Scena muta.
E’ questa la scelta, avvalendosi della facoltà di non rispondere, di Antonio Massimino, 48 anni, commerciante, e Liborio Militello, 49 anni, muratore, ritenuti responsabili di tre tentativi di estorsione aggravata, messi a segno tra l’ottobre del 2015 e l’aprile 2016, ai danni di un imprenditore edile agrigentino impegnato nella realizzazione di una palazzina nella città dei templi.
I due uomini, fermati l’altro ieri dagli uomini della Direzione investigativa antimafia di Agrigento guidati da Roberto Cilona, hanno preferito non rispondere alle domande del Gip del Tribunale di Agrigento, Franco Provenzano e del pm, Brunella Sardoni, appositamente delegata dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, giunti nel carcere di Petrusa per compiere il delicato atto giudiziario che potrebbe portare o meno alla convalida del fermo e successivamente alla notifica di una ordinanza di custodia cautelare.
La vicenda è nota: i due fermi sono stati disposti dalla Procura distrettuale antimafia di Palermo, sotto le direttive del procuratore aggiunto Maurizio Scalia, e dei pm Claudio Camilleri e Alessia Sinatra perché si stava realizzando la fuga all’estero di Antonio Massimino come captato dalle intercettazioni cui da tempo era sottoposto. L’uomo, al telefono, avvisava la moglie di prepare i bagagli perché avrebbero lasciato Agrigento in fretta e in furia con destinazione Germania o Belgio in quanto avvisato da una soffiata della sua imminente cattura.
Gli episodi estorsivi, concretizzatisi in richieste di denaro e in assunzioni di personale, sarebbero avvenuti presso il cantiere edile e gli uffici dell’impresa finita nel mirino degli indagati, che avrebbero agito avvalendosi del cosiddetto “metodo mafioso”.
Massimino, difeso dall’avvocato Salvatore Pennica, era già stato arrestato in Belgio il 13 gennaio 1999, in quanto raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nell’ambito dell’operazione “Akragas”, che ha consentito, tra l’altro, di individuare i responsabili di 22 omicidi, di un tentato omicidio e di un sequestro di persona.
Il suo arresto era scaturito dalle dichiarazioni rese dal pentito empedoclino Alfonso Falzone, secondo cui Massimino sarebbe stato “vicino” alla famiglia di Cosa nostra di Agrigento – Villaseta. Il commerciante è stato condannato a 4 anni di reclusione per associazione mafiosa, pena poi confermata in appello. L’11 luglio 2005, è stato nuovamente arrestato nell’ambito dell’operazione “San Calogero” e condannato dal Gup del Tribunale di Palermo, alla pena di 15 anni di reclusione, per avere fatto parte, in qualità di promotore e organizzatore, di un’associazione diretta al traffico di droga. Inoltre, è stata riconosciuta la continuazione per il reato di associazione di stampo mafioso di cui costituiva il vertice. Attualmente l’indagato era sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale.
L’altro arrestato, Liborio Militello, difeso dagli avvocati Carmelita Danile e Nicola Grillo, viene indicato dagli investigatori come “fidatissimo” di Massimino, dal quale avrebbe ricevuto sistematicamente ordini che avrebbe portato regolarmente a compimento. Cosa avvenuta, sostengono gli investigatori, nell’episodio odierno di tentata estorsione.
Militello annovera precedenti per oltraggio, resistenza e violenza a pubblico ufficiale, porto abusivo di armi ed estorsione ai danni di un sindacalista.
I due fermati, entrambi agrigentini, sono attualmente reclusi la casa circondariale di Agrigento in attesa delle decisione del Gip Provenzano.