di Irene Milisenda
In Sicilia la gestione dell’acqua è ancora in mano ai privati, e qualsiasi tentativo di restituire al pubblico la gestione di tale servizio primario è sempre fallito.
Era il 2011 quando attraverso un referendum, approvato dal Governo Berlusconi, i cittadini, oltre il 90% degli elettori, si sono espressi per votato per restituire alla collettività la gestione delle reti idriche.
Era il 2014 quando i sindaci di 27 Comuni dell’Agrigentino si sono incatenati davanti la presidenza della Regione a Palermo, per dire “basta alla gestione privata del servizio idrico”, dopo aver, consegnato nel 2008 le condotte alla società Girgenti acque, definendo “fallito” il sistema di gestione privata.
Ma sta di fatto che, nonostante il tempo trascorso, l’acqua è ancora affidata al mercato, e, in assenza di una nuova normativa regionale, bocciata dalla Corte Costituzionale, si è ricaduti nella normativa europea che prevede la scelta tra tre diversi modelli di gestione cioè la società pubblica in house, la gestione interamente privata e l’ultima, la società mista pubblico-privata, che rappresenterebbe una soluzione di mezzo, come un accordo tra le parti visto che al privato, selezionato con gara pubblica, verrebbe affidato il servizio idrico, mentre la parte pubblica vigilerebbe sul corretto andamento della gestione.
E se la Corte Costituzionale ha bocciato la riforma dell’acqua pubblica dichiarandola incostituzionale, dall’altro lato il vice capogruppo del Partito Democratico Giovanni Panepinto continua a ribadire che la gestione dell’acqua deve essere pubblica e afferma: “La sentenza della Corte Costituzionale che ha sostanzialmente cassato gli articoli che riguardano la gestione del servizio idrico in Sicilia e il modello tariffario, azzera il referendum al quale hanno votato 27 milioni di italiani e calpesta l’Autonomia siciliana e le prerogative statutarie. E’ evidente che la grande lobby dell’acqua non pensi che sia una partita chiusa. Chi oggi festeggia questa sentenza dovrebbe ricordare che nel 2004 fu stipulata una convezione di 40 anni con una società per la gestione di risorse idriche, strutture e dighe pagate dai contribuenti siciliani. Credo che questa vicenda metta in discussione anche i rapporti fra il Partito Democratico, il governo regionale che non si è costituito di fronte ai giudici della Corte e che non ha applicato la legge in questi due anni, e il governo nazionale che ha impugnato la legge”.