganello e Salvatore Montalto, ovvero di consiglieri ed infine come soldati o partecipi del “paracco”, come Sarino Lauricella, Gioacchino Rosario Barragato, Giuseppe Morgana, Emanuele Salvatore Pace e Gioacchino Pace. Appare allora evidente che quegli “strappi alle regole”, enfatizzati in chiave difensiva, si traducano a ben vedere in episodi marginali che documentano semplicemente il dinamismo del “paracco”, così come analogamente succedere anche all’interno di associazioni mafiose “più blasonate”, che quasi mai conservano un carattere davvero monolitico; possono registrarsi dibattiti, contrasti, invidie e rivalità che, tuttavia, non mettono in discussione la natura unitaria dell’organizzazione mafiosa.”